LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21458/2020 R.G. proposto da MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv. Biancalaura Capruzzi, e Mariangela Lioce, con domicilio eletto in Roma, via Nizza, n. 53, presso lo studio dell’Avv. Fabio Caiaffa;
– controricorrente –
e *****, in persona del presidente M.V., rappresentata e difesa dagli Avv. Patrizia Fiore, e Maria Grazia Sangalli, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BARI, e PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BARI, nonché B.J.K., e L.D., in proprio e nella qualità di genitori investiti della responsabilità sul minore B.L.F.G.;
– intimati –
avverso il decreto della Corte d’appello di Bari depositato il 3 febbraio 2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari propose ricorso ai sensi del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 95 chiedendo disporsi la cancellazione della trascrizione dell’atto di nascita del minore B.L.F.G., effettuata il 18 ottobre 2017 dall’ufficiale di stato civile del Comune di Bari su richiesta inoltrata dall’Ambasciata d’Italia a Malta il 23 agosto 2017.
A sostegno della domanda, richiamò la nota trasmessa dal Ministero dello interno al Comune il 2 marzo 2018, da cui emergeva che la trascrizione era stata effettuata in assenza dei relativi presupposti, risultando il minore privo di collegamenti con l’ordinamento italiano, in quanto nato da B.J.K., cittadina ***** unita civilmente con L.D., cittadina ***** iscritta presso l’A.I.R.E. del Comune di Bari.
A seguito della notificazione del ricorso, si costituirono il Ministero dello interno, che aderì alla domanda, ed il Comune di Bari, che si limitò a prendere atto delle richieste formulate dalle parti.
Nel procedimento spiegò inoltre intervento l'*****, chiedendo il rigetto della domanda.
1.1. Avendo il ricorrente rinunciato successivamente all’istanza di cancellazione, il Tribunale di Bari, con decreto del 21 maggio 2019, escluse la legittimazione del Ministero dell’interno alla prosecuzione del giudizio e dichiarò estinto il procedimento.
2. Il reclamo proposto dal Ministero è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bari con decreto del 3 febbraio 2020.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto escluso la tardività dell’impugnazione, rilevando che il giudizio di primo grado si era svolto nei confronti di una pluralità di parti, e ritenendo pertanto che la decorrenza del termine per il reclamo dovesse essere ancorata non già alla comunicazione del decreto impugnato, ma alla notificazione dello stesso ad istanza di parte, nella specie non effettuata.
Ha ritenuto inoltre sussistente la legittimazione del Ministero, del Comune e della *****, osservando che a) nell’esercizio delle funzioni di ufficiale dello stato civile il Sindaco agisce in qualità di ufficiale di governo, e quindi come organo periferico dell’Amministrazione statale, alla quale sono dunque o imputabili gli atti compiuti, con la conseguenza che la stessa riveste la posizione di legittimo contraddittore non solo in senso formale, in virtù della competenza ad essa attribuita, ma anche in senso sostanziale, in quanto portatrice di un interesse autonomo, concreto ed attuale ad una corretta ed uniforme applicazione della normativa in materia, b) il Comune si era costituito in giudizio esclusivamente a seguito dell’integrazione del contraddittorio, disposta dal Tribunale ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 96 affinché potesse rappresentare le ragioni sulle quali era fondata la trascrizione dello atto di nascita, effettuata peraltro previa richiesta di un parere al Ministero, c) l’Associazione, oltre a risultare destinataria dell’impugnazione, in quanto parte del giudizio di primo grado, era portatrice di uno specifico interesse, derivante dall’idoneità della decisione a proiettarsi verso un piano determinativo dell’operato degli ufficiali di stato civile, con efficacia verso un numero ampio e indefinito di soggetti, tale da condizionare i fini statutari dell’Associazione.
