LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12586-2020 proposto da:
C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI, 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso il decreto RG 12919/2018 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 03/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FIDANZIA ANDREA.
RILEVATO
che viene proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Venezia del 3 aprile 2020, il quale ha rigettato il ricorso proposto da C.E., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che il Ministero si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato;
2. che il motivo è inammissibile;
che, in particolare, la valutazione con cui il ricorrente – che ha dichiarato di essere fuggito dalla Nigeria in quanto accusato ingiustamente dell’omicidio della madre, in realtà, perpetrato dal padre, quest’ultimo appartenente alla setta degli Ogboni – è stato ritenuto non credibile dal giudice di merito (vedi articolate argomentazioni del decreto impugnato a pag. 4-6) costituisce apprezzamento di fatto che è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019);
– che, nel caso di specie, con una motivazione articolata ed esaustiva, che soddisfa ampiamente il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i criteri di cui alla sentenza Cass. S.U. n. 8053/2014, il giudice di merito ha evidenziato le numerose incongruenze del racconto del richiedente e vertenti su aspetti niente affatto secondari (estrema genericità del narrato in ordine al rapimento ed uccisione della madre e sulla sua carcerazione), oltre al contrasto della sua descrizione della setta degli Ogboni con le informazioni generali (che ne mettono in luce il carattere elitario in difformità rispetto alle umili origini ed alla scarsa capacità economica della sua famiglia);
3. che con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) (anche se si è soffermato sull’illustrazione delle fattispecie di cui allo stesso D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)) e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, artt. 2, 3, 5, 8, e 9 CEDU;
4. che il motivo è inammissibile nonché manifestamente infondato;
– che, infatti, il ricorrente non considera che il giudice di merito ha ritenuto insussistente il pericolo di danno grave citato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), non avendo coerentemente ritenuto credibile il suo racconto;
che, inoltre, manifestamente infondata è la censura secondo cui il giudice di merito sarebbe venuto meno all’obbligo di cooperazione istruttoria, prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non considerando che questa Corte ha più volte statuito che qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – analogo discorso vale per il pericolo di “danno grave” – salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);
5. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c), artt. 3 e 7 CEDU;
6. che il motivo è inammissibile;
che, in particolare, va, preliminarmente, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018);
che, nel caso di specie, il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali qualificate – l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Edo State della Nigeria ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 2/12/2018 n. 32064);
7. con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria;
8. che il motivo è inammissibile;
che, infatti, il giudice di merito, all’esito della valutazione comparativa tra i contesti di vita del richiedente nel paese di accoglienza ed in quello di origine, ha ritenuto che non si riscontrano, nel caso di specie, indici che testimonino una effettiva ed incolmabile disparità tra la vita condotta in Italia (non avendo dimostrato di godere di una condizione abitativa stabile o di disporre di redditi che gli consentano un’autonomia economica) e quella del paese di provenienza; che tale valutazione in fatto non è sindacabile in sede di legittimità;
9. che la soccombenza del ricorrente non comporta la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021