LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32043-2019 proposto da:
4S HOLDING SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. GIANTURCO N. 1, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA LENOCI, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE LA PESA;
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ***** SRL, in persona del curatore fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO AUGUSTO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
C.G.E.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1620/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 18/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 16 marzo 2016, n. 1503, il Tribunale di Bari, accogliendo le corrispondenti domande del Fallimento ***** s.r.l. (d’ora in avanti, semplicemente Fallimento): i) dichiarò inefficace, ex art. 67 L. Fall., comma 2, l’atto del 22.12.206 (compiuto nel semestre anteriore del fallimento predetto, pronunciato il 14 maggio 2007) con cui la menzionata società in bonis aveva venduto l’immobile ivi descritto alla 4S Holding s.p.a. al prezzo di Euro 807.500,00; ii) dichiarò inefficace, ex art. 66 L. fall., il successivo atto del 12 aprile 2017, registrato il 20 aprile 2017, con cui la società da ultimo indicata aveva trasferito, a sua volta, il medesimo cespite a C.G.E.; iii) condannò la 4S Holding s.p.a. ed il C., in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore della curatela attrice, quantificati in Euro 98.000,00, oltre rivalutazione ed interessi.
1.1. La Corte d’appello di Bari, adita con gravami principale ed incidentale, rispettivamente, della 4S Holding s.p.a. e del C., con sentenza del 18 luglio 2019, li ha respinti entrambi.
1.2. Per quanto qui di residuo interesse, ed in estrema sintesi, la corte suddetta ha tratto il convincimento dell’esistenza della scientia decoctionis, in capo all’appellante principale, dalle univoche dichiarazioni di alcuni testi informatori ( Q.G.; S.R.; I.L.A.), ritenute non smentite dalle affermazioni rese da altri ( Sc.Sc.).
2. Avverso l’appena descritta sentenza, la 4S Holding s.p.a. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Fallimento. Il C., invece, è rimasto solo intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’odierno ricorso, per difetto di procura speciale conferita al difensore della 4S Holding s.p.a., come prospettata dalla curatela controricorrente nella sua memoria ex art. 380-bis c.p.c..
1.1. In proposito, infatti, è sufficiente evidenziare, da un lato, che l’originale del menzionato ricorso reca, apposta a margine, la procura ad litem specificamente conferita all’Avv. Pasquale La Pesa, per questo giudizio di legittimità, dal legale rappresentante ( Sa.Lu.) della società ricorrente; dall’altro, che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, “la mancata trascrizione, sulla copia del ricorso per cassazione notificato, degli estremi della procura speciale conferita dal ricorrente al difensore, non determina l’inammissibilità del ricorso ove la procura sia stata rilasciata con dichiarazione a margine, o in calce al ricorso, in quanto in tal caso l’intimato, con il deposito del ricorso in cancelleria, è posto in grado di verificare l’anteriorità del rilascio della procura rispetto alla notificazione dell’atto di impugnazione” Cass. n. 16540 del 2006, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 25435 del 2019). Inconferenti si rivelano, invece (perché concernenti fattispecie concrete diverse da quella odierna), le altre pronunce (Cass. n. 8851 del 2021 e Cass. n. 4402 del 2021) pure richiamate nella citata memoria.
2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., dell’art. 118disp. att. c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”. Si ascrive alla corte barese di avere erroneamente ritenuto, in mancanza degli elementi sintomatici della scientia decoctionis (assenza, tra gli altri, di protesti e procedure esecutive), che la odierna ricorrente potesse aver avuto consapevolezza di uno stato di insolvenza della ***** s.r.l., al tempo in cui aveva concluso l’atto (22 dicembre 2006) di cui era stata chiesta giudizialmente la revoca, solo sulla base di elementi indiziari dei quali non sarebbe stata fornita una corretta e completa interpretazione e valutazione;
II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c.”, assumendosi che la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità se, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne la capacità di assumere rilievo in tal senso, ove valutati nella loro sintesi;
III) “Violazione e falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 67, comma 2, in conseguenze delle errate valutazioni delle risultanze probatorie da parte della corte distrettuale.
3. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché connesse, sono complessivamente inammissibili.
3.1. Invero, occorre innanzitutto ricordare che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 18 luglio 2019), ha ormai ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021).
3.2. In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). In altri termini, la motivazione deve mancare del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero esistere formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
3.2.1. Alla stregua di questo insegnamento, che il Collegio condivide integralmente, le censure in esame sono manifestamente infondate laddove denunciano l’asserito vizio motivazionale, posto che le argomentazioni con cui la corte distrettuale ha ritenuto dimostrata la scientia decoctionis in capo alla 4S Holding s.p.a., da un lato, soddisfano ampiamente il minimum costituzionale imposto da Cass., SU, n. 8053 del 2014; dall’altro, si rivelano pienamente lineari, così agevolmente permettendo di individuarle, cioè di riconoscerle, come giustificazione del decisum.
