LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. PEPE Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11389-2017 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORTONA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO LATELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA AMATUCCI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10183/2016 della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA, depositata il 11/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.
RITENUTO
che:
M.M. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni n. ***** notificato ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, per un totale di Euro 13.236,33 in relazione alla sentenza n. 4634, depositata in data 22.4.2004., del Tribunale di Napoli.
Il ricorrente lamentava l’illegittimità dell’atto impositivo per infondatezza e difetto di motivazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7. L’adita Commissione, con sentenza n. 87/44/2010, accoglieva integralmente il ricorso, rilevando che per ammissione dello stesso Ufficio impositore vi era stata una erronea indicazione della base imponibile.
Il medesimo avviso di liquidazione veniva notificato dall’Agenzia delle entrate anche ai coobbligati M.P. e M.R., che provvedevano anch’essi ad impugnare l’atto impositivo. La Commissione Tributaria Provinciale, con le sentenze n. 251/34/2009 e n. 281/34/2009, accoglieva i ricorsi dei contribuenti.
In data 8.11.2013, l’Agenzia delle Entrate notificava a M.M. un altro avviso di liquidazione con n. ***** “in dipendenza della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli -Sez. 44 n. 87 del 27.10.2009, depositata il 5.2.2010”.
Il ricorrente impugnava l’avviso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, lamentando l’illegittimità dell’atto per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 34, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 e della L. n. 212 del 2000, art. 7.
La Commissione, con sentenza n. 13859/11/2015, accoglieva il ricorso, ravvisando nella fattispecie il divieto del “ne bis in idem”, sicché nessuna rilevanza poteva avere l’eccezione dell’Ufficio sulla discordanza tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza n. 87/44/2009 in quanto la stessa aveva accolto integralmente il ricorso.
L’Agenzia delle entrate proponeva l’appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, con sentenza n. 10183/32/2015, accoglieva il gravame.
M.M. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 degli artt. 39 e 156 c.p.c., atteso che i giudici di appello avrebbero emesso la sentenza impugnata in contrasto con la sentenza n. 87/2010 (erroneamente riportata come 27/2009) favorevole al contribuente e passata in giudicato. Secondo il ricorrente sarebbe palese, così come evidenziato dalla CTP, nonché riconosciuto in casi analoghi dalla Corte di Cassazione, che la sentenza impugnata è stata emessa in violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 39 c.p.c., che “preclude l’esercizio di una nuova azione sul medesimo oggetto tra le stesse parti, allorquando l’azione prima proposta sia stata definita con una decisione di merito, detto principio, posto dall’art. 39 c.p.c., e rispondente a irrinuciabili esigenza di ordine pubblico processuale, non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscono due volte su idendica domanda”. Inoltre, i giudici della Commissione Tributaria Regionale avrebbero erroneamente accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate assumendo un contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, e quindi, in maniera del tutto errata e, con una evidente illegittima interpretazione estensiva della sentenza di annullamento dell’avviso di liquidazione, avrebbero ritenuto corretto considerare che il contenuto della motivazione della sentenza potesse includersi nel suo dispositivo, senza la necessità di alcuna correzione della sentenza stessa.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 10, per violazione del principio di tutela del legittimo affidamento. Il ricorrente deduce che l’avviso di liquidazione n. ***** sarebbe stato già annullato sia con la sentenza passata in giudicato n. 87/44/2010 emessa a favore del ricorrente, sia con le sentenze n. 251/34/2009 e n. 281/34/2009 emesse nei confronti dei condebitori solidali, passate in giudicato.
Nonostante il passaggio in giudicato di tali sentenze di accoglimento favorevoli ai contribuenti, l’Ufficio ha nuovamente notificato l’avviso di liquidazione n. ***** unicamente nei confronti del ricorrente, richiedendo le medesime imposte e sanzioni, anche se in misura leggermente inferiore.