Nel merito, premesso che l’oggetto della controversia era costituito dalla trascrivibilità dell’atto di nascita del minore, procreato mediante il ricorso ad una tecnica di fecondazione assistita di tipo eterologo, e quindi sprovvisto di un legame biologico con il genitore intenzionale munito della cittadinanza *****, la Corte ha escluso che la trascrizione potesse essere rifiutata ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18 e della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 65 in quanto contrastante con l’ordine pubblico. Precisato che tale nozione coincide con l’ordine pubblico internazionale, quale limite all’applicazione del diritto straniero, ancorato ai diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Costituzione, dal Trattato fondativo e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e dalla CEDU, con particolare riferimento all’interesse supremo del minore ed alla tutela dei suoi diritti fondamentali, tra i quali spicca il diritto al riconoscimento della genitorialità, ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il riconoscimento dello status di genitore in favore del genitore c.d. intenzionale incontra un limite esclusivamente nel divieto della surrogazione di maternità posto dalla L. 19 febbraio 2004, n. 40, atr. 12. Ha escluso l’applicabilità di tale disposizione, evidenziando le differenze esistenti tra la surrogazione di maternità e la fecondazione eterologa, caratterizzata dall’apporto genetico di un terzo donatore del gamete per la realizzazione del progetto genitoriale di una coppia omosessuale, nonché l’analogia tra il caso in esame e quello di una coppia che per sterilità o infertilità assoluta ed irreversibile non sia in grado di procreare autonomamente. Ha ritenuto altresì infondato il richiamo al dato biologico, osservando che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014, lo stesso deve ritenersi sostituito dal consenso, ai sensi della L. n. 40 cit., ed aggiungendo che in presenza di una valida unione civile deve conferirsi rilievo al disposto dell’art. 8 medesima legge, che attribuisce al nato lo status di figlio, nonché alla L. 20 maggio 2016, n. 76, la quale esclude la possibilità di riferire il termine “coppia” alle sole coppie di sesso diverso. Ha rilevato infine che il principio dell’individuabilità genitoriale sulla base del consenso è stato esteso dalla L. n. 40 del 2004 ad ogni ipotesi di nascita a seguito di procreazione medicalmente assistita indipendentemente dalla circostanza che il consenso sia stato acquisito da un’autorità estera, affermando comunque che, in assenza di profili di contrarietà allo ordine pubblico, la diversità di sesso tra i genitori non può giustificare una condizione deteriore per i figli che tale qualità abbiano assunto in conseguenza di tecniche procreative consentite all’estero, con nascita certificata dallo Stato straniero.
3. Avverso il predetto decreto il Ministero ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Hanno resistito con controricorsi il Comune di Bari e la *****, la quale ha proposto ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale, il Ministero denuncia l’eccesso di potere giurisdizionale, sostenendo che, nel confermare la legittimità della trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita attestante lo status filiationis nei confronti della madre intenzionale, nonostante la mancanza di un legame biologico tra la stessa ed il minore, il decreto impugnato ha disposto la formazione di un atto dello stato civile atipico, in assenza di una norma di legge che lo preveda, in tal modo invadendo la sfera di discrezionalità politica spettante al legislatore. Premesso infatti che il nostro ordinamento, pur avendo riconosciuto alle coppie omosessuali una serie di diritti in prospettiva antidiscriminatoria, anche in materia di genitorialità, ha consentito alle stesse di ottenere l’adozione non legittimante, senza però equipararle pienamente alle coppie eterosessuali, osserva che l’eventuale contrarietà alla Costituzione delle norme delle L. n. 40 del 2004 e L. n. 76 del 2016 che vietano il ricorso alla maternità surrogata o alla procreazione medicalmente assistita da parte delle coppie omosessuali o l’adozione da parte di persone dello stesso sesso legate da unioni civili avrebbe dovuto essere fatta valere attraverso la proposizione della questione di legittimità costituzionale.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha infatti giustificato la propria decisione attraverso il richiamo alla L. n. 40 del 2004, art. 8 ed alla L. n. 76 del 2016, interpretati alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e da quella costituzionale in tema di surrogazione di maternità, sulla base dei quali ha ritenuto che, in presenza di una valida unione civile tra donne, la mancanza di un legame biologico tra il minore nato all’estero a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo ed una di esse non impedisca la trascrizione dell’atto di nascita in Italia, risultando determinanti, ai fini della costituzione del rapporto genitoriale, il consenso prestato all’utilizzazione delle predette tecniche e l’esigenza di tutelare l’interesse del minore, la quale esclude che l’identità di sesso tra i genitori possa giustificare un trattamento deteriore per il figlio, in assenza di elementi di contrarietà all’ordine pubblico. In quanto ancorato alla disciplina vigente, sia pure interpretata secondo criteri evolutivi, tale ragionamento consente di escludere la sussistenza del vizio lamentato, configurabile soltanto nel caso in cui il giudice non si sia limitato ad applicare una norma giuridica esistente, ma ne abbia creata una nuova, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa estranea alla sua competenza. E’ noto d’altronde che alla figura dell’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore viene riconosciuta una rilevanza eminentemente teorica, trattandosi di un vizio ipotizzabile soltanto a condizione di poter distinguere l’attività di produzione normativa indebitamente esercitata dal giudice dall’attività interpretativa, la quale in realtà non ha una funzione meramente euristica, ma si sostanzia in un’opera creativa della volontà della legge nel caso concreto (cfr. Cass., Sez. Un., 27/06/2018, n. 16974; 12/12/ 2012, n. 22784; 28/01/2011, n. 2068).
