LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. D’AURIA Giusep – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26436-2016 proposto da:
EDILSYSTEM SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PARISI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE CATANZARO UFFICIO CONTROLLI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente avverso la sentenza n. 649/2016 della COMM. TRIB. REG. DELLA CALABRIA, depositata il 05/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.
CONSIDERATO
che:
Dall’esposizione in fatto contenuta in sentenza, nel ricorso e nel controricorso, emerge che l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti della società Edilsystem avviso di accertamento con cui rettificava il reddito di impresa imponibile ai fini IRES, IRAP per l’anno 2008, oltre sanzioni.
Tale atto era impugnato dalla società Edylsistem, che pur confermando il totale dei lavori eseguiti nell’ambito di contratto di subappalto con la società P. spa, riteneva che non vi fosse stata alcuna evasione di imposta. Secondo la società contribuente la minore fatturazione degli importi era da collegare alle contestazioni sorte in sede di ultimazione dei lavori, a cui era seguito l’accordo transattivo del *****. In base a tale accordo transattivo erano state trasferite ad essa appaltatrice dodici villette per un valore di 850 mila Euro, che erano state considerate rimanenze, e che quindi avevano concorso alla determinazione dei ricavi in sede di vendita.
La commissione provinciale di Catanzaro confermava l’accertamento ritenendo che l’accordo transattivo era un mero stratagemma negoziale per giustificare l’omessa fatturazione riscontrata.
Tale sentenza, impugnata dalla Edilsystem, era confermata in sede di appello dalla CTR della Calabria, che riteneva simulato l’accordo transattivo e diretto al fine di pregiudicare il diritto della Amministrazione alla percezione delle imposte dovute.
Contro la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione la società Edilsystem affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 102 c.p.c., e del diritto di difesa in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e con il secondo motivo l’omessa valutazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e all’art. 111 Cost., comma 6.
Con la prima censura in sostanza la ricorrente deduce che l’accordo transattivo era reale, che comunque l’Agenzia non aveva eccepito la simulazione, peraltro neppure provata.
Il motivo è infondato in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha accertato che nel 2008 non erano state fatturate una serie di prestazioni, indicate nel contratto di subappalto, ed in relazione a tale periodo di imposta non poteva avere rilevanza l’accordo transattivo stipulato ben tre anni dopo, peraltro dopo l’inizio del controllo fiscale ad opera della G. di F., da ritenere “frutto di simulazione e strumentale ad occultare il maggior valore della produzione effettuata”.
Per quello che qui interessa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 (già art. 75) così come novellato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, nella versione applicabile ratione temporis, stabilisce, al comma 1, che “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”.
Il testo della citata norma quindi, consentendo di dedurre ricavi nell’esercizio in cui si verificano le condizioni della certezza della loro esistenza e della determinabilità in modo obiettivo del loro ammontare, introduce una deroga al principio di competenza, indicato dal legislatore in quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci. Vero è che la norma mira a contemperare le opposte esigenze del fisco e del contribuente, evitando di addossare al contribuente un onere troppo difficile da rispettare quando vi è una incertezza obiettiva sui ricavi, ma il dovere di conteggiare tali componenti nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione (vedi in senso analogo Cass., sez. 5, 25/01/2006, n. 1431; Cass., sez. 5, 22/09/2006, n. 20521; Cass., sez. 5, 24/05/2017, n. 13048).
Ora, nel caso, l’Agenzia, con riferimento al contratto di subappalto in cui erano precisate le prestazioni da svolgere entro il 2008 con i relativi importi complessivi (tale circostanza è ammessa anche dalla società contribuente nel ricorso), secondo il giudice di primo e secondo grado, aveva provato la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità delle componenti positive del reddito per l’esercizio sociale del 2008.
Ciò detto, si evidenzia come il ricorrente finisce per sostenere che l’indeterminabilità delle componenti positive di reddito sussista per il solo fatto che non sia stata emessa la fattura per le prestazioni erogate per incertezze soggettive, laddove l’indeterminatezza si può configurare soltanto quando la quantificazione sia stata impedita da circostanze obiettive e nel caso in concreto il giudice le ha escluse atteso proprio il lungo intervallo di tempo intercorso tra erogazione della prestazione, secondo l’apprezzamento di fatto del giudice, allo scopo di coprire le irregolarità amministrative.
In conclusione, la censura proposta non appare congruente con il contenuto della motivazione della sentenza, che ha ritenuto che per escludere la determinabilità delle prestazioni erogate non era sufficiente aver stipulato un accordo transattivo con il debitore a distanza di tempo, soprattutto in considerazione che esso era intervenuto dopo l’inizio della verifica fiscale, il che ne comprometteva l’attendibilità.
Va aggiunto che è infondato il riferimento all’art. 102 c.p.c., col quale si censura la sentenza per non aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società P., poiché, per costante giurisprudenza di questa Corte, la fattispecie della simulazione, sia essa assoluta o relativa, integra un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra le parti del contratto solo nel caso in cui il relativo accertamento risulti richiesto in via principale, con la conseguenza che il contraddittorio nel giudizio tra tutti i partecipanti all’atto è necessario quando la nullità che ne deriva venga posta a fondamento dell’azione, e non quando il suo accertamento formi oggetto di una mera eccezione e debba effettuarsi in via incidentale, senza efficacia di giudicato (da ult., Cass. n. 13145 del 2017).
Il secondo motivo, con cui si deduce omessa e /o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile.
Secondo la ricorrente la Ctr non avrebbe preso in esame la contabilità nel suo complesso.
Invero con il motivo in questione il ricorrente finisce per chiedere a questa Corte di esaminare un atto specificamente indicato (nel caso la contabilità), laddove il thema decidendum riguardava se era giustificata o meno la mancata fatturazione delle prestazioni nel 2008 alla luce dell’accordo transattivo intervenuto nel 2011.
Inoltre la ricorrente non tiene conto che non è più consentita la possibilità di censurare per cassazione l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione e dovendo piuttosto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, necessariamente tradursi nell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così Cass. S.U. n. 8053 del 2014 e successive conformi).
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro i0000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021
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