La pronuncia impugnata sarebbe stata emessa in violazione del principio di tutela del legittimo affidamento e di collaborazione e buona fede, in quanto i giudici di appello non avrebbero riconosciuto che, a seguito del passaggio in giudicato delle sentenze favorevoli, il contribuente non può essere esposto nuovamente alla notifica del medesimo avviso di liquidazione annullato.
3. Le critiche, da esaminarsi congiuntamente per connessione logica, non hanno pregio, per i principi di seguito enunciati.
Il Collegio preliminarmente rileva di dover esercitare il potere di correzione, ex art. 384 c.p.c., della motivazione assunta dalla sentenza impugnata, in quanto il dispositivo della decisione è conforme al diritto, e non è necessario effettuare indagini o valutazioni di fatto (Cass. n. 20806 del 2017), atteso che nella specie non ha rilievo la questione del contrasto tra motivazione e dispositivo. Quando è in discussione la violazione o la corretta interpretazione di una norma di diritto, non rilevano i supposti errori motivazionali della decisione impugnata, perché, come si desume dall’art. 384 c.p.c., quando viene sottoposto a sindacato il giudizio di diritto, il controllo di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato alla plausibilità della giustificazione (Cass. n. 20719 del 2018; Cass. n. 13086 del 2015).
a) Non è contestato che dopo l’annullamento dell’avviso di liquidazione n. ***** con sentenza n. 87 del 2010 della CTP di Napoli, è stato notificato a M.M. un altro atto impositivo, recante il medesimo numero, ma di contenuto diverso.
Di tale circostanza dà atto il ricorrente nel secondo motivo di ricorso, laddove riferisce che l’Ufficio ha notificato un nuovo avviso richiedendo le medesime imposte e sanzioni, “anche se in misura leggermente inferiore”.
Avverso tale avviso di liquidazione recante il medesimo numero del precedente, annullato della Commissione Tributaria Provinciale, il contribuente ha proposto ricorso per cui oggi si procede.
Il giudice del merito, infatti, con la sentenza n. 87/44/2010, aveva annullato l’avviso per erroneità dell’atto impositivo, stabilendo testualmente: ” per ammissione dello stesso Ufficio impositore vi è stata un’erronea indicazione della base imponibile. Da tale ammissione deriva l’erroneità dell’atto impositivo e quindi la necessità dell’emissione di una nuova liquidazione dell’imposta”.
Dalla piana lettura del contenuto della statuizione giudiziale emerge all’evidenza che la Commissione Tributaria Provinciale, ravvisando preliminarmente un errore nella determinazione della base imponibile, ha disposto l’annullamento dell’atto impugnato, ma tale statuizione non ha riguardato la legittimità dell’esercizio del potere di prelievo fiscale, ma solo la base imponibile, che l’Ufficio impositore ha espressamente riconosciuto non corretta.
b) Il nuovo atto impositivo, per come riferito dallo stesso ricorrente, ha richiesto “le medesime imposte e sanzioni ma di contenuto inferiore”, pertanto, l’Ufficio correttamente, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha emesso un nuovo avviso tenuto conto che il potere di imposizione non poteva ritenersi consumato a seguito della sentenza n. 87/44/2010, la quale aveva annullato l’atto limitatamente alla determinazione del quantum basato su una errata base imponibile.
Invero, la formazione del giudicato di accoglimento del merito del ricorso presenta soltanto effetti preclusivi di atti di riedizione del potere aventi lo stesso oggetto, ovvero oggetto ed effetti equivalenti a quelli dell’atto impugnato.
Nella fattispecie, l’accertamento della sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 10183/32/16 ha riguardato un altro avviso di accertamento, non coincidente nel contenuto con quello oggetto di annullamento con sentenza n. 87/44/10, in quanto contenente imposte e sanzioni di “contenuto inferiore” rispetto a quelle riportate nell’atto impositivo precedentemente annullato dalla Commissione Tributaria Provinciale.