L’eccesso di potere giurisdizionale non è configurabile neppure in relazione alla mancata proposizione della questione di legittimità costituzionale, non essendo il giudice tenuto senz’altro a promuoverla nel caso in cui ritenga che l’interpretazione corrente delle norme di legge applicabili alla fattispecie sottoposta al suo esame sia contraria alla Costituzione, ma dovendo prima di rimettere gli atti alla Corte costituzionale, sperimentare la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, la cui mancata ricerca, a fronte di una pluralità di plausibili interpretazioni ed in assenza di un indirizzo interpretativo qualificabile come diritto vivente, può anzi costituire causa d’inammissibilità della questione.
2. Prioritario, rispetto all’esame delle altre censure proposte con il ricorso principale, è poi quello del quinto motivo, con cui l’Amministrazione deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96 censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che la domanda avesse ad oggetto l’accertamento della contrarietà all’ordine pubblico del riconoscimento compiuto in assenza di un legame genetico tra il minore ed il genitore intenzionale, laddove la stessa era volta a far accertare la contrarietà della trascrizione agli artt. 95 e 96 cit. Premesso che il procedimento previsto da tali disposizioni mira ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto e quella risultante dall’atto di stato civile per un vizio comunque originato nel procedimento di formazione di quest’ultimo, sostiene che nella specie l’ufficiale di stato civile avrebbe dovuto rifiutare la trascrizione, non essendovi corrispondenza tra la realtà di fatto, costituita dalla nascita del minore da madre *****, ed il contenuto del certificato di nascita, attestante lo status di figlio di una cittadina *****.
2.1. Il motivo è infondato.
Il giudizio in esame non trae infatti origine dall’impugnazione da parte di un interessato del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile alla richiesta di trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, ma dalla domanda, proposta dal Pubblico Ministero ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, comma 2, di cancellazione della trascrizione già effettuata in accoglimento della richiesta inoltrata dalle interessate a mezzo dell’Autorità diplomatica ai sensi degli artt. 15 e 17 medesimo D.P.R. n. In quanto fondata sull’allegazione della contrarietà della trascrizione alla disciplina dettata dalle predette disposizioni (le quali, prevedendo la trascrizione delle sole dichiarazioni di nascita relative a cittadini italiani nati all’estero, ne escludono la possibilità nel caso in cui il nato non abbia alcun collegamento con l’ordinamento italiano, non potendosi considerare figlio di un cittadino italiano), tale domanda trae origine da una difformità tra la situazione di fatto, quale dovrebbe essere nella realtà secondo la predetta disposizione, e quella annotata nel registro degli atti di nascita, causata da un errore asseritamente compiuto in sede di trascrizione, e non dà pertanto luogo ad una controversia di stato (nell’ambito della quale il Pubblico Ministero avrebbe peraltro rivestito soltanto la qualità di parte necessaria, senza essere legittimato a promuoverla: cfr. Cass., Sez. Un., 8/05/2019, n. 12193), ma proprio ad una delle controversie previste dal D.P.R. n. 396, art. 95 (cfr. Cass., Sez. I, 2/10/2009, n. 21094; 27/03/ 1996, n. 2776; 30/10/1990, n. 10519). La circostanza che la trascrizione dell’atto di nascita abbia avuto luogo senza contestazioni consente d’altronde di escludere che per ottenerla le interessate fossero tenute a promuovere il procedimento prescritto dalla L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 67 richiamato dall’art. 68 per gli atti pubblici ricevuti all’estero, e ritenuto applicabile anche in caso di rifiuto dell’ufficiale di stato civile di trascrivere un provvedimento giurisdizionale straniero recante l’accertamento del rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano (cfr. Cass., Sez. Un., 8/05/2019, n. 12193, cit.). Nella specie, pertanto, l’unico strumento utilizzabile ai fini della contestazione della legittimità della trascrizione dev’essere individuato nel procedimento di rettificazione, la cui funzione, collegata a quella pubblicitaria propria dei registri dello stato civile ed alla natura dichiarativa propria delle annotazioni in essi contenute, aventi l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 451 c.c., ma non costitutive dello status cui i fatti da esse risultanti si riferiscono, esclude peraltro l’idoneità della decisione ad acquistare efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza del rapporto giuridico di filiazione.
