LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso 19 320 del 2016 proposto da:
C.T.L., domiciliato in Roma piazza Cavour presso la cancelleria della Corte Suprema di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato Giuseppe Micaletti;
– ricorrente –
contro
CERAMICHE SACA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO FOGLIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 135/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/02/2016 R.G.N. 739/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 4.2.2016, respingeva il gravame proposto da C.T.L. avverso la decisione del Tribunale di Teramo che aveva rigettato il ricorso del predetto, inteso al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con la s.r.l. SACA Ceramiche, per il periodo dal settembre 1995 al dicembre 2005, nonché alla conseguente condanna della società al pagamento della somma complessiva di Euro 267.637,35;
2. la Corte distrettuale rilevava che la gratuità delle prestazioni lavorative espletate dall’appellante non era sganciata da quanto il predetto aveva dedotto nel ricorso introduttivo, ove non si faceva riferimento a compensi percepiti ed a quanto contenuto nel conteggio sindacale allegato, ove nulla veniva portato in detrazione a quanto richiesto;
3. sul piano valutativo veniva ritenuta condivisibile la considerazione di non credibilità dell’assunto attoreo di avere espletato attività lavorativa subordinata per circa dieci anni, senza mai percepire alcunché e senza mai avanzare pretese a fronte di un attività asseritamente prestata in modo sistematico e prolungato prolungato;
4. veniva ritenuta corretta la sentenza del primo giudice anche con riguardo alla rilevanza attribuita alla mancata indicazione della declaratoria contrattuale in cui sussumere le mansioni svolte, al fine di determinare l’inquadramento spettante al ricorrente, sia il corrispondente trattamento economico, ciò che era tanto più necessario per avere il C.T. fatto riferimento a mansioni dirigenziali, concludendo per il riconoscimento della qualifica di “dirigente quadro” in cat. A1;
5. il giudice del gravame osservava che l’appellante non aveva adempiuto all’onere probatorio sullo stesso gravante correlato alla dimostrazione della sussistenza degli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato, con particolare riguardo alla eterodirezione, essendo emerso dalle risultanze istruttorie che il C.T., pure occupandosi genericamente dalla produzione e della vendita, non prendeva ordini da nessuno, né dava ordini a chicchessia, per essere gli ordini impartiti dal titolare, T.V.;
6. non risultavano dimostrati in alcun modo gli indici “sussidiari” della subordinazione, ciò che induceva a ritenere che l’appellante avesse avuto il ruolo di assistere e consigliare il figlio, che deteneva il 48% della SACA s.r.l., nell’ambito di un settore in cui egli aveva una particolare esperienza;
7. di tale decisione domanda la cassazione il C.T., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società, che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1 c.p.c.
CONSIDERATO
CHE:
1. in primo luogo deve rilevarsi la tardività del controricorso, in violazione dei termini di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, (notifica del ricorso in data 9 agosto 2016, come riportato nello stesso controricorso, e notifica di quest’ultimo il 23 settembre 2016), ciò che non preclude, tuttavia, di esaminare la memoria, depositata dal controricorrente ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., in prossimità dell’adunanza camerale, stante il conferimento di valida procura in calce all’atto pur ritenuto inammissibile per tardività della sua notifica (cfr. Cass. 27.2.2017 n. 4906, Cass. 7.9.2018 n. 21798);
2. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., nonché carenza e contraddittorietà della motivazione, osservando che la Corte ha violato la regola della ripartizione dell’onere probatorio travisando anche il risultato della prova espletata, laddove ha ritenuto ex officio la gratuità della prestazione in mancanza di un’eccezione formulata al riguardo da parte della resistente rispetto al principio della presunzione di onerosità, in patente violazione dell’articolo suindicato, non potendosi inferire alcunché dal fatto che il ricorrente non avesse per dieci anni richiesto nulla alla società, avendo egli agito proprio per le retribuzioni maturate chiedendo la regolarizzazione della sua posizione; rileva che l’assunto che il C.T. si sia recato in azienda per dare consigli al figlio si poneva in contrasto con il dato oggettivo della sua continuativa presenza in azienda, anche successivamente al licenziamento del figlio, circostanza pacifica tra le parti e non contestata, avuto riguardo alla natura della società ed al rilievo che non poteva affermarsi che il ricorrente lavorasse per il figlio o per il titolare della società;
2.1. deve, in primo luogo, osservarsi come, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro: infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass. 23.10.2018 n. 26874);
