LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 36579/2019 R.G. proposto da:
B.R.J., e B.R.C., rappresentate e difese dagli Avv. Roberta Ceschini, e Armando Restignoli, con domicilio eletto in Roma, viale G. Mazzini, n. 4;
– ricorrenti –
contro
F.F.J., e W.M.D., rappresentati e difesi dall’Avv. Stefania Scaglione, e Maria Pansera, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso il decreto della Corte d’appello di Bologna depositato l’8 luglio 2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 giugno 2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato.
FATTI DI CAUSA
1. J. e B.R.C., in qualità di genitori investiti della responsabilità sul minore B.R.E., nato in ***** mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, proposero ricorso al Tribunale di Bologna, per sentir disporre l’interruzione di ogni contatto tra il minore, W.M.D., genitore biologico di E., e F.F.J., compagno del W., con la cessazione di ogni illegittima interferenza di questi ultimi nel rapporto genitoriale.
Premesso che con provvedimento del 23 agosto 2010 la Family Court di Melbourne aveva rigettato la domanda di riconoscimento della paternità proposta dal W., riconoscendo i diritti genitoriali e l’esercizio della responsabilità genitoriale esclusivamente ad esse ricorrenti, ma concedendo al W. ed al F. il diritto di visita del minore, ed autorizzando il trasferimento di quest’ultimo in Italia, le B.R. riferirono di aver dapprima consentito la frequentazione, limitata a sporadici contatti e visite, ma di avere in seguito notato che il comportamento tenuto dai due uomini produceva un effetto psicologico destabilizzante sul bambino, presentandosi gli stessi come “i suoi due padri”, sia nell’ambito scolastico che nei rapporti sociali.
Si costituirono i convenuti, ed eccepirono il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, nonché l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con decreto del 17 luglio 2018, il Tribunale rigettò la domanda.
2. Il reclamo proposto dalle B. Rogers è stato rigettato dalla Corte d’appello di Bologna con decreto dell’8 luglio 2019.
A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto confermato la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, rilevando che, nonostante la probabilità di un rientro in ***** delle ricorrenti e del minore, a seguito della proposizione del reclamo, non risultava il luogo in cui gli stessi si erano trasferiti, e ritenendo comunque applicabile, anche ai sensi dell’art. 1 della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 e dell’art. 8 del regolamento CE n. 2201/2003, il principio della perpetuatio jurisdictionis, prevalente su quello di prossimità, in virtù del quale la competenza territoriale, spettante al giudice del luogo di residenza abituale del minore, da determinarsi sulla base della situazione di fatto esistente all’atto dell’introduzione del giudizio, resta ferma anche in caso di spostamento della residenza in corso di causa.
Nel merito, la Corte ha richiamato la relazione depositata dal c.t.u. nominato in primo grado, dalla quale emergeva che il legame tra i resistenti ed il minore non costituiva un pregiudizio per quest’ultimo, ma un arricchimento, e che, sebbene la conflittualità esistente tra le figure genitoriali, il W. ed il F. generasse una forte tensione percepibile dal bambino, l’interruzione dei rapporti non avrebbe potuto in alcun modo risolvere la situazione di difficoltà e conflitto, se non a prezzo di un’amputazione in termini affettivi profondi e relazionali a carico del minore, dal momento che la relazione tra lo stesso e i due uomini, già esistente e strutturata, non era venuta meno neppure a causa della distanza geografica e dei periodi d’interruzione della frequentazione. Ha ritenuto pertanto di dover conferire rilievo al preminente interesse del minore, escludendo inoltre che il provvedimento adottato dalla Corte ***** si ponesse in contrasto con l’ordine pubblico, nella parte in cui riconosceva il diritto di visita dei resistenti: ha reputato infatti ininfluente, a tal fine, l’estraneità di questi ultimi al nucleo familiare, dando atto dell’intervenuta valutazione in sede giurisdizionale dell’esistenza di un rapporto affettivo, consolidatosi anche per volontà delle genitrici esercenti la potestà, e del pregiudizio derivante dall’interruzione di tale rapporto.
3. Avverso il predetto decreto le B. Rogers hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Il F. ed il W. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato a due motivi, ed anch’esso illustrato con memoria.