3. Con il secondo motivo, il Ministero deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18 e della L. n. 218 del 1995, artt. 16 e 95 affermando che la trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita attestante una bigenitorialità omosessuale si pone in contrasto con l’ordine pubblico, previsto dalla legge quale limite all’ingresso di norme o provvedimenti stranieri contrastanti con i principi cardine del nostro ordinamento. Premesso che l’eccessiva ampiezza della nozione di ordine pubblico accolta dal decreto impugnato comporta una vanificazione del predetto limite, avente la funzione di salvaguardare l’insieme dei valori e principi che costituiscono parte integrante del sostrato giuridico nazionale, osserva che in materia di filiazione uno dei predetti principi è costituito proprio dall’identificazione della stessa con la discendenza da persone di sesso diverso, che rappresenta quindi un presupposto indispensabile per il riconoscimento di un rapporto di filiazione. Rilevato inoltre che il nostro ordinamento prevede, oltre alla filiazione biologica, matrimoniale o naturale, tra persone di sesso diverso, quella adottiva, caratterizzata dall’assenza di un legame biologico, e quella derivante da procreazione medicalmente assistita, con o senza legame biologico, ma sempre tra persone di sesso diverso, evidenzia che la possibilità di accedere alla filiazione adottiva o alla procreazione medicalmente assistita tra persone dello stesso sesso senza legame biologico è espressamente esclusa dalla legge; afferma che tale divieto non contrasta con i principi sanciti dalla CEDU, i quali non escludono la legittimità di norme interne che attribuiscano alla procreazione medicalmente assistita una finalità esclusivamente terapeutica, non garantendo né il diritto di fondare una famiglia né quello di adottare, ed identificando nel legame genetico o biologico con il minore il limite oltre il quale è rimessa alla discrezionalità del legislatore nazionale l’individuazione degli strumenti più adeguati per conferire rilievo al rapporto genitoriale. Nega la sussistenza di un interesse del minore che possa prevalere sulle norme fondamentali interne ed internazionali che definiscono il concetto di maternità, osservando comunque che nel caso in esame l’inefficacia del riconoscimento posto in essere dal genitore intenzionale non impedirebbe al minore né di accedere al trattamento giuridico proprio dello status filiationis, ricollegabile al riconoscimento compiuto dalla madre biologica, né di mantenere le relazioni affettive instaurate nell’ambito del rapporto di convivenza. Insiste sulla differenza tra genitorialità biologica e genitorialità intenzionale, sottolineando che la trascrizione del riconoscimento compiuto all’estero dal genitore d’intenzione comporterebbe la regolarizzazione di una posizione che nel nostro ordinamento non risulta in alcun modo tutelata, in quanto espressamente vietata. Contesta infine l’applicabilità dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento a minori concepiti da coppie omosessuali mediante il ricorso alla fecondazione eterologa, osservando che in tali ipotesi sussisteva un legame biologico con entrambi i genitori, e rilevando comunque che il divieto di utilizzazione della predetta tecnica da parte delle coppie omosessuali è stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale.
