LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29712-2017 proposto da:
LA PRAIRIE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO MENICHINO;
– ricorrente –
contro
L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCO MICHELINI TOCCI 50, presso lo studio dell’avvocato MARCO VISCONTI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3263/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/06/2017 R.G.N. 9680/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. ARIENZO ROSA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. il Tribunale di Roma aveva condannato la s.p.a. La Pairie al pagamento, in favore di L.S., di provvigioni non pagate per l’anno 2008, di provvigioni versate ad altri agenti nel medesimo periodo (Euro 8.705,09), oltre al FIRR nella misura del 4%, e dell’indennità di incasso dal 1999 in poi (Euro 49.212,82), applicata la prescrizione decennale.
2. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 22.6.2017, per quanto ancora di interesse nella presente sede, osservava, quanto all’indennità di incasso, che la stessa era dovuta in quanto l’incarico di riscossione era stato attribuito nel corso del rapporto in aggiunta agli incarichi originariamente conferiti e che l’attività relativa doveva essere remunerata con un compenso ulteriore rispetto alle provvigioni stabilite per l’attività di vendita;
3. la Corte distrettuale rilevava, poi, che i documenti richiamati consentivano di ritenere che era stato ben ponderato dal primo giudice lo svolgimento da parte dell’agente di una generalizzata attività di incasso e che la quantificazione della relativa indennità era stata ben parametrata, dovendo l’importo già riconosciuto decurtarsi di Euro 468,34, come riconosciuto anche da parte appellata;
4. sulla prescrizione delle indennità, posto che l’art. 4, comma 7, dell’AEC del 26.2.2002, applicabile ratione temporis, prevedeva che il compenso aggiuntivo per l’incarico di riscossione dovesse essere stabilito in forma non provvigionale e che, pertanto, la sua liquidazione non era prevista periodicamente, bensì con riferimento al termine del rapporto, non poteva trovare applicazione la prescrizione quinquennale;
5. con riguardo alla decorrenza del termine prescrizionale, la Corte osservava che né la missiva di invito al tentativo obbligatorio di conciliazione, né la data di seduta della conciliazione, in cui la società era stata assente, né la convocazione inviata dalla DPL rappresentavano atti interruttivi del corso della prescrizione;
6. sulle provvigioni del mese di gennaio 2008, la Corte capitolina rilevava che, ad onta del richiamo del recesso verbale del dicembre 2007, il recesso era rimasto inoperativo sino al 31.1.2008 e che non era rilevante che il nuovo agente avesse concluso affari nella zona di esclusiva già assegnata al ricorrente in un arco temporale che vedeva ancora in essere il rapporto di agenzia con quest’ultimo;
7. sulla misura dell’indennità meritocratica, la Corte osservava, infine, che il L. aveva procurato nuovi clienti e significativamente sviluppato il fatturato complessivo dell’Azienda preponente e che quest’ultima aveva tratto da ciò sostanziali vantaggi, ma che il giudice di primo grado aveva applicato AEC intervenuti successivamente alla conclusione del rapporto e non aveva avuto riguardo alla disciplina legale, che prevedeva anche il ricorso al criterio dell’equità, disciplina che poteva essere derogata solo in presenza di un trattamento di miglior favore derivante dall’applicazione degli accordi, situazione questa non verificatasi nel caso considerato, con riferimento alle vicende concrete del rapporto;
8. tanto premesso, la Corte, in considerazione della lunga durata del rapporto, superiore a cinque anni, liquidava l’indennità nella misura massima ex art. 1751 c.c., comma 3, come risultante dalla somma del fatturato dell’ultimo quinquennio diviso per cinque, pervenendo alla determinazione di un importo pari ad Euro 92.452,78, dal quale era defalcato quanto già percepito (Euro 56518,32), con un residuo spettante di Euro 35.934,46;
9. di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, il L.;
10. entrambe le parti hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo, la società ricorrente denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, osservando che la Corte non abbia considerato l’art. 7 del contratto di agenzia, che rendeva palese la pattuizione, sin dall’inizio del rapporto, dell’incarico ad incassare, e che era stata già prevista la remunerazione per tale attività, avendola le parti ricompresa nel compenso provvigionale;
