LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13507-2019 proposto da:
P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIOVANNI RANDACCIO 1, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO MUSA, rappresentata e difeso dall’avvocato MARILENA PODDI;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 67, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO LI BASSI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 227/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 27/02/2019 R.G.N. 1058/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS.
RILEVATO
che, con sentenza del 27 febbraio 2019, la Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione resa dal Tribunale di Brindisi e rigettava la domanda proposta da P.A. nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole per aver la Società datrice accertato all’esito di apposita indagine che la predetta, durante il periodo di sospensione dal lavoro per infortunio, presso l’esercizio pubblico gestito dal figlio attendeva a servizi idonei a pregiudicarne la guarigione e la ripresa dell’attività lavorativa;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto idonei gli elementi documentali e fotografici allegati alla relazione dell’agenzia investigativa che, del tutto legittimamente, aveva eseguito i rilievi in una con gli esiti della prova orale a comprovare l’essersi la P. profusa nel corso delle giornate, almeno quattro consecutive, di presenza nell’esercizio pubblico gestito dal figlio in un impegno fisico che per tipologia, durata o reiterazione si è posto in contrasto con la prescrizione medica e quindi l’addebito contestato sussistente e tale da inficiare, per la sua concreta gravità, il vincolo fiduciario richiesto per la permanenza del rapporto;
per la cassazione di tale decisione ricorre la P., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, la Società;
che la ricorrente ha poi presentato memoria.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 244 c.p.c., 2105 e 2118 c.c. nonché artt. 1175 e 1375 c.c., imputa alla Corte territoriale di aver fondato il proprio convincimento in ordine alla raggiunta prova della sussistenza dell’addebito contestato esclusivamente sul rapporto investigativo prodotto dalla Società, peraltro, in sede istruttoria, confermato dal suo autore non con riferimento alle singole circostanze rilevate e documentate anche fotograficamente ma solo in linea generale, in modo tale, dunque, da risultare la prova costituita dalla lettura “fuorviante” dei soli fotogrammi allegati;
che, con il secondo motivo, si deduce la nullità del procedimento e della sentenza a motivo dell’errata percezione della prova per aver il giudice, nella “lettura” dei fotogrammi allegati alla relazione investigativa, non supportata dall’illustrazione in sede di escussione della prova testimoniale di chi aveva ripreso le immagini, rilevato azioni e/o circostanze diverse da quelle oggettivamente raffiguratevi;
che con il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 24 Cost., comma 2, in una con il vizio di motivazione, la ricorrente imputa alla Corte territoriale l’error in procedendo dato dalla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta dalla ricorrente stessa che assume immotivata e tale da indurre un vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio;
che nel quarto motivo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è prospettato con riguardo alla mancata considerazione del rilievo sollevato dalla ricorrente circa l’impostazione fuorviante dell’accertamento peritale condotto con riferimento non alle immagini oggettivamente risultanti dai fotogrammi prodotti bensì all’interpretazione in malam partem che di quelle immagini risultava dal rapporto investigativo;
che con il quinto motivo, rubricato con riferimento al vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e alla violazione e falsa applicazione dell’art. 54, comma 6, lett. g) del CCNL di settore, la ricorrente lamenta l’incongruità logica e giuridica del giudizio reso dalla Corte territoriale in ordine alla proporzionalità della sanzione irrogata rispetto all’addebito contestato, in particolare rilevando la non applicabilità della norma contrattuale richiamata non essendo ravvisabile l’elemento soggettivo del dolo nella condotta della ricorrente;
che nel sesto motivo la violazione e falsa applicazione degli art. 436 e 325 e ss. è prospettata con riferimento alla statuizione della Corte territoriale in ordine all’accollo alla ricorrente delle spese di lite in relazione all’accoglimento dell’impugnazione incidentale delle Poste che assume essere viceversa inammissibile per non essere mai stato notificato alla ricorrente il relativo atto e come tale insuscettibile di essere oggetto del giudizio di appello;
che i primi cinque motivi – che possono essere qui trattati congiuntamente, risultando essere mere frazioni di un ragionamento unitario sotteso all’impugnazione proposta dalla ricorrente, per cui la Corte territoriale avrebbe proceduto all’esame della controversia, muovendo dal pregiudiziale convincimento della colpevolezza della ricorrente, convincimento che ha influito sullo stesso approccio della Corte territoriale alla gestione del processo, inducendo la “lettura a senso unico” della documentazione fotografica allegata al rapporto investigativo prodotto in giudizio, la ritenuta sufficienza della generica conferma del rapporto resa in sede testimoniale da parte del suo autore, l’aprioristico rifiuto della prova contraria di cui la ricorrente aveva richiesto l’ammissione, l’acritica adesione alle conclusioni del CTU, l’enfatizzazione della gravità della condotta – devono ritenersi infondati, risultando, di contro, la pronunzia della Corte territoriale frutto di una completa e plausibile valutazione delle risultanze istruttorie, a cominciare dalla documentazione fotografica, che, consistendo in immagini statiche postulano la necessità di una “lettura situazionale” per così dire, rimessa al libero apprezzamento del giudice ed insuscettibile di esser contrastata da quella che certamente si prospetta come “lettura altra”, non potendo l’immagine ferma, priva di un prima e di un dopo, riflettere oggettivamente alcuna situazione di contesto, valutazione con riguardo alla quale deve ritenersi ampiamente motivata l’irrilevanza della richiesta prova contraria, ineccepibile l’adesione all’esito della CTU confermativo dell’effetto pregiudizievole dei comportamenti, anche meramente statici e come tali oggettivamente desumibili dai fotogrammi prodotti, tenuti dalla ricorrente e corretto sul piano logico e giuridico il giudizio sulla proporzionalità della sanzione, non potendosi negare l’intenzionalità della condotta tenuta dalla ricorrente che ha inteso sottoporsi ad un impegno non consentito dalle sue condizioni fisiche e perciò in contrasto con l’interesse del datore così da pregiudicare l’affidamento dello stesso sull’esatto adempimento delle prestazioni future, evenienza che, alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, legittima la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale in ordine alla ritenuta ricorrenza della giusta causa di recesso;
che, di contro inammissibile si rivela il sesto motivo, non dando la ricorrente qui conto, attraverso la trascrizione dell’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale della Società o l’allegazione degli atti ove la stessa è rinvenibile, di aver tempestivamente sollevato la questione, da ritenersi pertanto nuova;
che, il ricorso va dunque rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2021
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