4. Con il terzo motivo, l’Amministrazione lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 30 dell’art. 269 c.c. e della L. n. 40 del 2004, artt. 4,5,8 e 12 sostenendo che nel nostro ordinamento la posizione di madre si caratterizza per un fondamento non già volitivo-negoziale, ma oggettivo-genetico, per effetto del quale si richiede, ai fini del riconoscimento dello status filiationis, la sussistenza di un legame biologico con il minore. Premesso che la legislazione più recente, nel disciplinare l’accesso all’adozione ed alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, stabilisce il limite invalicabile della diversità di sesso, osserva che detto limite non risulta superato per effetto delle pronunce d’incostituzionalità che hanno ampliato l’ambito applicativo della L. n. 40 del 2004, avendo queste ultime confermato l’ammissibilità del ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita soltanto in presenza di sterilità o infertilità patologica o di malattie genetiche trasmissibili, con la conseguente esclusione delle ipotesi in cui, come nelle coppie omosessuali, l’impossibilità di generare è dovuta ad un limite naturale.
5. Con il quarto motivo, l’Amministrazione denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 40 del 2004, art. 8 e della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 20, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto che, in presenza di una valida unione civile, anche tra persone del medesimo sesso, possa riconoscersi lo stato di figlio legittimo al minore mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Premesso che l’art. 8 cit. presuppone che l’utilizzazione di tali tecniche abbia avuto luogo in conformità delle norme che la disciplinano, contesta la pertinenza del riferimento alla L. n. 76, rilevando che la stessa esclude espressamente la possibilità di estendere alle unioni civili le norme in materia di filiazione ed adozione, ed aggiungendo che tale ostacolo non è superabile neppure in virtù dell’avvenuta celebrazione del matrimonio all’estero, dal momento che, ai sensi della L. n. 219 del 1995, artt. 32-bis e 32-quinquies lo stesso soggiace alle stesse limitazioni previste per le unioni civili. Nega inoltre la pertinenza del richiamo all’orientamento giurisprudenziale che ha ammesso l’adozione, ai sensi della L. 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d), del figlio della persona convivente dello stesso sesso, evidenziando le profonde differenze riscontrabili tra la predetta ipotesi e quella del riconoscimento del figlio da parte del genitore intenzionale avente lo stesso sesso di quello biologico. Afferma che il tema della filiazione non coincide per intero con quello della genitorialità, essendo previste forme giuridiche idonee a costituire un rapporto di responsabilità di tipo genitoriale che prescindono dalla discendenza biologica, e spettando esclusivamente al legislatore una politica di sostegno delle coppie omosessuali, non necessariamente volta all’eliminazione di qualsiasi disparità di trattamento. Rileva in proposito che la giurisprudenza costituzionale, pur avendo accordato rilevanza giuridica e tutela all’unione omosessuale, inquadrate nella nozione di formazione sociale di cui all’art. 2 Cost., ha ribadito come la Costituzione non ponga un modello di famiglia inscindibilmente collegato alla presenza di figli, con la conseguenza che il riconoscimento della libertà e volontarietà dell’atto di diventare genitori incontra i limiti necessari al bilanciamento di tale libertà con altri valori costituzionalmente protetti.
6. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono infondati.
Com’e’ noto, la questione riguardante l’ammissibilità della trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita validamente formato all’estero dal quale risulti che il nato, concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, è figlio di due persone dello stesso sesso, è stata già ripetutamente affrontata da questa Corte, la quale l’ha risolta in senso positivo, avendo ritenuto irrilevanti, in contrario, le limitazioni imposte dalla L. n. 40 del 2004 all’utilizzazione delle predette tecniche, in virtù della considerazione che tale disciplina rappresenta soltanto una delle possibilità modalità di esercizio del potere regolatorio spettante al legislatore italiano in una materia, pur eticamente sensibile e costituzionalmente rilevante, nella quale le scelte legislative non risultano costituzionalmente obbligate. Tale principio è stato originariamente enunciato in riferimento ad una fattispecie non interamente assimilabile alla fecondazione assistita di tipo eterologo, in quanto caratterizzata dalla sussistenza di un legame biologico tra il nato ed entrambe le genitrici, una delle quali aveva provveduto alla gestazione, mentre l’altra aveva fornito l’ovulo necessario per la fecondazione, avvenuta con il contributo di un terzo donatore (cfr. Cass., Sez. I, 30/09/2016, n. 19599); esso è stato in seguito esteso anche ad un’ipotesi di vera e propria fecondazione eterologa, nella quale una delle genitrici (c.d. madre intenzionale) si era limitata a prestare il proprio consenso alla procreazione medicalmente assistita, senza fornire alcun apporto, neppure di tipo genetico (cfr. Cass., Sez. I, 15/06/2017, n. 14878).
