Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22798 del 12/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29303-2019 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI, 82, presso lo studio dell’avvocato MARIO FIANDANESE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

P.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 37, presso lo studio dell’avvocato VALERIO PAPI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5478/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO MAURO.

RILEVATO

che:

1. – La Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. ricorre per un mezzo, nei confronti di P.A.M., contro la sentenza del 4 settembre 2018 con cui la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile perché tardivo l’appello della banca avverso sentenza resa tra le parti dal locale Tribunale.

2. – Il P.A. resiste con controricorso.

3. – Vi sono memorie.

CONSIDERATO

che:

4. – L’unico mezzo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c., comma 1, nonché della L. n. 742 del 1969, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ritenuto che:

5. – Il ricorso è manifestamente infondato.

La questione sottoposta al vaglio della Corte d’appello concerneva la verifica di tempestività di un appello proposto avverso sentenza dell’8 settembre 2010 (epoca in cui la sospensione feriale si estendeva per 46 giorni, dal 1 agosto al 15 settembre compresi) con atto passato alla notifica il 2 novembre 2011, il tutto in un caso di applicabilità ancora del vecchio termine annuale olim previsto dall’art. 327 c.p.c..

La Corte d’appello ha ritenuto che il 16 settembre 2010 dovesse essere computato nel termine, non potendo essere considerato dies a quo. Per conseguenza, secondo la Corte d’appello, il termine annuale per la proposizione dell’impugnazione avrebbe preso il suo corso in quella data, sarebbe rimasto nuovamente assoggettato alla sospensione feriale a partire dal 1 agosto 2011, fino al 15 settembre 2012, andando infine a scadere il 31 ottobre 2011.