Invero, ove la prestazione che forma oggetto della successiva pretesa dell’Amministrazione finanziaria si fondi su una fattispecie distinta da quella dedotta nel precedente giudizio, nella specie una differente base imponibile – in quanto la precedente su cui si era fondato l’avviso annullato era stata ritenuta errata dal giudice del merito anche per espressa ammissione dell’Ufficio- non incontra alcun impedimento nel giudicato formatosi in relazione al provvedimento originario.
In tal caso, l’Ufficio avanza la pretesa fiscale sulla base di elementi nuovi, non coincidenti con quelli presi in esame dal giudice del merito. Il vincolo preclusivo rappresentato dal giudicato va, infatti, in ogni caso, circoscritto a quegli elementi del rapporto tributario portati a conoscenza del giudice attraverso l’impugnazione dell’atto, nei limiti dei motivi di ricorso, nonché delle controdeduzioni dell’Ufficio.
Il valore preclusivo del giudicato, quindi, deve essere analizzato con specifico riferimento alla statuizione dal giudice del merito che, nella fattispecie, non ha espressamente escluso il potere di riedizione dell’atto impositivo da parte dell’Amministrazione finanziaria, anzi lo ha implicitamente ammesso, riconoscendo la legittimità del prelievo fiscale sulla base di una corretta determinazione della base imponibile. Tale statuizione ha legittimato l’Amministrazione finanziaria all’acquisizione del tributo mediante la notificazione di un altro atto impositivo, di contenuto differente dal primo oggetto di annullamento, in quanto recante le medesime imposte e sanzioni, ma “in misura inferiore”.
c)La giurisprudenza di legittimità, in più occasioni, ha precisato che anche con riferimento ad atti radicalmente nulli, l’Amministrazione finanziaria può dare corso, entro i termini di decadenza per l’esercizio della potestà accertativa, alla rinnovazione del provvedimento.
Il giudicato di accoglimento del ricorso del contribuente non inibisce, in generale, la rinnovazione del provvedimento annullato, a condizione che l’atto sostitutivo si adegui alla res iudicata non eludendone o violandone la componente dispositiva.
Questa Corte ha affermato, in fattispecie relative ad annullamento per vizi di motivazione dell’avviso di accertamento, che: “Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, nella parte in cui consente modifica ioni dell’avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell’ufficio, non opera con riguardo ad avviso nullo (nella specie, per omessa indicazione della aliquota applicata), alla cui rinnovazione ex nunc l’Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che le compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo che l’atto rinnovato non costituisca elusione o violazione dell’eventuale giudicato formatosi sull’atto nullo” (Cass. n. 4303 del 2002; Cass. n. 11114 del 2003).
d) Ne consegue che la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale non ha violato il principio del ne bis in idem, tenuto conto che oggetto di accertamento giudiziale è stato un altro atto impositivo, espressione del potere di riedizione del prelievo fiscale dell’Amministrazione finanziaria, a seguito di un giudicato di annullamento che non ha riguardato la legittimità dell’au debeatur ma semplicemente il presupposto errato su cui era stata quantificata l’imposta, ossia la non corretta determinazione della base imponibile.
Il giudice di appello, pertanto, ha esaminato un altro avviso di accertamento, non violativo della res iudicata espressa con riferimento alla sentenza n. 87 del 2010, né violativo dei principi espressi dalle sentenze n. 281 /34/2009 e n. 251/34/2009 emesse a favore dei coobligati. Anche le suddette pronunce, il cui contenuto in sintesi è stato riportato in ricorso in ossequio la principio di autosufficienza, non hanno condizionato il potere di riedizione dell’Ufficio (v. Cass. n. 4303 del 2002 e Cass. n. 11114 del 2003 sopra richiamate), avendo annullato l’atto impositivo in un caso per omessa notifica di un precedente avviso di accertamento, e in un altro per omessa allegazione degli atti richiamati, e comunque hanno riguardato un altro atto impositivo, dal contenuto diverso da quello successivamente emesso dall’Amministrazione fiscale oggetto del presente giudizio.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 2000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021