Il ricorso è stato quindi esaminato in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Prioritario rispetto all’esame delle altre censure proposte dalle parti è quello del primo motivo del ricorso incidentale, con cui i controricorrenti denunciano la violazione dell’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, ratificata con L. 18 giugno 2015, n. 101, censurando il decreto impugnato per aver escluso il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, nonostante l’assenza di qualsiasi collegamento tra la controversia e l’Italia. Premesso che J. e B.R.C. sono in possesso rispettivamente della cittadinanza ***** e di quella *****, mentre il minore ed essi controricorrenti sono cittadini *****, e precisato che le parti sono tutte residenti in *****, sostengono che, ai sensi dell’art. 5 cit., la giurisdizione spetta all’autorità dello Stato di residenza abituale del minore, ed in caso di trasferimento della stessa a quelle dello Stato della nuova residenza. Contestano che il minore si trovi ancora in Italia, affermando che le ricorrenti vi si sono trasferite solo temporaneamente, per poi fare ritorno in *****, e negano l’applicabilità dell’art. 5 c.p.c., osservando che l’interesse superiore del minore prevale sul principio della perpetuatio jurisdictionis.
1.1. Il motivo è infondato.
La controversia in esame ha infatti ad oggetto l’adozione di provvedimenti a protezione di un minore, e pertanto, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 42 risulta assoggettata alla disciplina dettata dalla Convenzione della Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva nel nostro ordinamento con L. 24 ottobre 1980, n. 742. Ai sensi dell’art. 5 c.p.c., non può invece trovare applicazione la Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, richiamata dalla Corte territoriale, la quale, pur avendo sostituito quella del 5 ottobre 1961, è entrata in vigore soltanto il 1 gennaio 2016, e quindi successivamente all’introduzione del giudizio in esame. L’art. 5 della nuova Convenzione conferma peraltro la disciplina prevista dall’art. 1 di quella precedente, che attribuisce la giurisdizione all’autorità giudiziaria dello Stato di residenza abituale del minore; tale disciplina coincide inoltre con quella dettata dall’art. 8 del Regolamento CE n. 2201/2003, applicabile anche nei confronti di cittadini di Stati terzi che abbiano vincoli sufficientemente forti con il territorio di uno degli Stati membri (cfr. Corte di Giustizia UE, 29/11/2007, in causa C-68/07, Sundelind Lopez), e prevalente sulla lex fori, alla quale è riconosciuta una portata residuale (cfr. art. 7), la quale stabilisce che le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono adite.
Ai fini dell’applicazione delle predette disposizioni, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta, sicché possono ritenersi assoggettati alla disciplina in esame anche quelli incidenti sulla responsabilità genitoriale, ove gli stessi, come nella specie, perseguano una finalità di protezione del minore (cfr. Cass., Sez. Un., 19/01/2017, n. 1310; 9/01/2001, n. 1). Il luogo di residenza abituale coincide poi con quello in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, abbia consolidato o, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tale da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico (cfr. Cass., Sez. Un., 14/12/2017, n. 30123; Cass., Sez. I, 11/01/2006, n. 397; 2/02/ 2005, n. 2093): la sua individuazione non è legata ad un calcolo puramente aritmetico del tempo trascorso in un determinato Stato, ma richiede una valutazione complessiva, da compiersi anche in chiave prognostica, nell’ambito della quale occorre tener conto di una pluralità di elementi di fatto, comprendenti tra l’altro la frequenza scolastica, l’apprendimento della lingua, l’inserimento nel contesto sociale di un determinato Stato, e, se necessario, anche della volontà manifestata dal minore (cfr. Cass., Sez. Un., 13/12/2018, n. 32359; 30/03/2018, n. 8042; 18/03/2016, n. 5418).
L’applicazione dei predetti principi conduce, nel caso in esame, ad individuare l’autorità giurisdizionale cui spetta la cognizione della domanda proposta dalle ricorrenti in quella dello Stato italiano, essendo pacifico che, nonostante la pluralità e la frequenza dei trasferimenti subiti negli anni precedenti, all’epoca dell’instaurazione del giudizio il centro degli affetti e degl’interessi del minore era situato a *****, dove una delle genitrici svolgeva la propria attività lavorativa, e dove egli stesso frequentava regolarmente un istituto scolastico. Nessun rilievo può quindi assumere la circostanza, fatta valere dai controricorrenti, che né il minore né le altre parti del procedimento fossero in possesso della cittadinanza italiana, trattandosi di un dato del tutto estraneo al criterio di ripartizione della giurisdizione previsto dalle norme applicabili. Parimenti ininfluente risulta anche la circostanza che, nel corso del giudizio, le ricorrenti abbiano fatto ritorno in *****, conducendo con loro il minore, non potendo trovare applicazione il principio di prossimità, operante esclusivamente in tema di competenza interna, ma quello della perpetuatio jurisdictionis sancito dall’art. 5 c.p.c., secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e rispetto ad essa restano irrilevanti i successivi mutamenti (cfr. Cass., Sez. Un., 2/08/2011, n. 16864).