Sulla questione del computo del 16 settembre, rilevante in epoca in cui la sospensione feriale durava fino al 15 settembre, a fronte di soluzioni contrastanti, hanno dovuto pronunciarsi (per due volte) le Sezioni Unite, che hanno interpretato la norma di riferimento (la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1) nel senso che il giorno 16 settembre deve essere sempre compreso nel numero dei giorni concessi dal termine, in quanto tale giorno segna non l’inizio del termine, ma l’inizio del suo decorso, il quale non include il dies a quo del termine stesso, in applicazione del principio fissato dall’art. 155 c.p.c., comma 1 (Cass., Sez. Un., 28 marzo 1995, n. 3668). Questi gli argomenti spesi dalle Sezioni Unite: “Il problema si pone sull’interpretazione della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, che, dopo avere statuito la sospensione del decorso dei termini processuali dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno, recita testualmente: “ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”. Il testo normativo ora richiamato, inoltre, deve essere valutato nella correlazione con l’art. 155 c.p.c., comma 1, il quale ha dato accoglimento al principio dies seu hora a quo non computatur in termino in relazione al computo dei termini processuali. La tesi delle pronunce che fanno decorrere il termine utile dal giorno 17 settembre, si fonda sulla distinzione concettuale tra “decorso” del termine e “computo” del termine. La L. n. 742 del 1969, si sarebbe occupata solo del decorso del termine (come emerge dal dato letterale del testo richiamato), decorso che ha inizio in ogni caso il 16 settembre. Per il computo del termine, a norma dell’art. 155 c.p.c., dovrebbe comunque applicarsi il principio dies a quo non computatur, con la conseguenza che dovrebbe essere escluso dal computo il 16, costituente giorno di inizio del decorso, non del computo. Questa interpretazione attribuisce alla L n. 742 del 1969 il significato di fare scorrere il dies a quo per il computo del termine, dalla data in cui è storicamente avvenuto il fatto cui il termine fa capo, al primo giorno successivo alla fine del periodo feriale (16 settembre), come se ciascuno dei giorni compresi dal 1 agosto al 15 settembre non fosse idoneo per il verificarsi di quel fatto e non potesse contare come dies a quo. La conseguenza è che nel caso di specie, a differenza di tutte le altre ipotesi di sospensione, si realizzerebbe l’aggiunta di un giorno al periodo di sospensione per ferie. Questa Corte non ritiene accoglibile la riportata opinione, che è fondata su una distinzione concettuale tra decorso e computo del termine priva di fondamento logico, in quanto nel decorso del termine entra soltanto ciò che si computa, non ciò che non si computa. Il dies a quo, che non viene computato nel termine, quindi, non è neppure parte del “decorso”. Ne’ a diversa conclusione potrebbe portare la lettera dell’art. 326 c.p.c. secondo cui i termini per le impugnazioni indicati nel precedente art. 325 c.p.c. “decorrono dalla notifica della sentenza”, in quanto detto articolo deve essere interpretato in correlazione con la disciplina generale dell’art. 155 c.c. da cui si desume che il decorso del termine ha inizio il giorno successivo a quello della notifica della sentenza. D’altronde, la funzione del principio dies a quo non computatur in termino, attiene all’esigenza di dare rilievo (quando il termine è a giorni), a giorni interi, trascurando le frazioni di giorno relative al momento in cui si sia verificato l’atto che costituisce il punto di riferimento del termine, nonché l’effetto giuridico di quell’atto. Sarebbe, pertanto, contrario alla ratio dell’art. 155 c.p.c. lasciare fuori dal computo un giorno intero (il 16 settembre) in cui l’atto di riferimento non si è verificato, giorno che si aggiungerebbe illogicamente a quelli interi del termine, allungandolo senza alcuna logica giustificazione. Inoltre, il giorno che non viene computato nel termine, secondo il principio dell’art. 155 è il giorno (con riferimento specifico alle impugnazioni) in cui si è verificato un atto avente un determinato effetto giuridico. Nel caso in cui quell’atto si realizzi nel periodo feriale, esso rimane pienamente valido ed efficace nella sua interezza, volta che il differimento coinvolge soltanto il decorso del termine che in quell’atto abbia il punto temporale di riferimento. Non vi è preclusione, in definitiva, a che il dies a quo, da non computare nel termine, sia individuabile nello stesso giorno in cui l’atto abbia manifestato i suoi effetti, e rimanga detta individuazione ancorché l’atto stesso sia caduto in periodo feriale. A ciò vada aggiunto che la finalità della L. n. 742 del 1969 consiste nell’assicurare ai professionisti un congruo periodo di riposo annuale, svincolando l’attività professionale dalla scadenza di termini durante il periodo riservato a detto riposo. Su tale base non potrebbe trovare adeguata spiegazione il diverso trattamento dei termini il cui decorso abbia inizio prima del 1 agosto, rispetto a quelli il cui inizio si verifichi nel periodo feriale. In quest’ultimo caso, infatti, si aggiungerebbe un giorno ai 46 giorni del periodo feriale normale, senza alcuna logica spiegazione. In virtù delle considerazioni esposte, si ritiene di dovere dare accoglimento e continuità al principio già espresso da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 4814-83. Dovendosi, nel caso di specie, computare nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, anche il giorno 16 settembre 1992, deve altresì ritenersi che il ricorso, depositata il giorno 6 ottobre 1992, sia stato depositato fuori termine, con la conseguente improcedibilità sancita dall’art. 369 ricordato”.

La giurisprudenza successiva risulta aver condiviso l’indirizzo (Cass. 29 marzo 2007, n. 7757; Cass. 6 aprile 2006, n. 8102; Cass. 16 gennaio 2006, n. 688; Cass. 4 marzo 2005, n. 4785). Questa soluzione, vale ribadire, si applica sia per i termini che inizino a decorrere prima della sospensione, sia per i termini che inizino a decorrere durante il periodo di sospensione: in tal caso, cioè, la previsione secondo cui l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo, va inteso nel senso che il giorno 16 settembre deve essere compreso nel novero dei giorni concessi dal termine (Cass. 22 maggio 2000, n. 6635; Cass. 31 maggio 2006, n. 12993).

Per il caso, come quello in esame, di applicazione del termine lungo annuale, a fronte di sentenze di primo grado pubblicate in periodo feriale, e di espressa individuazione dell’ultimo giorno utile per la proposizione dell’appello al 31 ottobre dell’anno successivo v. Cass. 15 febbraio 2018, n. 3787; Cass. 6 aprile 2006, n. 8102; sicché non può essere condivisa la soluzione invocata dalla ricorrente, risultante da Cass. 24 giugno 2011, n. 13973, non specificamente motivato sul punto).

