LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. PEPE Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9524-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
TERNA RETE ELETTRICA NAZIONALE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA 57, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RUSSO CORVACE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LAURA TRIMARCHI e MARCO EMMA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 227/2017 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 27/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/05/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RILEVATO
Che:
Con sentenza n. 227/17, depositata il 27/1/2017, la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello dell’Agenzia delle entrate e confermava la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto i riuniti ricorsi di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. e di e Rete Rinnovabile s.r.l. contro l’avviso con il quale l’Ufficio aveva liquidato le imposte di registro, ipotecaria e catastale, in relazione ad un atto stipulato tra le due società, dalle parti contraenti titolato come contratto di affitto di un terreno destinato alla costruzione ed esercizio di un impianto fotovoltaico, e riqualificato dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come contratto di costituzione di diritto di superficie.
La CTR, disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per mancata presentazione di istanze di rimborso da parte della contribuente, rilevava che il contratto intercorso tra Terna – Rete Elettrica Nazionale S.p.A. e Rete Rinnovabile s.r.l., interpretato secondo ia comune intenzione delle parti e per quanto emerge dal suo insieme e dalle singole clausole contrattuali, presenta il contenuto e gli effetti giuridici propri di un contratto di affitto/locazione, sia pure di natura atipica stante la derogabilità della relativa disciplina, costitutivo di un diritto personale di godimento, e non di un contratto traslativo di un diritto (reale) di superficie, come invece ritenuto dall’Amministrazione finanziaria.
Ai fini della diversa qualificazione del contratto tassato, il giudice di appello non riteneva determinanti, tanto la previsione delle spese straordinarie a carico dell’affittuario/conduttore, quanto l’acquisto gratuito, da parte di Terna, dell’impianto fotovoltaico alla scadenza del contratto, anche in ragione degli interessi pubblici sottesi.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso la società contribuente.
E’ stata depositata memoria difensiva.
CONSIDERATO
Che:
L’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (T.U.R.), nonché degli artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c., per avere la CTR erroneamente qualificato l’atto negoziale in discussione come contratto di affitto/locazione e non come contratto costitutivo del diritto reale di superficie.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di giudicato interno in punto di vizio di motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato, questione estranea alla ratio decidendi della sentenza di appello che è incentrata non già su una carenza formale dell’atto impositivo ma piuttosto sugli accertati “difetti di disamina e di valutazione” degli elementi contenuti nel contratto intercorso tra le società Terna – Rete Elettrica Nazionale e Rete Rinnovabile, inficianti l’operazione ermeneutica volta alla individuazione della volontà manifestata dai contraenti, e ciò al di là del dato puramente testuale del negozio tassato.
Secondo il giudice di appello siffatti difetti, “che si risolvono, pertanto, in carenze sostanziali dell’atto impugnato”, attengono al merito della qualificazione e per questa ragione rendono la motivazione addotta dall’Ufficio a sostegno di essa “non (…) esente da vizi di incongruità”.
La sentenza d’appello, anche se confermativa di quella di primo grado, si sostituisce totalmente ad essa, per cui la portata della decisione va interpretata secondo i criteri ed i limiti della nuova motivazione della sentenza di appello (Cass. n. 352/2017).
La reiezione del gravame erariale si basa su argomentazioni che – come già detto attengono al merito della controversia piuttosto che alla validità formale dell’atto impositivo, impugnato dalla contribuente anche sotto tale profilo (questione riproposta in appello e dunque non abbandonata), profilo che non costituisce distinta ed autonoma ratio decidendi in grado di sorreggere la decisione sul piano logico e giuridico, rimanendo all’interno della rilevata infondatezza della pretesa impositiva, i cui presupposti sono fatti oggetto di approfondita disamina.
Peraltro, la formazione della cosa giudicata su un capo della sentenza, per mancata impugnazione, può verificarsi solo con riferimento ai capi che siano completamente autonomi, fondati cioè su distinti presupposti di fatto e di diritto, frutto di accertamento da parte del giudicante e di esplicita motivazione sulla questione di diritto trattata, non certo su singoli passaggi motivazionali della pronuncia giudiziale, per di più se svolti con finalità semplicemente rafforzativa della decisione.
A seguito della presentazione dell’atto per la registrazione, l’Ufficio provvede al suo inquadramento in una delle categorie individuate dalla Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, e suddivise in relazione agli effetti che sono in grado di produrre o del rispettivo nomen iuris, prevedendo nel contempo aliquote d’imposta differenziate, diversi potendo essere anche i criteri di determinazione dell’imponibile, e la norma che regola tale attività è il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20.
Va subito precisato che le questioni di incostituzionalità sollevate da questa Corte in merito al D.P.R. citato, art. 20 e risolte dalla Corte Costituzionale con due recenti pronunce (sentenze n. 158/2020 e n. 39/2021) non incidono direttamente sulla fattispecie in esame, per la quale non è in contestazione il collegamento con altri atti o l’utilizzo di elementi extra testuali per l’opera di qualificazione negoziale (oggetto dei giudizi di costituzionalità), ma essenzialmente l’indagine sulla corretta interpretazione dell’atto negoziale tassato, nella specie, il contratto di affitto di un terreno destinato alla costruzione ed esercizio di un impianto fotovoltaico intercorso tra le società Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. e Rete Rinnovabile.