2. con il secondo motivo, la società lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. e art. 1183 c.c., assumendo che la Corte abbia erroneamente escluso l’applicabilità della prescrizione quinquennale all’indennità di incasso, per avere le parti previsto un compenso a tale titolo in forma non provvigionale, che escluderebbe la natura periodica del relativo pagamento; rileva che il testo dell’art. 4, comma 7, AEC Commercio, richiamato dalla Corte del merito, non escluda nella sua interpretazione letterale che il pagamento dell’attività di riscossione possa avvenire periodicamente, avendosi riguardo alla disposizione di cui all’art. 1183 c.c., che prevede, in termini generali, che “se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente”;
2.1. aggiunge che essa società mensilmente provvedeva a fornire all’agente una scheda dei clienti nei confronti dei quali l’incasso era demandato all’agente e che da ciò doveva desumersi che l’incarico era periodico e che anche il suo pagamento doveva esserlo; pure l’invio, da parte dell’agente, di conteggi di importi annualmente spettanti al detto titolo, documentazione asseritamente depositata solo in appello per essere successiva alla sentenza ed al giudizio di primo grado, proverebbe, secondo la ricorrente, il carattere periodico e quindi l’applicabilità della prescrizione quinquennale;
3. con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., richiamando giurisprudenza di legittimità a sostegno della deduzione ed adducendo che la ragione dell’estensione della prescrizione quinquennale prevista per le provvigioni anche all’indennità di incasso risieda nel vincolo di accessorietà che legherebbe l’attività relativa alla generale attività di promozione e conclusione dei contratti svolta dall’agente;
4. il quarto motivo ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevandosi che nella quantificazione dell’indennità il giudice del merito si sia discostato dai criteri indicati nella relazione della Commissione Europea sull’art. 17 della Direttiva ed evidenziandosi come la considerazione del merito e del rendimento porterebbero sempre al riconoscimento dell’indennità nella misura massima; si aggiunge che, in realtà, nel caso esaminato la Corte distrettuale ha già avuto riguardo alla lunga durata del rapporto;
5. la censura prospettata nel primo motivo è inammissibile: la sentenza gravata risulta, invero, pubblicata in epoca successiva all’entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 134 del 2012, sicché il vizio di cui al n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. poteva essere denunciato in base alla nuova formulazione della norma, che, alla luce del novellato testo, prevede la denuncia di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, laddove, invece, la ricorrente intende contestare l’apprezzamento interpretativo effettuato dalla Corte distrettuale in termini negativi per la società. E’ da escludere pertanto la sussumibilità della censura nella previsione al caso in esame applicabile;
5.1. la pronuncia di questa Corte a S.U., n. 8054/2014, chiarisce che l’omesso esame deve riferirsi ad un fatto decisivo, e non alla interpretazione del contratto, ed afferisce, nella prospettiva della novella che mira a ridurre drasticamente l’area del sindacato di legittimità intorno ai “fatti”, a dati materiali, ad episodi fenomenici rilevanti ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio (cfr., altresì, Cass. 5.3.2014 n. 5133, Cass. 4.4.2014 n. 7983);
6. il secondo ed il terzo motivo vanno trattati congiuntamente, per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto;
6.1. pur non essendovi idonea trascrizione della documentazione richiamata nel secondo motivo, che sotto tale profilo pecca quindi di specificità, e pure essendo il riferimento alle regole ermeneutiche valide in tema di interpretazione dei contratti non esaustivo, in quanto la relativa violazione non è prospettata in maniera tale da rispondere all’esigenza della sottolineata necessità di indicazione delle ragioni della asserita violazione (cfr. Cass. 27.6.2018 n. 16987, Cass. 28.11.2017 n. 28319, Cass. 15.11.2013 n. 25728), la questione in diritto, anche alla stregua delle affermazioni contenute nel terzo motivo, deve ritenersi sufficientemente delineata ai fini voluti;