A sostegno di tali conclusioni, è stata esclusa la contrarietà dell’atto di nascita all’ordine pubblico, osservandosi che a) la nozione di ordine pubblico non può essere desunta dalle norme con le quali il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalità in una determinata materia, ma esclusivamente dai principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE e dalla CEDU, vincolanti per il legislatore ordinario, b) nella materia in esame, il principio fondamentale è costituito dalla prevalenza dell’interesse del minore, riconosciuto e tutelato sia nell’ordinamento internazionale che in quello interno, il quale si sostanzia, nella specie, nel diritto a conservare lo status di figlio, risultante da un atto validamente formato in un altro Paese, c) il rifiuto di riconoscere il rapporto di filiazione si pone in contrasto con il predetto interesse, incidendo negativamente sulla definizione dell’identità personale del minore, al quale viene impedito non solo di acquistare la cittadinanza ***** e i diritti ereditari, ma anche di circolare liberamente nel territorio italiano e di essere rappresentato dal genitore nei rapporti con le istituzioni italiane, nonché di intrattenere relazioni personali con entrambi i genitori, al pari degli altri bambini, d) tale discriminazione non può trovare giustificazione nell’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati nella disciplina di materie eticamente sensibili come quella in esame e nell’intento di scoraggiare i cittadini dall’accedere all’estero a pratiche vietate nel loro territorio, non potendo il nato rispondere delle conseguenze del comportamento di coloro che hanno scelto di metterlo al mondo mediante l’utilizzazione di una tecnica di procreazione non consentita in Italia, e) la regola stabilita dall’art. 269 c.c., comma 3, secondo cui, nel nostro ordinamento, è madre soltanto colei che partorisce, non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, ma è una norma riguardante la prova della maternità, dalla quale non può desumersi un principio di ordine pubblico, f) la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero non trova ostacolo nell’identità di sesso dei genitori, non esistendo a livello costituzionale un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere ed anche di generare figli.
Le conclusioni cui sono pervenute le predette sentenze non sono state smentite dalla successiva pronuncia con cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno escluso l’ammissibilità del riconoscimento di un provvedimento giurisdizionale straniero recante l’accertamento del rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione in possesso della cittadinanza ***** (cfr. Cass., Sez. Un., 8/05/2019, n. 12193): tale esclusione è stata infatti giustificata mediante il richiamo al divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificato come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore. Nell’occasione, è stata chiarita la nozione di ordine pubblico rilevante ai fini della L. n. 218 del 1995, artt. 64 e ss. mediante l’affermazione che la compatibilità dell’atto o del provvedimento straniero con l’ordinamento italiano dev’essere valutata alla stregua dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, nonché del modo in cui detti principi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico. Nel contempo, è stata ribadita la distinzione tra la fecondazione eterologa e la surrogazione di maternità, precisandosi che quest’ultima è accomunata alla prima dalla necessità dell’apporto genetico di un terzo donatore del gamete, ma se ne differenzia per la caratteristica essenziale costituita dall’intervento di una donna estranea, la quale presta il proprio corpo alla coppia per aiutarla a realizzare il proprio progetto genitoriale, provvedendo alla gestazione ed al parto, ma rinunciando ad ogni diritto nei confronti del nato. Richiamato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui, nonostante l’accentuato favor dimostrato dall’ordinamento per la conformità dello status di figlio alla realtà della procreazione, l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con gli altri interessi coinvolti, in particolare con l’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis, e dato atto che in caso di ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita il legislatore ha attribuito la prevalenza proprio a quest’ultimo interesse, dichiarando inammissibile il disconoscimento di paternità, è stato chiarito che il divieto della maternità surrogata si configura come “l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica”.