Ciò non di meno, appare utile ricostruire il quadro normativo di riferimento, così come si è andato chiarendo anche per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale, avuto riguardo alla individuazione dell’esatta portata e dei limiti dei poteri dell’Amministrazione finanziaria in tema di qualificazione dell’atto tassato non conforme al nomen iuris, onde applicare la tariffa più rispondente al contenuto dell’atto ed alla volontà delle parti.
Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, dispone che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Il testo attuale della disposizione è frutto delle modifiche introdotte dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1) e 2), (di “interpretazione autentica” della L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084), che recano l’espressa previsione della irrilevanza degli elementi extra testuali e del collegamento negoziale.
Il legislatore ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto, e per i suoi effetti giuridici, escludendo qualsiasi operazione ermeneutica della norma in chiave antielusiva che provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, consentendo all’Amministrazione finanziaria di operare, appunto, in funzione antielusiva, senza peraltro l’applicazione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, svincolandosi da ogni riscontro probatorio di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al contribuente ogni legittima possibilità di pianificazione fiscale.
Come affermato da questa Corte, “La detta condotta elusiva non potrà comunque ravvisarsi nella mera scelta di un’operazione fiscalmente più vantaggiosa, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.” (Cass. n. 11023/2021).
Tanto premesso, la ricorrente Agenzia delle entrate contesta la correttezza dell’interpretazione del contratto che ha portato il giudice di secondo grado a qualificare l’atto, come recante un contratto di affitto “di terreni finalizzati alla costruzione di un parco fotovoltaico”, o anche – senza rilievo ai fini fiscali qui considerati – come “tipo anomalo di locazione, in cui il locatario concede il godimento di un terreno, con facoltà di farvi delle costruzioni di cui godrà precariamente come conduttore”. Evidenzia, in particolare, la sottovalutazione di alcune “anomalie (…) rispetto alla causa tipica del contratto di locazione/affitto”, segnatamente, individuate nella concessione dello ius aedificandi sul terreno affittato, negli oneri di manutenzione straordinaria posti a carico dell’affittuario, nell’acquisto della proprietà degli impianti fotovoltaici da parte del proprietario del terreno al termine del rapporto contrattuale.
Il giudice di merito, cui spetta la qualificazione dei negozi giuridici, ha analizzato le ragioni dell’accertamento dell’Ufficio, relativamente alla operata qualificazione dell’atto tassato, escludendo la decisività di talune pattuizioni, le quali non snaturano l’essenza obbligatoria del contratto, ed ha motivatamente evidenziato la non univocità degli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate a sostegno di un’interpretazione dell’atto diversa da quella voluta dalle parti contraenti.
La censura formulata in ricorso sotto il profilo della violazione di norme di legge (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nonché artt. 952,953,1571,1576,1587,1590 e 1615 c.c.) si infrange su un impianto argomentativo della sentenza impugnata la cui tenuta neppure è messa in discussione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo – diverso – del vizio di motivazione.
Va considerato, in generale, che l’attività del giudice di merito nella ricostruzione della operazione negoziale è duplice in quanto essa, anzitutto, mira ad interpretare la volontà delle parti, ossia a stabilire cosa esse abbiano voluto, e questa attività è un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, ed una volta stabilito cosa le parti abbiano voluto, ossia a quale effetto abbiano mirato, si tratta di qualificare il negozio dandogli un nomen iuris riconducendo quella operazione negoziale ad un tipo legale, o assumendo che sia atipica.
Questa seconda attività consistendo, per l’appunto, nella qualificazione giuridica del negozio posto in essere è sindacabile in cassazione per violazione di legge, e segnatamente dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 e ss. c.c. (Cass. n. 3590/2021).
Costituisce, infatti, principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg., con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465/2015; 7280/2019).
Orbene, la CTR del Lazio ha ritenuto pienamente compatibile la fattispecie contrattuale tassata con il “tipo” dell’affitto, ma anche con la figura della locazione (atipica), perché la prevista manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto fotovoltaico a carico dell’affittuario, il quale ne mantiene la proprietà per tutta la durata (venti anni) del rapporto, anticipatamente risolvibile, così come la pattuita corresponsione di un corrispettivo periodico, non stravolgono la funzione causale dello schema negoziale prescelto, neppure rilevando, in senso contrario, l’attribuzione del diritto (personale) di edificare e di mantenere un impianto fotovoltaico sull’area in questione.
Ed allora, in luogo della mera riproduzione, nel ricorso per cassazione, degli stessi argomenti svolti nei gradi di merito con i quali aveva inteso sostenere la correttezza dell’interpretazione erariale del contenuto e dell’atto presentato alla registrazione, in ragione degli effetti giuridici oggettivamente prodotti, l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto attaccare la decisione in modo diverso e più specifico, stante l’onere di indicare i canoni ermeneutici violati (artt. 1362 e ss. c.c.) e, soprattutto, il modo in cui si è concretamente realizzata la pretesa violazione, non essendo sufficiente contrapporre, in virtù del richiamo al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, una interpretazione diversa da quella criticata.