3.3. Con le odierne doglianze, invece, la ricorrente, sostanzialmente, intenderebbe ottenerne una rivalutazione, più consona alle proprie aspettative, affatto inammissibile in questa sede.
3.3.1. Infatti, è opportuno ricordare che questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 28792 del 2020; Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27457 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); a) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
3.3.2. Le censure in esame si risolvono, invece, affatto inammissibilmente (c.f.r. Cass., SU, n. 34476 del 2019), in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, il vizio motivazionale sancito dalla novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 riguarda l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017); dall’altro, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie ((fr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020).
3.4. Va sottolineato, infine, che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. n. 28792 del 2020, in motivazione; Cass. n. 27457 del 2019, in motivazione; Cass. n. 8976 del 2019, in motivazione; Cass. n. 526 del 2016, Cass. n. 10209 del 2009) in materia di revocatoria fallimentare, se la conoscenza, da parte del terzo contraente, dello stato d’insolvenza dell’imprenditore deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte, tuttavia, poiché la legge non pone limiti in ordine ai mezzi cui può essere affidato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del curatore, gli elementi nei quali si traduce la conoscibilità possono essere anche indiziari, da cui legittimamente desumere la scientia decoctionis. In altri termini, l’onere di chi agisce in revocatoria fallimentare di dimostrare la sdentia decoctionis investe la conoscenza concreta, non già la mera conoscibilità dello stato di insolvenza, ma è ammissibile che detta conoscenza concreta venga desunta da elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, e che, in quanto tali, possano giustificare un giudizio di fondatezza della domanda (cfr. ex multis, Cass. n. 10886 del 1996; Cass. n. 7064 del 1999; Cass. n. 656 del 2000; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 25635 del 2017; Cass. n. 27457 del 2019).
3.5. Nella specie, la corte distrettuale – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che il quadro indiziario desumibile dalle risultanze dell’espletata prova orale fosse idoneo a far ritenere raggiunta la prova della sussistenza del predetto requisito soggettivo in capo alla odierna ricorrente; né potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice d’appello abbia trascurato alcuni dati dedotti da quest’ultima per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.
3.5.1. In particolare, come si è già anticipato nel precedente p. 1.2. dei “Fatti di causa”, quella corte ha ritenuto di desumere la sussistenza della scientia decoctionis, in capo alla 4S Holding s.p.a., dalle univoche dichiarazioni di alcuni testi informatori ( Q.G.; S.R.; I.L.A.), ritenute non smentite dalle affermazioni rese da altri ( Sc.Sc.).
3.5.2. E’ noto che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se, come nella specie, adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 28792 del 2020; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 27457 del 2019), ed altrettanto dicasi quanto all’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova ed alla valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di produzione (cfr. Cass. n. 3845 del 2018, in motivazione): invero, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità investe la coerenza della relativa motivazione (cfr. Cass. n. 2431 del 2004).
3.5.3. Si aggiunga, poi, che, come puntualizzato da Cass. n. 3845 del 2018 (cfr. in motivazione), al fine di controllare la validità del ragionamento presuntivo, da un lato, non è necessario che tutti gli elementi noti siano convergenti verso un unico risultato, in quanto il giudice deve svolgere una valutazione globale degli indizi, alla luce del complessivo contesto sostanziale e processuale (cfr. Cass. n. 26022 del 2011); dall’altro, in tale tipo di prova, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità: occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 22656 del 2011).
3.6. Posto, dunque, che l’accertamento di fatto circa la sussistenza, o meno, del requisito della scientia decoctionis compete al giudice del merito, cui spetta, peraltro, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 8976 del 2019 e Cass. n. 27457 del 2019), gli odierni assunti della ricorrente, riportati in entrambi i formulati motivi sul punto, si risolvono, essenzialmente, nel tentativo, da parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 ed, in motivazione, Cass. n. 8976 del 2019. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche Cass., SU, n. 34476 del 2019).
3.7. Per mera completezza, infine, va evidenziato che gli elementi indiziari di cui oggi la ricorrente lamenta l’errata ” valutazione” e/o l’omesso esame (vale a dire la deposizione di Sc.Sc., peraltro nemmeno riprodotta in ricorso, in palese violazione del principio di autosufficienza desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), lungi dall’essere, di per sé, “decisivì, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte veneziana, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudizio di legittimità.
3.8. In definitiva, la 4S Holding s.p.a. incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che “e’ inammissibile la diversa dogliana che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (0.. Cass., SU, n. 20867 del 2020). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (dr’. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Dott.’ Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione).
4. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità, tra le sole parti costituite, liquidate come in dispositivo, altresì, dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (0-. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la 4S Holding s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal fallimento ***** s.r.1., liquidate in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021
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