Alla stregua di tale chiarimento, può ritenersi che, al di fuori delle ipotesi in cui opera il divieto della surrogazione di maternità, l’insussistenza di un legame genetico o biologico con il minore nato all’estero non impedisca il riconoscimento del rapporto di filiazione con un cittadino italiano che abbia prestato il proprio consenso all’utilizzazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dal nostro ordinamento: le limitazioni previste dalla L. n. 40 del 2004 costituiscono infatti espressione non già di principi di ordine pubblico internazionale, ma del margine di apprezzamento di cui il legislatore dispone nella definizione dei requisiti di accesso alle predette pratiche, la cui individuazione, avente portata vincolante nell’ordinamento interno, non è di ostacolo alla produzione di effetti da parte di atti o provvedimenti validamente formati nell’ambito di ordinamenti stranieri e disciplinati dalle relative disposizioni.
Tale affermazione non è contraddetta dalle più recenti pronunce di questa Corte, secondo cui il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, ma non avente alcun legame biologico con il minore, si pone in contrasto con la L. n. 40 del 2004, art. 4, comma 3 e con l’esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali, non essendo consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (cfr. Cass., Sez. I, 22/04/2020, n. 8029; 3/04/2020, n. 7668). Tale principio è stato infatti enunciato in riferimento ad ipotesi in cui il minore, pur essendo stato concepito all’estero, era nato in Italia da una cittadina *****, con la conseguenza che la fattispecie doveva ritenersi interamente regolata dalla legge *****, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 33 non presentando alcun elemento di estraneità con il nostro ordinamento, tale da giustificare il ricorso alla nozione di ordine pubblico internazionale; nel caso in esame, invece, analogamente a quanto accaduto in quello preso in considerazione dalla sentenza n. 19599 del 2016, il minore risulta cittadino straniero, e segnatamente britannico, in quanto nato all’estero da una cittadina britannica, sicché il riconoscimento del rapporto di filiazione con la genitrice c.d. intenzionale risultante dall’atto di nascita è necessariamente subordinato alla verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico internazionale, ai sensi della L. n. 218 cit., degli artt. 65 e 67. In proposito, va ribadito che la nozione di ordine pubblico rilevante ai fini del riconoscimento dell’efficacia degli atti e dei provvedimenti stranieri è più ristretta di quella rilevante nell’ordinamento interno, corrispondente al complesso dei principi informatori dei singoli istituti, quali si desumono dalle norme imperative che li disciplinano: non può quindi ravvisarsi alcuna contraddizione tra il riconoscimento del rapporto di filiazione risultante dall’atto di nascita formato all’estero e l’esclusione di quello derivante dal riconoscimento effettuato in Italia, la cui efficacia dev’essere valutata alla stregua della disciplina vigente nel nostro ordinamento; è noto d’altronde che il riconoscimento dell’atto straniero non fa venir meno l’estraneità dello stesso all’ordinamento italiano, il quale si limita a consentire la produzione dei relativi effetti, così come previsti e regolati dall’ordinamento di provenienza, nei limiti in cui la relativa disciplina risulti compatibile con i principi di ordine pubblico internazionale (cfr. Cass., Sez. I, 22/04/2020, n. 8029).
Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alla fecondazione eterologa ed alla surrogazione di maternità, ha ritenuto inapplicabile il divieto posto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, evidenziando le differenze esistenti tra la fattispecie sottoposta al suo esame e quella prevista da tale disposizione, ed ha conseguentemente affermato la compatibilità dell’atto di nascita formato all’estero con i principi di ordine pubblico internazionale, individuati sulla base della nozione delineata dalle Sezioni Unite, con il conseguente rigetto della domanda di cancellazione della relativa trascrizione.
7. E’ invece fondato il sesto motivo, con cui il Ministero lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 1 censurando il decreto impugnato per aver escluso il difetto di legittimazione del Comune di Bari, senza considerare che, nell’esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile, il sindaco agisce non già come organo di vertice dell’Amministrazione comunale, ma come ufficiale di governo, e quindi come organo periferico dell’Amministrazione statale.