6.2. effettivamente Cass. 16.6.2003 n. 9636, richiamata dalla ricorrente, afferma che “nel rapporto di agenzia a tempo indeterminato solo l’indennità sostitutiva del preavviso e quella per lo scioglimento del contratto stesso sono soggette all’ordinario termine di prescrizione decennale e non alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 5” (con richiamo anche a Cass. 23 febbraio 1984 n. 1269) e nello stesso senso depone l’orientamento già seguito dalla pronuncia di questa Corte 18.7.2000 n. 9438, che ha sottolineato come i casi in cui la prescrizione di un diritto si attua con decorso di tempo inferiore ai 10 anni debbano essere tassativamente indicati dalla legge (art. 2946 c.c.) e il diritto dell’agente all’indennità di risoluzione del rapporto e di preavviso non sia incluso tra i diritti per i quali l’art. 2948 c.c. prevede la prescrizione quinquennale (conf. a Cass. n. 1629/66; n. 26431/68; n. 1269/84), escludendo da analoga disciplina l’indennità di incasso, strettamente connessa al diritto alle provvigioni, pacificamente assoggettato a prescrizione quinquennale (cfr. Cass. 14.05.2007 n. 11024). Ciò d’altronde risponde all’avvertita esigenza di evitare le difficoltà probatorie derivanti dall’eccessiva sopravvivenza dei diritti ed a quella più generale di certezza di diritti; quindi la censura di cui al secondo ed al terzo motivo va ritenuta fondata;
7. la critica prospettata nel quarto motivo è avanzata senza richiamo specifico alla violazione dei parametri di legge e tanto è sufficiente per ritenere che la doglianza è connotata da genericità, dovendo, tuttavia, anche rilevarsi che il richiamo alla c.t.u., senza indicarne gli elementi che in ipotesi dimostrerebbero l’erroneo calcolo della indennità, è privo di rilevanza ai fini considerati;
7.1. l’art. 1751 c.c. nel testo applicabile ratione temporis prevede: “1. All’atto della cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ricorrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
2. L’indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività; quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’agenzia.
3. L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione”;
7.2. è previsto solo un tetto massimo, ma quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 1 non vi sono limitazioni in tema di quantificazione. Non vi può essere censura in diritto sul piano della quantificazione dell’indennità de qua, salvo che per quanto previsto dal comma 3 e la giurisprudenza di questa Corte ha precisato come attraverso il richiamo all’equità sia prevista la considerazione anche delle provvigioni perse in relazione all’attività promozionale compiuta che comporti sostanziali vantaggi al preponente (V., in particolare, da ultimo, Cass. 21.6.2017 n. 15375 e Cass. 29.8.2018 n. 21377);
7.3. in definitiva, la disposizione (art. 1751 c.c.) distingue i presupposti, che possono definirsi di natura strutturale e tipici, per il riconoscimento della indennità, che sono costituiti dal fatto che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente ricavi ancora sostanziali vantaggi dagli affari con tali clienti, dal requisito di natura funzionale non tipizzato e, cioè, che l’attribuzione sia, comunque, rispondente ad equità; per i primi, la legge individua chiaramente le condizioni per la sua rilevabilità; per il secondo, invece, il riferimento normativo non è tassativo e riguarda tutte “le circostanze del caso”, individuando, a titolo esemplificativo, il riferimento alle provvigioni che l’agente perda e che risultino dagli affari con i clienti (cfr. in termini Cass. 22.9.2008 n. 23966);
7.4. può, quindi, affermarsi che la finalità dei presupposti di cui alla prima parte si pone con riferimento ad una prospettiva economica positiva per il preponente, mentre quella del requisito della seconda parte concerne un profilo economico negativo per l’agente;
7.5 la valutazione delle “circostanze del caso”, pertanto, nell’ottica di cui sopra, da un lato non può identificarsi nei presupposti già previsti dall’art. 1751 c.c. e, dall’altro, deve avere riguardo a tutti quegli elementi che sono idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del quantum spettante all’agente (cfr. Cass. 21377/2018 cit., contenente riferimenti in motivazione a Cass. 14.1.2016 n. 486);
7.6. è stato evidenziato come si tratti di una tipica ipotesi di equità giudiziale, che la dottrina ha definito come correttiva o integrativa, perché opera come criterio per determinare un elemento patrimoniale, attinente sia a regolamenti contrattuali sia a rapporti extracontrattuali ed è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione (cfr. anche Cass. 14.1.2016 n. 486, n. 18413/2013, Cass. 15.03.2012 n. 4149, nonché Cass. 1.6.2009 n. 12724);
8. alla stregua delle svolte considerazioni, devono trovare accoglimento il secondo ed il terzo motivo, laddove gli altri vanno dichiarati inammissibili;
9. la sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame avendo riguardo ai principi richiamati;
10. i giudici di rinvio provvederanno, altresì, alla determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo, dichiara l’inammissibilità degli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere alla determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021
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