2. Con il secondo motivo, da esaminarsi anch’esso con precedenza, in quanto riguardante la validità del procedimento, i controricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., rilevando la novità delle domande proposte con il ricorso per cassazione. Premesso infatti che con il ricorso in primo grado le ricorrenti avevano chiesto la sospensione di ogni contatto tra il minore ed essi controricorrenti, ed in subordine lo svolgimento degli incontri secondo modalità e tempi da esse stesse fissati, sostengono che tale domanda è stata modificata con la comparsa conclusionale ed il reclamo, in cui le ricorrenti hanno chiesto l’accertamento della contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento adottato dal Giudice *****, la dichiarazione della carenza di legittimazione di essi controricorrenti a richiedere il riconoscimento dell’efficacia dello stesso e del loro diritto di visita, ed in subordine la sospensione dei predetti contatti.
2.1. Il motivo è infondato.
In sede di riconoscimento della sentenza straniera, la deduzione dell’idoneità della stessa a produrre effetti contrari all’ordine pubblico non è configurabile come un’autonoma domanda o come un’eccezione in senso stretto, ma come una mera difesa, risolvendosi nella negazione di uno dei requisiti cui la L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 64 subordina l’accoglimento della domanda, al cui accertamento il giudice deve procedere anche d’ufficio, ai fini della pronuncia sul merito della controversia. Essa può quindi essere proposta anche in comparsa conclusionale ed in sede di gravame, non essendo assoggettata alle preclusioni di cui agli artt. 183 e 345 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. I, 1/09/2015, n. 71385; 9/01/2013, n. 350; Cass., Sez. III, 12/09/2005, n. 18096); la prima di tali disposizioni risulta peraltro inapplicabile nel caso in esame, essendosi il giudizio svolto secondo la disciplina dettata dagli artt. 737 c.p.c. e ss., richiamata dall’art. 38 disp. att. c.c. per tutti i procedimenti in materia di affidamento di minori, nei limiti della compatibilità, e quindi operante, nella specie, indipendentemente dalla qualificazione della domanda (cfr. relativamente al procedimento per la modifica delle condizioni stabilite in sede di divorzio, Cass., Sez. I, 12/03/2012, n. 3924; 25/10/2000, n. 14022).
3. Con il primo motivo del ricorso principale, le ricorrenti lamentano la violazione o la falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 67 e del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 30 censurando il decreto impugnato per aver ricondotto la domanda all’art. 337-quinquies c.c., con la conseguente omissione della decisione in ordine alla richiesta di adozione di un ordine di protezione, e per aver riconosciuto l’efficacia di un provvedimento straniero, senza che fosse stato promosso il relativo procedimento. Premesso infatti che, mentre le statuizioni di un giudice straniero riguardanti l’esistenza dei rapporti di famiglia sono automaticamente efficaci in Italia, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 65 quella adottata dal Giudice *****, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto di visita a soggetti estranei alla famiglia, doveva essere sottoposta, in quanto contestata, allo speciale procedimento di cui all’art. 67 medesima legge, sostengono che, non essendo stato quest’ultimo promosso, il W. ed il F. non erano legittimati ad agire in giudizio ai sensi dell’art. 337-quinquies c.c.
4. Con il secondo motivo, le ricorrenti denunciano la violazione o la falsa applicazione degli artt. 333,336 e 337-quinquies c.c., ribadendo che il decreto impugnato ha erroneamente qualificato l’azione come domanda di modifica dell’affidamento del minore, nonostante la mancata proposizione della domanda di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero, dal momento che, in assenza della relativa pronuncia, il W. ed il F. non erano legittimati ad agire per il riconoscimento del diritto di visita, spettante esclusivamente ai genitori investiti della responsabilità genitoriale ed agli ascendenti, ai sensi dell’art. 317-bis c.c., e tutelato comunque in maniera soltanto indiretta dall’art. 336 c.c.
5. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono parzialmente fondati.
Come si evince dalle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado, riportate a corredo dei motivi d’impugnazione, la domanda proposta dalle B.R. muoveva infatti dall’allegazione dell’esclusivo riconoscimento in favore delle stesse della responsabilità genitoriale nei confronti del minore, per sollecitare l’adozione di provvedimenti a tutela di quest’ultimo contro la condotta tenuta dal F. e dal W., reputata pregiudizievole per il suo sano ed equilibrato sviluppo psicofisico. A seguito della proposizione da parte dei due uomini di una domanda riconvenzionale volta ad ottenere la dichiarazione di efficacia della decisione adottata dal Giudice *****, con la conseguente conferma del diritto di visita loro riconosciuto, nonché l’accertamento della paternità naturale del W., la predetta domanda fu parzialmente modificata, con l’aggiunta della richiesta della dichiarazione d’improcedibilità della domanda riconvenzionale e della contrarietà all’ordine pubblico della decisione invocata, nella parte riguardante il riconoscimento del diritto di visita in favore di soggetti estranei alla famiglia.
