LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18953-2019 proposto da:
ICER SRL, in persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, S.R., SA.SI., elettivamente domiciliati presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentati e difesi dall’Avvocato EMANUELE DI MASO;
– ricorrenti –
contro
CASSA DI RISPARMIO DI BOLOGNA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, rappresentata e difesa dall’Avvocato ALESSANDRA FINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1201/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FIDANZIA ANDREA.
RILEVATO
– che viene proposto dalla I.C.E.R. s.r.l., debitrice principale, e S.R. ed Sa.El., fideiussori, affidandolo a due motivi, ricorso avverso la sentenza n. 1201/19, depositata il 9.4.2019, con la quale la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Bologna n. 3669/2014 del 23.12.2014, che ha rigettato l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 8288/2010 con cui era stato ingiunto alla predetta società e ai signori S. e Sa. rispettivamente il pagamento in favore della Cassa di Rispamio di Bologna della somma di Euro 200.359,43, di Euro 72.303,96 e di Euro 111.000,00 (questi ultimi nei limiti delle fideiussioni sottoscritte), a titolo di scoperto di conto corrente;
– che il giudice di secondo grado ha condiviso l’impostazione del Tribunale di Bologna che ha respinto la tesi sostenuta dagli opponenti della estraneità della società e dei suoi fideiussori alle operazioni che avevano determinato lo scoperto di conto corrente, asseritamente avvenute a loro insaputa;
– che, in particolare, è stato ritenuto da entrambi i giudici di merito che il S., legale rappresentante della società, ha sempre gestito personalmente il conto corrente fino alla sua chiusura, come confermato, all’esito della CTU grafologica, dalla autenticità delle firme dallo stesso apposte in calce alle contabili delle operazioni di anticipo fatture (quelle asseritamente poste in essere senza autorizzazione dal commercialista della società) e dal rilievo che anche gli ordini contenenti sottoscrizioni non appartenenti al S. erano comunque riconducibili alla I.C.E.R., riguardando pagamenti che la società effettuava abitualmente in favore della Cassa Mutua o per gli stipendi dei propri dipendenti, ed erano quindi stati effettuati dai suoi collaboratori e/o congiunti su disposizione del legale rappresentante, nell’ambito di una collaborazione continua, nell’interesse della società;
– che la Cassa di Risparmio di Bologna si è costituita in giudizio con controricorso;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. sul rilievo che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere pienamente riconducibili alla I.C.E.R ed al suo legale rappresentante le operazioni bancarie contestate sin dal primo grado, fondandosi tale ricostruzione sulle (parziali) fallaci conclusioni della CTU grafologica e su una non corretta valutazione delle risultanze delle prove testimoniali assunte nel corso dell’istruttoria;
2. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1228, 1341 e 1342 c.c. e art. 117 T.U.B., sul rilievo che la Banca, venendo meno ad un dovere di diligenza superiore rispetto a quello ordinario ex art. 1176 c.c., comma 2, aveva illegittimamente consentito che le operazioni bancarie oggetto di controversia venissero effettuate in mancanza di specifica autorizzazione, e ciò anche in violazione del D.Lgs. n. 11 del 2010, art. 5, comma 1;
che entrambi i motivi, da esaminarsi unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, presentano profili di infondatezza ed inammissibilità;
che, in particolare, la censura con cui è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è manifestamente infondata;
che, infatti, è orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione. (vedi Cass. n. 1229 del 17/01/2019; vedi anche Cass. n. 4699 del 28/02/2018);
che i ricorrenti, con l’apparente doglianza della violazione di legge, formulano censure di merito, intendendo solo sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici dei precedenti gradi ed invocare una diversa ricostruzione dei fatti, non consentite in sede di legittimità;
che, in proposito, i giudici di merito hanno accertato la riconducibilità alla I.C.E.R. s.r.l. di tutte le operazioni che hanno dato luogo allo scoperto di conto corrente, comprensive sia di quelle i cui ordini riportano la sottoscrizione del suo legale rappresentante (alla luce delle risultanze della CTU grafologica), sia di quelle non recanti la sua firma, ma comunque ritenute derivanti da una sua disposizione sulla base di una pluralità di elementi presuntivi (inerenza delle operazioni alla ordinaria attività di impresa come pagamento della Cassa Mutua e degli stipendi dei dipendenti, prosecuzione del rapporto con il professionista asseritamente infedele anche dopo la presunta scoperta degli illeciti, mancata chiamata in causa della stessa professionista pur asseritamente ritenuta responsabile del passivo, etc);
che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 1234 del 17/01/2019) che, in tema di prova presuntiva, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione (nel caso di specie neppure censurata), nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
che le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese delle spese di lite che liquida in Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021