LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14784-2019 proposto da:
N.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE ROBINIE 71, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO FASANO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
D.L.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLA GATTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1072/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata l’08/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 10/15 giugno 2015, il Tribunale di Lecce pronunciò la separazione personale dei coniugi D.L.M.R. e N.R., stabilendo, tra l’altro: i) l’affido condiviso dei loro due figli, minorenni, ad entrambi i genitori, pur continuando gli stessi a vivere con la madre e con i nonni paterni presso l’abitazione di questi ultimi; ii) l’obbligo di contribuzione del padre al loro mantenimento nella misura di Euro 600,00 mensili (Euro 300,00 per ciascuno di essi) da corrispondersi alla D.L..
1.1. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza dell’8 novembre 2018, ha accolto, per quanto di ragione, il gravame della D.L. contro quella decisione.
1.2. Per quanto qui di residuo interesse, la corte suddetta ha riconosciuto anche all’appellante un assegno di mantenimento a carico del N., di importo pari ad Euro 150,00 mensili, oltre aggiornamenti Istat, e con decorrenza dalla domanda giudiziale, ed ha disposto l’affido esclusivo dei figli in favore della madre, confermando le modalità di loro visita, da parte del padre, già sancite dal giudice di prime cure.
2. Avverso l’appena descritta sentenza, N.R. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c. la D.L..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ovvero omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: errata valutazione sulla precarietà della condizione economica del ricorrente N.R.”, ascrivendosi alla corte distrettuale di aver riconosciuto l’assegno di mantenimento in favore della D.L., sulla base di una presunta disparità reddituale tra i coniugi fondata, tuttavia, su conclusioni errate, non supportate da alcun elemento probatorio e travisando la realtà;
II) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: omessa, insu rciente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: errata valutazione sulla consistenza del patrimonio economico e finanziario della famiglia di origine della sig.ra D.L.M.R.”, non essendo stata considerata l’entità del patrimonio familiare della D.L., la quale, secondo il ricorrente, collaborava attivamente alle attività delle aziende e società di famiglia;
III) “Violazione del diritto del sig. N.R. al pieno esercizio della potestà genitoriale: affidamento esclusivo dei figli minori M. e G. alla madre D.L.M.R. in assenza di prove a sostegno di tale decisione”, censurandosi la decisione della corte salentina nella parte in cui aveva disposto l’affido esclusivo dei figli della coppia in favore della madre;
IV) “Errata ed ingiusta pronuncia di condanna alle spese di lite a carico del sig. N.R.”, invocandosi, per effetto dell’auspicata riforma della sentenza impugnata, la condanna della D.L. alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
2. I primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perché connessi, sono inammissibili perché volti, sostanzialmente, a rimettere in discussione l’accertamento fattuale e la ponderazione che la corte di merito ha svolto sulla concreta condizione economica dei coniugi D.L. / N..
2.1. Si tratta, invero, di valutazioni insindacabili in questa sede, se non sotto il profilo del vizio motivazionale e nei ristretti limiti stabiliti per quest’ultimo dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile tallone temporis, risultando impugnata una sentenza resa l’8 novembre 2018), che, come è noto, esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di insufficienza della motivazione, posto che oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi, esclusivamente, l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudkio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Deve trattarsi, dunque, di un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, oppure di un preciso accadimento o di una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, ovvero di un dato materiale, di un episodio fenomenico rilevante, e delle relative ricadute di esso in termini di diritto, o, ancora, di una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali. Non è tale, viceversa, l’argomentazione o deduzione difensiva (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), né lo sono gli elementi istruttori, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014). Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, favorevole al ricorrente rimasto soccombente (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).
2.2. E’ palese, allora, che laddove, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, il N. censura oggi gli esiti della complessiva comparazione effettuata dalla corte distrettuale circa le condizioni economico/patrimoniali/reddituali del primo e della D.L. e la ivi ritenuta inadeguatezza del mezzi economici di quest’ultima, le doglianze si risolvono in un’inammissibile critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla corte leccese: ciò non è consentito, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non previsto, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché la più recente Cass. n. 8758 del 2017).
