LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2452-2017 proposto da:
M.G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 4, presso lo studio dell’avvocato ALDO PINTO, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO NIGRO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3575/2016 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 15/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO.
RITENUTO
1. – La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 3575/2016 del 6 giugno 2016, pubblicata il 15 giugno 2016, ha confermato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 5595/2015 dell’11 giugno 2015, di rigetto del ricorso proposto dalla contribuente M.G.L. avverso l’avviso, notificato H 6 giugno 2014, di accertamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, dovute giusta sentenza irrevocabile della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 193/02/2012, di rigetto del ricorso proposto dalla medesima contribuente avverso l’avviso di rettifica e liquidazione delle imposte de quibus applicate in relazione al rogito di compravendita di alcuni terreni alienati alla società Silene s.r.l. in dipendenza dell’accertamento del maggior valore degli immobili trasferiti (in ragione di Euro 2.377.725,00 contro Euro 724.500,00 dichiarati).
2. – La contribuente ha proposto ricorso per cassazione mediante atto del 10 gennaio 2017.
3. – L’Avvocatura generale dello Stato ha resistito con controricorso del 27 febbraio 2017.
CONSIDERATO
1. – La Commissione tributaria regionale – per quanto serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità – ha motivato la conferma della sentenza appellata, osservando, con riferimento alle correlate censure della contribuente appellante:
a) che l’eccezione di nullità dell’atto impositivo, sotto il profilo della carenza della sottoscrizione del funzionario (abilitato alla emissione), era inammissibile, trattandosi di motivo nuovo, formulato per la prima volta in appello;
b) che parimenti infondata era l’ulteriore censura, in rito, per la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della società acquirente dell’originario rogito di compravendita.
2. – La ricorrente sviluppa due motivi di impugnazione.
2.1 – Col primo motivo di ricorso la parte denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 136 Cost. e in relazione alla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3.
La ricorrente deduce: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 (recante declaratoria della illegittimità costituzionale (1) del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, art. 1, comma 1; nonché, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27 (2) del D.L. 30 dicembre 2013, n. 150, art. 1, comma 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2014, n. 15, art. 1, comma 1; e (3) del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, art. 1, comma 8), ha “demolito con effetto retroattivo” le succitate disposizioni che consentivano il conferimento, senza pubblico concorso, di incarichi dirigenziali a pubblici funzionari sprovvisti della relativa qualifica; le sentenze del giudice delle leggi che accertano l’illegittimità di una norma possono essere fatte valere per la prima volta anche nel giudizio di legittimità; e, pertanto, a fortori nel giudizio di appello; nella specie essa contribuente aveva proposto coll’atto di gravame l’eccezione di nullità dell’atto impositivo impugnato, siccome emesso da soggetto (il capo dell’ufficio legale) non abilitato, in quanto privo della qualifica “dirigenziale o direttiva” conseguita in seguito al pubblico concorso; sicché, in conclusione, la Commissione tributaria regionale, dichiarando inammissibile l’eccezione in parola è incorsa nella inosservanza delle superiori disposizioni, delle quali è denunziata la violazione.
La ricorrente soggiunge che, peraltro, difetta anche la prova che, alla data della emissione dell’avviso di accertamento, l’autore del provvedimento fosse munito di valida delega, conferitagli dal capo dell’ufficio.
2.2 – Col secondo motivo la contribuente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, commi 1 e 2, e art. 59, comma 1, lett. b).
La ricorrente deduce: al pagamento dei tributi litigiosi sono tenuti, in solido, il venditore (essa ricorrente) e l’acquirente del bene, oggetto del contratto registrato; entrambi gli obbligati devono pertanto considerarsi litisconsorti necessari, come stabilito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1052 del 18 gennaio 2007, la cui ratio decidendi è estensibile al caso in esame; l’avviso di accertamento doveva essere notificato a entrambe le parti contrattuali; la Commissione tributaria regionale doveva annullare la sentenza di primo grado e rimettere la causa alla Commissione tributaria provinciale per la omessa integrazione del contraddittori in prime cure.
3. – Il ricorso è infondato.
3.1 – I rilievi della ricorrente in ordine alla possibilità di far valere in giudizio le pronunce della Corte costituzionale non appaiono concludenti.
La supposta nullità (sopravvenuta) dell’atto impositivo, che la contribuente postula quale effetto della sentenza del Giudice delle leggi n. 37 del 17 marzo 2015, avrebbe dovuto essere fatta valere in prime cure, mediante motivi aggiunti, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 24; in difetto la relativa questione è preclusa; sicché la intempestiva proposizione con l’atto di appello costituisce motivo nuovo, vietato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57; e la Commissione tributaria regionale lo ha correttamente considerato inammissibile.
Ed è appena il caso di aggiungere che la ridetta eccezione di nullità, formulata sotto il concorrente profilo del carenza di delega, al momento della emissione dell’avviso di accertamento, del capo dell’ufficio legale che emise il provvedimento, costituisce palesemente motivo nuovo, non dedotto col libello introduttivo.
3.2 – L’arresto delle Sezioni Unite invocato dalla ricorrente, in punto di litisconsorzio necessario nel processo tributario, non è pertinente al caso in esame.
Nella sentenza le Sezioni Unite hanno spiegato che ” ciò rende palese che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l’applicazione della norma in questione. La fattispecie in esame ne costituisce prova evidente, in quanto l’inscindibilità che determina il litisconsorzio necessario tra i diversi soggetti coinvolti dall’accertamento tributario non nasce dall’essere tali soggetti coobligati solidali nel quadro di un rapporto obbligatorio, ma dal loro essere titolari di un diritto reale su (porzioni) di un bene il cui valore è stato determinato dall’Ufficio unitariamente (senza tener conto dell’avvenuta divisione), attribuendo alle quote dei condividenti un valore proporzionale mediante una mera operazione matematica, noncurante delle differenti realtà qualitative delle singole porzioni. La questione della solidarietà dell’obbligazione e’, pertanto, estranea al giudizio de quo: la solidarietà, peraltro, più che determinare l’inscindibilità della causa tra più soggetti nel senso inteso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, sembra, porre problemi relativi al rapporto tra giudicati (ed eventualmente legittimare un intervento nel processo ai sensi del cit. art. 14, comma 3)”.
Nella successiva giurisprudenza di legittimità è consolidato il principio di diritto secondo il quale tra le parti contraenti, tenute in solido al pagamento della imposta di registro, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 57, comma 1,” deve essere esclusa la sussistenza (…) sul piano processuale, del litisconsorzio necessario ” (Sez. 5, Sentenza n. 1698 del 24/01/2018, Rv. 646921 – 01; cui adde Sez. 5, Sentenza n. 24098 del 12/11/2014, Rv. 633091 – 01; e Sez. 5, Sentenza n. 24063 del 16/11/2011, Rv. 620274 – 01).
3.3 – In conclusione alla stregua dei superiori principi di diritto – la Corte li ribadisce ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, condividendo le ragioni che li sorreggono, espresse nei pertinenti arresti – il ricorso deve essere rigettato.
3.4 – Le spese processuali, congruamente liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
3.5 – La reiezione del ricorso comporta, infine, trattandosi di impugnazione notificata dopo il 31 gennaio 2013, la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenutasi da remoto, il 5 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021
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