Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.2311 del 02/02/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4645-2019 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO n. 74, presso lo studio dell’avvocato LOMBARDI LETIZIA, rappresentato e difeso dall’avvocato GARZIA LUANA;

– ricorrente –

contro

C.C., G.F., S.L., A.A., elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI n. 7, presso lo studio dell’avvocato ERRIGHI EMANUELA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati BULLERI SIMONE e RUBEGNI LUCIANINA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2808/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 13.06.2006 T.D., proprietario di un immobile sito nel territorio del Comune di Castiglione della Pescaia, conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Grosseto C.C., G.F., S.L. e A.A., invocando l’accertamento del suo diritto a procedere alla sostituzione della cisterna già esistente e posta a servizio della propria abitazione, situata al di sotto della corte condominiale dell’edificio, con altra cisterna, da interrare nel medesimo luogo e da destinare all’assicurazione dell’approvvigionamento idrico dell’unità abitativa dell’attore. Inoltre, quest’ultimo chiedeva anche condannarsi la C. al risarcimento del danno, per aver posto in opera una tubatura impeditiva dell’utilizzo della suddetta cisterna. A sostegno della domanda, il T. deduceva che l’edificio nel quale si trovava la sua proprietà era composto da sei appartamenti, di proprietà dei convenuti, ed era circondato da una corte, al di sotto della quale, sin dall’edificazione dello stabile, era stata interrata la cisterna a servizio esclusivo dell’appartamento di sua proprietà.

Si costituivano in giudizio i convenuti, resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 245 del 2011 il Tribunale di Grosseto respingeva le domande dell’attore, ritenendo che la nuova destinazione della cisterna non dovesse ritenersi una mera innovazione del preesistente diritto di servitù a favore del fondo dell’attore, bensì una costituzione di una nuova servitù.

Interponeva appello il T. e si costituivano in seconde cure C.C., G.F., S.L. e A.A., resistendo al gravame.

Con la sentenza n. 2808 del 2018, oggi impugnata, la Corte di Appello di Firenze rigettava l’impugnazione, condannando l’appellante alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione T.D., affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso C.C., G.F., S.L. e A.A..

In prossimità dell’adunanza camerale la parte resistente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1073 e 1074 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto cessato il diritto di servitù a vantaggio del fondo di proprietà dell’attore, sulla base del fatto che costui non avrebbe usato da anni la cisterna originariamente posta al di sotto della corte comune e quindi avrebbe perduto la corrispondente utilitas.

La censura è fondata.

La Corte di Appello ha ritenuto estinto il diritto di servitù dell’odierno ricorrente, valorizzando il fatto che egli non aveva usato per lungo tempo la cisterna. Sulla base di questo assunto, la Corte fiorentina ha escluso da un lato la configurabilità di un acquisto per usucapione del diritto di servitù, a fronte di una attività ormai cessata, e dall’altro lato la costituzione del diritto per destinazione del padre di famiglia, ravvisando la carenza di interesse del T. a fronte della intervenuta cessazione di fatto dell’esercizio del diritto medesimo. Nel condurre tale ragionamento, tuttavia, la Corte toscana ha omesso di considerare che nel caso di specie vi era pacificamente, al di sotto della corte comune del fabbricato, una cisterna posta a servizio dell’immobile di proprietà del T.. L’esistenza di opere a servizio del diritto di servitù, ancorchè interrate, costituisce indice della sua esistenza; ciò implica che per potersi dichiarare l’estinzione del diritto reale va dimostrata la maturazione della prescrizione estintiva ventennale di cui all’art. 1073 c.c., tenendo altresì conto del fatto che, in presenza di una servitù soggetta ad esercizio sporadico, il non uso ventennale va calcolato dal giorno dell’ultima utilizzazione del diritto reale, senza che possa assumere rilievo, ai fini della prescrizione, la visibilità delle opere esistenti nel fondo servente (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22579 del 16/10/2020, Rv. 659387; coni. Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 26636 del 12/12/2011, Rv. 620036), nè la temporanea interruzione dell’esercizio del diritto, purchè protratta per un periodo di tempo inferiore al ventennio previsto dall’art. 1073 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13700 del 22/06/2011, Rv. 618276; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3076 del 16/02/2005, Rv. 586433).

Nel caso di specie, la pacifica esistenza del serbatoio interrato nella corte comune dell’edificio, oltre a poter potenzialmente rilevare ai fini di quanto previsto dall’art. 1102 c.c., comprova certamente l’esistenza del diritto di servitù rivendicato dal ricorrente, trattandosi di opera permanente a servizio del diritto reale. Sul punto, può essere richiamato il principio posto da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14292 del 08/06/2017, Rv. 644480, che ha ritenuto la natura apparente di una servitù di tubatura idrica collocata al di sotto del pavimento dell’appartamento che fungeva da fondo servente, in quanto visibile dal proprietario di quest’ultimo in occasione dello svolgimento di lavori edili (cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6522 del 11/06/1993, Rv. 482759).

Solo una volta accertata la valida costituzione della servitù in base ad un titolo idoneo (contratto, legge, usucapione o destinazione del padre di famiglia), quindi, la Corte di Appello avrebbe potuto accertare il suo non uso ventennale, e quindi dichiararne l’intervenuta estinzione. Al contrario, la Corte fiorentina ha operato una totale inversione dell’ordine logico dei fattori, omettendo di indagare sul tema dell’esistenza, per usucapione ovvero per destinazione del padre di famiglia, del diritto di servitù rivendicato dal ricorrente, prima di affrontare il tema, logicamente successivo, dell’intervenuta estinzione del diritto predetto. Nè questo modo di argomentare può essere ritenuto corretto in base al principio della cd. ragione più liquida, scorrettamente invocato nella memoria depositata da parte resistente. Tale principio, infatti, consente al giudice di affrontare con precedenza le questioni il cui esame possa rendere superfluo l’approfondimento di altri temi di indagine compresi nell’oggetto della controversia, ma non anche di operare inversioni logiche in base alle quali siano esaminate prima le conseguenze, rispetto alle premesse, di un determinato problema. E non v’è dubbio, in proposito, che l’accertamento dell’esistenza del diritto rivendicato dall’attore e della sua intervenuta estinzione per non uso ventennale non costituiscono questioni diverse, ma due profili del medesimo problema, che stanno, l’uno all’altro, in rapporto di necessaria conseguenzialità logica, non potendosi ipotizzare un accertamento dell’intervenuta estinzione di un diritto a prescindere dal precedente accertamento della sua esistenza.

La Corte di merito avrebbe dunque dovuto, prima, indagare sull’esistenza e sulla natura del diritto del T. di usare il sottosuolo della corte comune; quindi, ove avesse ritenuto di configurare un diritto di servitù, verificare l’eventuale non uso ventennale del diritto medesimo; infine, accertare se la richiesta del T., di sostituire il serbatoio posto a servizio del diritto reale, fosse o meno ricompresa nell’ambito degli interventi di modificazione o conservazione del diritto predetto, consentiti -rispettivamente – dall’artt. 1067 c.c., comma 1, e art. 1069 c.c., comma 1, ovvero se si trattasse di un intervento atto a costituire un nuovo ed autonomo diritto reale, da ritenere vietato ai sensi del richiamato art. 1067 c.c., comma 1. Dal che deriva l’accoglimento del primo motivo, con conseguente assorbimento della seconda e terza censura, con le quali il T. si duole, rispettivamente, della violazione dell’art. 1102 c.c. e del governo delle spese operato dal giudice di merito, e rinvio della causa alla Corte di Appello di Firenze, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti il secondo e il terzo. Cassa la decisione impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2021

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