7.1. In tema di rettificazione degli atti dello stato civile, e con particolare riferimento all’impugnazione del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile alla richiesta di trascrizione nei registri anagrafici di un provvedimento giurisdizionale straniero avente ad oggetto l’accertamento del rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, questa Corte ha infatti riconosciuto la legittimazione a contraddire del Ministero dell’interno in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri anagrafici (cfr. Cass., Sez. Un., 8/05/2019, n. 12193): premesso che tale competenza, già spettante al Ministero della giustizia, ai sensi del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 13 è stata in seguito trasferita al Ministero dell’interno, al quale il D.P.R. n. 396 del 2000, art. 9 attribuisce il potere di impartire istruzioni agli ufficiali dello stato civile, nonché la vigilanza sui relativi uffici, da esercitarsi attraverso il prefetto, si è osservato che, nell’esercizio delle funzioni di ufficiale di stato civile, il Sindaco agisce, ai sensi del medesimo D.P.R. n. 396, art. 1 in qualità di ufficiale del governo, e quindi non già come organo di vertice e legale rappresentante dell’Amministrazione comunale, bensì come organo periferico dell’Amministrazione statale, dalla quale dipende ed alla quale sono pertanto imputabili gli atti da lui compiuti nella predetta veste, nonché la responsabilità per i danni dagli stessi cagionati (cfr. Cass., Sez. I, 25/03/2009, n. 7210; Cass., Sez. III, 6/08/2004, n. 15199; 14/02/2000, n. 1599). Tale principio deve ritenersi applicabile anche alla richiesta di cancellazione della trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, in ordine alla quale deve quindi escludersi la legittimazione a contraddire del Comune, non assumendo alcun rilievo, nella specie, la circostanza che quest’ultimo si sia costituito in ottemperanza all’ordine di chiamata in causa impartito in primo grado, dal momento che, contrariamente a quanto affermato dal decreto impugnato, l’unico soggetto abilitato a rappresentare le ragioni della trascrizione era l’Amministrazione cui spettava la relativa competenza.
8. E’ altresì fondato il settimo motivo, con cui il Ministero denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., censurando il decreto impugnato per aver riconosciuto la legittimazione ad intervenire della *****, senza considerare che, in quanto associazione di professionisti e studiosi di questioni in materia di *****, la stessa non è titolare di un interesse riconducibile all’oggetto del giudizio, esposto all’incidenza diretta della decisione.
8.1. Ai sensi dell’art. 105 c.p.c., la legittimazione a spiegare intervento nel giudizio spetta ai soli soggetti titolari di un diritto incompatibile con quelli fatti valere dalle parti in causa o di un rapporto connesso con quello dedotto in giudizio o da esso dipendente, restando pertanto esclusi quelli portatori di interessi di mero fatto, quali gli interessi diffusi, i quali sono “adespoti”, e possono quindi essere tutelati in sede giudiziale soltanto se ed in quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli componenti una collettività, in modo tale da farli assurgere al rango di interessi “collettivi” (cfr. Cass., Sez. Un., 16/11/2016, n. 23304; Cass., Sez. I, 15/06/2018, n. 15770; Cass., Sez. II, 4/02/2016, n. 2237). Non può pertanto condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’intervento della *****, in qualità di associazione statutariamente dedita allo sviluppo ed alla diffusione del rispetto dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali, transessuali ed intersessuali, nonché alla promozione dello studio e della difesa delle stesse tra gli operatori del diritto: in difetto di un ruolo di rappresentanza normativamente riconosciuto, l’idoneità di tale attività a “proiettarsi verso un piano determinativo dell’operato degli ufficiali di stato civile”, con effetti favorevoli per un numero ampio ed indefinito di soggetti, può venire in considerazione esclusivamente sul piano sociale e politico, restando estranea a quello dei rapporti giuridici, e risultando pertanto insufficiente a legittimare la partecipazione dell’Associazione ai giudizi coinvolgenti le predette categorie.
9. L’esclusione della legittimazione a spiegare intervento nel giudizio comporta infine l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto dalla *****, con cui la stessa ha censurato il decreto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto insussistente l’eccepito difetto di legittimazione del Ministero a proporre reclamo avverso la decisione di primo grado.
10. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con la dichiarazione d’inammissibilità degl’interventi del Comune di Bari e della *****.
La peculiarità della questione trattata, che ha costituito oggetto di una complessa vicenda giurisprudenziale, giustifica l’integrale compensazione delle spese dei tre gradi di giudizio.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
rigetta i primi cinque motivi del ricorso principale, accoglie il sesto ed il settimo motivo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, e, decidendo nel merito, dichiara inammissibili l’intervento del Comune di Bari e dell'*****. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021