2.2. con riguardo alla doglianza in diritto, è pacifico che ogni attività oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, salva la prova – da fornirsi da colui che contesti l’onerosità – che la stessa sia caratterizzata da gratuità; una tale prova, peraltro, non può essere desunta soltanto dalle formali pattuizioni intercorse tra le parti, ma deve consistere nell’accertamento, specie attraverso le modalità di svolgimento del rapporto, di particolari circostanze, oggettive o soggettive (modalità, quantità del lavoro, condizioni economico-sociali delle parti, relazioni tra esse intercorrenti), che giustifichino la causa gratuita e consentano di negare, con certezza, la sussistenza di un accordo elusivo dell’irrinunciabilità della retribuzione, senza che sia sufficiente la semplice dimostrazione che il lavoratore si riprometta di ricavare dalla prestazione gratuita un vantaggio futuro e non pecuniario (cfr. Cass.28.3.2017 7925);
2.3. nella specie, tuttavia, manca proprio l’oggettiva configurabilità dell’attività come di lavoro subordinato, essendo stata esclusa la sussistenza, anche a fronte della dedotta attività dirigenziale asseritamente espletata, di indici sussidiari della subordinazione, quali il rispetto di un determinato orario di lavoro, l’obbligo di giustificare eventuali assenze, la percezione di un compenso fisso e predeterminato; è stata, invero, esclusa la sussistenza di erogazioni periodiche di denaro o di altre utilità in favore del lavoratore, ciò che avrebbe comportato l’applicazione del principio in virtù del quale, rispetto a tale situazione, il predetto non sia tenuto a dimostrare l’insussistenza di un titolo di altra natura, spettando all’altra parte la prova di una “causa solvendi” diversa da quella retributiva. (cfr. Cass. 28.3.2018 n. 7703);
3. il secondo motivo è rubricato quale “esatta indicazione dell’oggetto della domanda”, osservandosi che il giudice del gravame abbia colmato con una palese forzatura una carenza di motivazione che il ricorrente aveva riscontrato nella sentenza di primo grado relativamente alla indicazione del c.c.n.l., alla qualificazione delle mansioni svolte ed alla correttezza della somma rivendicata, ritenendo necessaria la indicazione della declaratoria contrattuale rivendicata, laddove doveva ritenersi sufficiente la indicazione delle mansioni;
3.1. anche tale motivo risulta inammissibilmente formulato, senza specificazione alcuna della violazione dedotta, salvo ritenere che nella sostanza si intenda richiamare il principio, affermato da questa Corte secondo cui “la specificazione delle mansioni svolte e della normativa collettiva applicabile costituisce sufficiente adempimento degli oneri imposti dall’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4 in caso di domanda del lavoratore diretta ad ottenere il riconoscimento di una qualifica superiore a quella rivestita ed il pagamento delle conseguenti differenze retributive, senza che sia necessaria l’indicazione di parametri retributivi e dei compensi effettivamente percepiti oppure la quantificazione dei crediti dedotti, raggiungibile anche attraverso una consulenza tecnica” (cfr. Cass. 27.3.2009 n. 7524);
3.2. tuttavia, per disattendere i pur generici rilievi, è sufficiente osservare che nel caso all’esame non si tratta neanche di riconoscimento di qualifica superiore, quanto proprio del riconoscimento di svolgimento di attività in regime di subordinazione, sicché era preliminare la prova della sussistenza degli elementi caratterizzanti tale tipo di prestazione;
4. con il terzo motivo, è ascritta alla decisione impugnata violazione di legge in relazione all’art. 2095 c.c. e si lamenta, altresì, omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, sul rilievo che il c.c.n.l. Industria e Terziario e la giurisprudenza riconoscono come dirigenti i lavoratori che in azienda ricoprono un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale e la cui attività è diretta a promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresà, onde non poteva asserirsi che il dirigente fosse sottoposto a vincoli di subordinazione gerarchica nei confronti di altri dirigenti; si richiamano deposizioni testimoniali che avrebbero asseritamente dimostrato che il ricorrente era responsabile della produzione e si occupava anche della vendita, oltre ad impartire ordini, pure se le disposizioni di carattere generale provenivano dall’ufficio; si aggiunge che era falsa e non provata l’affermata circostanza che il C.T. non avesse mai richiesto l’assunzione ed il pagamento delle competenze economiche;
4.1. ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale – nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia e il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente – il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell’ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata (la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la qualificazione come subordinato di un rapporto di lavoro dirigenziale, non ritenendo sufficiente il solo elemento indiziario dell’inserimento del lavoratore nell’organizzazione imprenditoriale, in mancanza di allegazione e prova circa l’esistenza dli una – pur attenuata – eterodirezione da parte dei vertici della società) (v. da ultimo Cass. 13.6.2020 n. 3640);
4.2. sulla ritenuta allegazione di richieste avanzate in ordine all’assunzione ed ai compensi non si trascrive alcunché a conforto dell’assunto, a ciò conseguendo una sostanziale carenza e mancanza di specificità nella formulazione del motivo;
5. per le ragioni esposte il ricorso va complessivamente respinto;
6. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo, tenuto conto della limitata attività difensiva svolta con la memoria depositata;
7. essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2021
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