In particolare, il congegno di calcolo, nella fattispecie considerata, è approfonditamente illustrato dalla sentenza del 2006 poc’anzi citata, nella quale si legge quanto segue: “Ed invero, poiché la sentenza di primo grado risulta depositata il 14.9.99, il termine annuale d’impugnazione va computato secondo i criteri e le decorrenze esposti nella sentenza impugnata, in ordine ai quali si è discusso nel corso della disamina del motivo precedente ed ai quali qui espressamente si fa rinvio. Si rileva, in particolare, che non può assolutamente accogliersi la tesi della ricorrente, secondo cui – ai fini della determinazione dei giorni utili per la proposizione dell’appello – non andrebbero computati nel termine sia il giorno 16.9.1999 che il giorno 16.9.2000. Infatti, “in tema di sospensione dei termini processuali, la L. n. 742 del 1969, art. 1, non crea una presunzione in virtù della quale la notificazione della sentenza, avvenuta nel periodo feriale, si considera come effettuata il 16 settembre, primo giorno successivo al decorso di detto periodo, bensì si limita a sospendere il decorso del termine per proporre l’impugnazione il quale comincia a decorrere dalla suddetta data che deve essere computata nel termine stesso” (v. Cass. Civ., 3, 13.4.1983, n. 2480; v. anche S. U., 28.3.1993, n. 3668). Se si coordina tale principio con quello secondo cui “in tema dei termini processuali, a norma dell’art. 155 c.p.c., i termini a mese (o ad anno) si computano non ex numero, bensì ex nominatione dierum, senza tener conto del dies a quo: ne consegue che la scadenza del termine coincide con lo spirare del giorno corrispondente a quello di decorrenza dello stesso, senza tenere conto del numero di giorni intercorrenti, ma solo del numero di mesi e di anni calcolati con riferimento al calendario comune” (v. Cass. Civ., sez. 1, 29.9.2000, n. 12935), è pacifico come – secondo quanto ha correttamente rilevato la sentenza impugnata – nel caso di specie il termine annuale d’impugnazione, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., sia iniziato a decorrere L. n. 742 del 1969, ex art. 1 dalla data del 16.9.1999 e, rimasto sospeso per 46 giorni dall’1.8.2000 al 15.9.2000, abbia ripreso nuovamente a decorrere dal successivo 16.9.2000, dovendosi tenere conto del periodo di sospensione imposto dalla legge. Per quanto sopra considerato, quest’ultimo giorno, non rappresentando alcun dies a quo, ma soltanto la ripresa del decorso del termine alla fine del periodo di sospensione, va dunque ricompreso nel computo del termine stesso. In altri termini, il periodo di sospensione in questione rappresenta soltanto una parentesi nel decorso del termine d’impugnazione, per cui, chiusasi la stessa, il giorno in cui il termine riprende a decorrere, e cioè il 16.9.2000, entra a far parte integrante del termine in corso, il recupero dei 46 giorni di sospensione legale del termine annuale di appello, a partire dal 16.9.2000, comporta che l’ultimo dei giorni suddetti venga a scadere il 31 ottobre 2000, dovendosi sommare ai quindici giorni dei mese di settembre i trentuno del mese di ottobre. In conclusione, il termine per l’appello, come giustamente ritenuto nella sentenza impugnata, veniva a scadere il 31.10.2000, mentre il ricorso in appello dell’odierna ricorrente risulta essere stato deposito in data 2.11.2000 e, perciò, oltre il termine perentorio di decadenza ex art. 327 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 384 c.p.c. si può, quindi, enunciare il seguente principio di diritto: “Premesso che per il computo dei termini processuali a mese o ad anno si osserva il calendario comune, facendo riferimento al nome e al numero attribuiti rispettivamente a ciascun mese e giorno, nel caso in cui il decorso di un termine processuale sia rimasto sospeso nel periodo feriale (1 agosto – 15 settembre di ciascun anno) ed abbia ripreso a decorrere dalla fine di tale periodo di sospensione, e cioè dalla data del 16 settembre, quest’ultima deve essere computata nel termine stesso, senza che possa essere considerata come un dies a quo””.

6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 6.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021

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