2.2.1. I motivi in esame, inoltre, denunciano asseriti gli vizi motivazionali in modo affatto inappropriato, facendo riferimento ad una nozione di questo vizio non riconducibile alla sola, descritta ipotesi oggi prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.2.2. Manca, invero, l’indicazione di specifici fatti decisivi il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte di appello: tali non possono essere, infatti, documenti di cui, peraltro, il ricorso non riproduce, seppure sinteticamente, il contenuto (in palese violazione del principio desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), né rispetta i precisi oneri di loro “localizza5zione” sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014, altresì rimarcandosi che, comunque, il giudice a quo ha motivatamente escluso che “…ad azzerare il divario tra le parti… non può concorrere il sostentamento che la richiedente (la D.L.. Ndr) riceve dai propri genitori, presso cui attualmente convive con i figli” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
2.2.3. A tanto deve soltanto aggiungersi che l’asserito contenuto di quei documenti, lungi dall’essere, di per sé, “decisivo”, nei sensi in precedenza ricordati, al più potrebbe fornire elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte salentina, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità. Tanto è sufficiente pure a privare di qualsivoglia giuridico fondamento le affermazioni del N. circa l’asserita violazione, da parte della corte distrettuale, dei principi di uguaglianza e parità di trattamento.
3. Il terzo motivo è parimenti inammissibile nel suo complesso.
3.1. Invero, la corte di merito, al fine di giustificare l’affidamento esclusivo dei figli della coppia alla D.L., ha attribuito rilievo alla violazione dell’obbligo di concorrere al loro mantenimento gravante sul N. il quale nemmeno aveva adeguatamente dimostrato di essere a tanto impossibilitato, nonché al fatto che l’odierno ricorrente era privo di una stabile dimora, così da non agevolare l’effettiva condivisione: circostanze, queste, che, secondo quel giudice, consentivano di derogare alla regola dell’affidamento condiviso “che, nella specie, risulterebbe pregiudizievole per l’interesse dei minori, in quanto sintomatiche dell’inidoneità del N. affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente”…” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
3.2. Orbene, questa Corte ha già osservato come la regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, già prevista dall’art. 155 c.c. ed oggi ribadita dall’art. 337-ter del medesimo codice, con riferimento alla separazione personale dei coniugi, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore (cfr., ex aliis, Cass. n. 977 del 2017; Cass. n. 24526 del 2010; Cass. n. 26587 del 2009; Cass. n. 16593 del 2008). Ciò si verifica nel caso di esercizio in modo discontinuo del diritto di visita, come anche, per quanto di specifico interesse nell’odierna vicenda, nell’ipotesi di totale inadempimento all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori (cfr. Cass. n. 26587 del 2009).
3.2.1. La valorizzazione, da parte della corte leccese anche dell’ingiustificata inosservanza dell’obbligo di mantenimento predetto da parte del N., nel periodo preso in considerazione, appare, dunque, pienamente coerente coi suindicati principi, dovendosi, qui, solo ricordare che, già alla stregua dell’art. 155-bis c.c., comma 1, (poi abrogato dal D.Lgs. n. 154 del 2013), ed oggi dell’art. 337-quater del medesimo codice, al giudice è consentito disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori con “provvedimento motivato”: la corte suddetta, dunque, si è certamente conformata a questa prescrizione, recando la sentenza oggi impugnata argomentazioni atte a giustificare la revoca dell’affidamento condiviso.
3.3. Per il resto, la censura si risolve, essenzialmente, nella prospettazione, affatto inammissibile, di un vizio motivazionale denunciato in modo inappropriato, posto che, come si è già in precedenza ricordato, il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, preclude contestazioni in ordine alla correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza la contraddittorietà o insufficienza della motivazione, investendo il vizio di cui alla citata norma, esclusivamente, l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
4. Il quarto motivo, infine, per come concretamente sviluppato, è evidentemente privo di autonomia, sicché tutto quanto si è detto in relazione alle precedenti censure, ne preclude l’esame.
5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, disponendosene il pagamento in favore dello Stato (risultando la D.L. ammessa al gratuito patrocinio), altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (tfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
5.1. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il N. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Dispone che il pagamento delle spese predette sia effettuato in favore dello Stato.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Dispone per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021