I rilievi formulati nel ricorso avrebbero dovuto essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla integrale trascrizione delle clausole ritenute individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’eventuale erronea applicazione della disciplina invocata (Cass. n. 22889/2006; n. 25728/2013; n. 27302/2017; n. 28319/2017).
Ciò, viceversa, è mancato essendosi la ricorrente limitata ad obiettare che, sul piano civilistico dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.), il contratto soggetto a registrazione ben può essere qualificato come “contratto (atipico) di locazione”, e che, sul piano tributario, l’atto non può non essere qualificato, in applicazione del D.P.R. citato, art. 20, “come contratto concessivo di un diritto di superficie ed, in base a tale qualificazione, scontare l’imposta di registro” (aliquota 15% al D.P.R. n. 131 del 1986, tariffa allegata, art. 1, comma 3), ipotecaria (aliquota 2% al D.P.R. n. 347 del 1990, tariffa allegata, art. 1) e quella catastale (aliquota 1% D.P.R. n. 347 del 1990, art. 10).
A parere dell’Agenzia delle entrate, in sede di qualificazione negoziale a fini impositivi “i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono di fronte alle esigenze antielusive a semplici elementi della fattispecie tributaria”.
L’argomentazione della difesa erariale non appare concludente.
Proprio in relazione al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, corollario anch’esso del principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost., questa Corte ha più volte affermato che le regole civilistiche di interpretazione del contratto ex art. 1362 e ss. c.c., incentrate sulla ricerca della comune intenzione delle parti, non risultano, di per sé sole, dirimenti in ambito fiscale, come fatto palese proprio dalla formulazione del più volte menzionato art. 20, dal quale si ricava la preminenza degli oggettivi effetti che la regolamentazione negoziale produce, a prescindere dalla volontà delle parti di produrli ovvero dal loro accordo per produrre un determinato risultato fiscale (Cass. n. 7637/2018; n. 2007/2018; n. 19752/2013; n. 10660/2003, n. 14900/2001).
Tuttavia, l’interpretazione dell’atto prevista dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non può basarsi sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali, nonché dagli elementi comunque desumibili dall’atto presentato alla registrazione, e neppure può confondere gli effetti giuridici, rilevanti ai fini dell’imposizione di registro, con quelli economici dell’operazione negoziale, essendo la finalità antileusiva, pure evocata dalla ricorrente, profilo affatto estraneo alla disposizione in esame.
L’azione accertatrice, ove intenda perseguire siffatta finalità, deve essere attuata mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia.
Un’ulteriore annotazione si impone riguardo al profilo antielusivo di cui sopra, peraltro appena abbozzato nel ricorso dell’Agenzia delle entrate, e cioè che esso non può neppure identificarsi sic et simpliciter con il risparmio fiscale.
E sotto tale profilo, non risulta adeguatamente confutata l’affermazione del giudice di appello secondo cui, anche se un impianto fotovoltaico può essere considerato alla stregua di una costruzione, si deve ritenere che il programma negoziale con il quale il proprietario di un terreno intenda concedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo una tale costruzione, con il diritto per il cessionario di mantenerne la proprietà, la disponibilità ed il godimento e di trasferirlo (anziché rimuoverlo) alla fine del rapporto in favore del proprietario, può essere perseguito non necessariamente attraverso un contratto ad effetti reali e, precisamente, attraverso un contratto costitutivo del diritto (reale) di superficie.
E neppure risulta confutata la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra diritto reale d’uso e diritto personale di godimento, costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto L’opzione ermeneutica della CTR del Lazio trova conforto nell’affermazione ulteriore, che si legge nella impugnata sentenza, circa il fatto che “la concessione (da parte di Terna quale concessionario delle attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica nel territorio nazionale e gestore e proprietario della rete elettrica nazionale) di un diritto di superficie a Rete Rinnovabile avrebbe determinato un vincolo o una restrizione sul terreno, un asset al momento improduttivo, incompatibile con il pubblico interesse ai quale esso è destinato”.
Ne’, d’altro canto, v’e’ ragione per negare alle parti la possibilità di scegliere, nell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta dall’art. 1322 c.c., se perseguire risultati socioeconomici analoghi, anche se non identici, mediante contratti ad effetti reali o mediante contratti ad effetti obbligatori, fattispecie negoziali giuridicamente distinte, anche facendo ricorso a figure contrattuali atipiche, per interessi meritevoli di tutela (cfr. Cass. S.U. n. 8434/2020 e giurisprudenza di legittimità ivi richiamata).
Infine, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, è estranea al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, come già detto, la relativa contestazione, da parte dell’Ufficio, non può essere ricondotta alla ermeneutica dell’atto da registrare.
Sussistono giustificate ragioni, avuto riguardo all’assenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Dichiara compensate tra le parti le spese di giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenuta con collegamento da remoto, il 31 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 agosto 2021
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