LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17233-2015 proposto da:
P.C., R.T., e R.S. nella qualità
di eredi di R.F., tutte elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI PARIOLI 63, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CIRIELLO, rappresentate e difese dall’avvocato EMILIO PERUGINI;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA SANITARIA LOCALE DI BENEVENTO in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO LONARDO, (Studio Sandulli), rappresentata e difesa dall’avvocato CATERINA COSTANTINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1042/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata 11 26/02/2015 R.G.N. 11122/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.
RILEVATO
CHE:
1. con sentenza in data 26 febbraio 2015, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello principale di R.F. avverso la sentenza di primo grado, che riformava, in accoglimento dell’appello incidentale della A.S.L. di Benevento, con il rigetto integrale della domanda del predetto, dirigente medico alle sue dipendenze, il quale ne aveva chiesto la condanna al pagamento, in proprio favore, di differenze retributive conseguenti al diritto di percepire l’indennità prevista dall’art. 40, comma 9 CCNL dirigenza medica 2000 (oltre che per il periodo dal 1 luglio 1998 al 31 luglio 2001, già rigettata dal Tribunale per eccepita prescrizione), anche per quello successivo all’11 gennaio 2007, che il primo giudice aveva invece riconosciuto in misura di Euro 9.765,84, oltre l’importo da calcolare per tredicesima mensilità;
2. la Corte territoriale riteneva non provato, per insufficienza e genericità della documentazione prodotta (stralcio di Delib. n. 312 del 2005 di adozione della dotazione(organica, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 34 dello *****; nota prot. 23239 dell’8 febbraio 2008 del responsabile U.O.C. della Gestione del personale della ASL Benevento *****), il contemporaneo svolgimento dal dirigente, per tutti i giorni della settimana lavorativa, di due incarichi di responsabile di struttura complessa (nemmeno risultando una tale natura dei due presidi), giustificante la percezione dell’indennità suddetta;
3. con atto notificato il 7 luglio 2015, P.C., T. e R.S., quali eredi del defunto R.F., ricorrevano per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis.1 c.p.c., cui resisteva la A.S.L. di Benevento con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. le ricorrenti deducono, nella qualità, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c., art. 1362 c.c. e ss., per erroneità di valutazione dei documenti acquisiti provenienti da enti pubblici e di interpretazione della Delib. n. 312 del 2005 e delle note ASL 23239/2008 e 186525/2008, per la compiuta prova offerta dal dirigente del contemporaneo svolgimento dei due incarichi di responsabile di struttura complessa per i periodi dal 1 luglio 1998 al 31 luglio 2001 e successivo all’11 gennaio 2007, senza alcuna contestazione dalla A.S.L. nella memoria difensiva di primo grado in merito al primo periodo, ma soltanto al secondo, con la conseguente applicazione del principio di non contestazione (primo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c., art. 40, comma 9 CCNL Dirigenza Professionale Tecnica e Amministrativa 2000, 1362 ss.. c.c., per l’ammissione, in base alla documentazione della A.S.L. prodotta (in particolare: “in calce ai verbali di negoziazione dei Budget annuali vi è apposta la firma del ricorrente quale responsabile UO Complessa) ma erroneamente valutata, di contemporanea titolarità dal dirigente dei due incarichi in oggetto (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116 c.p.c., art. 40, comma 9 CCNL Dirigenza Professionale Tecnica e Amministrativa 2000, 1362 ss. c.c., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di extrapetizione della sentenza, in ordine alla ritenuta impossibilità di determinazione dell’indennità richiesta, in quanto non oggetto dei motivi di gravame, peraltro da intendersi, così come il diritto all’indennità, implicitamente riconosciuto dalla A.S.L. per effetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva formulata (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
2.1. i motivi difettano di specificità, prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in assenza di trascrizione della Delib. n. 312 del 2005 (prodotta pure per stralcio), delle note ASL 23239/2008 e 186525/2008 e di altri neppure specificamente indicati (ai primi sei alinea di pg. 14 del ricorso); oltre che della memoria difensiva della A.S.L., di asserita parziale non contestazione: essendone la trascrizione necessaria, atteso che l’onere di specifica contestazione ad opera della parte costituita presuppone a monte un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova (Cass. 13 ottobre 2016, n. 20637), quanto meno nei passaggi essenziali (Cass. 9 agosto 2016, n. 16655); a fronte, per giunta, di contestazione della responsabilità di due strutture complesse, senza distinzione di periodi e quindi in relazione al primo, “sin dal primo grado” ritenuta dalla Corte territoriale (al primo periodo di pg. 4 della sentenza);
2.2. il ricorso deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni di cassazione della sentenza di merito e a permetterne la valutazione di fondatezza, senza necessità di accesso a fonti esterne e ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito: sicché, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, la sede di produzione e di riproduzione, almeno per la parte di interesse, degli atti processuali e dei documenti a fondamento del ricorso (Cass., 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679);
2.3. non sono poi configurabili le violazioni di legge denunciate, in riferimento: all’art. 115 c.p.c., in quanto errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); all’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), idonea ad integrare vizio di error in procedendo, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892); all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); sicché, tali denunce di vizi si risolvono in una censura sostanziale di errore di valutazione, insindacabile in sede di legittimità;
2.4. inoltre, le ricorrenti contestano l’interpretazione degli atti suindicati, come noto riservata esclusivamente al giudice di merito, neppure censurandola in modo appropriato, indicando i canoni interpretativi violati, né tanto meno specificando le ragioni né il modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350); essendo poi l’interpretazione assolutamente plausibile (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044), in esito ad un’attenta e critica lettura dei documenti con argomentazione congrua (per le ragioni esposte dal secondo all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), cui esse hanno opposto un’interpretazione propria di parte a quella della Corte territoriale (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 10 maggio 2018, n. 11254), così censurando il risultato interpretativo in sé (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891), insindacabile in sede di legittimità;
2.5. una volta che sia stata esclusa la spettanza del diritto, rimane assorbita ogni questione sulla pronuncia relativa alla sua liquidazione e di riflesso alla denuncia di extrapetizione in merito: peraltro, in quanto ricorrente quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. 7 dicembre 2005, n. 26999; Cass. 5 agosto 2019, n. 20932), neppure configurabile avendo l’originario appellante, dante causa a titolo universale delle odierne ricorrenti, formulato un’esplicita domanda di condanna al pagamento, a titolo di compenso per il diritto rivendicato, di somme determinate (come esposto al secondo capoverso di pg. 2 della sentenza);
3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le eredi del lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2021
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