Tanto premesso, e ribadita l’ammissibilità di tale modificazione, alla stregua delle considerazioni svolte in precedenza, non può non condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui ha evidenziato una certa ambiguità nello atteggiamento difensivo delle ricorrenti, le quali hanno per un verso insistito sull’efficacia della decisione del Giudice *****, contestandone per altro verso la conformità all’ordine pubblico. Se è vero che le due affermazioni si riferiscono a statuizioni diverse della medesima decisione, concernenti rispettivamente il riconoscimento della responsabilità genitoriale e l’attribuzione del diritto di visita, è anche vero, però, che tale ambiguità di fondo si è tradotta in una perplessità degli stessi motivi d’impugnazione: nel censurare la qualificazione della domanda risultante dal decreto impugnato, le ricorrenti hanno infatti contestato la riconducibilità di quest’ultima all’art. 337-quinquies c.c. (in realtà mai citato dalla Corte territoriale), sostenendo di non aver voluto chiedere la revisione delle statuizioni contenute nella sentenza *****, ma l’adozione di un ordine di protezione, senza però riuscire ad indicare la disposizione di legge in base alla quale hanno inteso agire. Nella rubrica del secondo motivo, esse hanno richiamato gli artt. 330 e 333 c.c., i quali non appaiono riferibili in alcun modo alla condotta dei controricorrenti, non essendo questi ultimi annoverabili tra i possibili destinatari né dei provvedimenti previsti dall’art. 337-quinquies cit., né di quelli contemplati dalle norme invocate, dal momento che, come riconoscono le stesse ricorrenti, i due uomini non sono in possesso dello status di genitori del minore, neppure sulla base della richiamata decisione.
L’allegazione di quest’ultima a sostegno della domanda principale, posta anche in relazione con il petitum di quella riconvenzionale e delle eccezioni al riguardo formulate dalle ricorrenti, consente peraltro di affermare che il vero oggetto della controversia è costituito, per entrambe le parti, dal riconoscimento dell’efficacia del provvedimento adottato dal Giudice *****, non solo nella parte concernente l’esercizio del diritto di visita concesso ai controricorrenti, ma anche nella parte riguardante l’attribuzione della responsabilità genitoriale, che rappresenta il titolo sulla base del quale le ricorrenti hanno contestato il predetto diritto. Sebbene, infatti, il bene della vita avuto di mira dalle parti sia costituito, in definitiva, dalla possibilità di esercitare o d’impedire l’esercizio del diritto di visita attribuito al F. ed al W., la negazione di tale diritto deve considerarsi inscindibilmente collegata al riconoscimento del carattere esclusivo della responsabilità genitoriale spettante alle B.R. in base alla predetta sentenza, ed alla conseguente insussistenza di un rapporto di filiazione e finanche di parentela sia con il F., che non ha alcun legame biologico con il minore, che con il W., il quale, secondo quanto riferito dalle parti, ha fornito i gameti necessari per la procreazione medicalmente assistita.
Se ciò è vero, deve tuttavia ritenersi che entrambe le parti, per poter far valere i rispettivi diritti, dovessero preventivamente promuovere la dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero che ne costituiva il fondamento, mediante il procedimento prescritto dalla L. n. 218 del 1995, art. 67.
Non può condividersi, in proposito, la tesi sostenuta dalla difesa delle B.R., secondo cui tale procedimento sarebbe stato necessario soltanto ai fini dell’ottemperanza alla statuizione concernente il diritto di visita, mentre quella riguardante la responsabilità genitoriale doveva considerarsi efficace ipso jure nel nostro ordinamento, ai sensi della L. n. 218 cit., art. 65: tale disposizione, nel prevedere il riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri relativi alla capacità delle persone ed all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, si limita infatti, al pari dell’art. 64 per le altre sentenze e dell’art. 66 per i provvedimenti di giurisdizione volontaria, ad individuare i requisiti di ordine sostanziale a tal fine occorrenti, senza affatto escludere la necessità di promuovere, in caso di contestazioni, il procedimento di cui all’art. 67. In presenza delle contestazioni sollevate dal F. e dal W., o comunque degli ostacoli dagli stessi frapposti al pacifico e proficuo esercizio da parte delle ricorrenti della responsabilità genitoriale loro attribuita dal Giudice *****, sarebbe dunque spettato alle stesse B.R. l’onere di assumere l’iniziativa finalizzata alla dichiarazione di efficacia della sentenza straniera, mediante la proposizione della domanda nelle forme previste dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 30 richiamato dall’art. 67 cit. Nessun rilievo può assumere, al riguardo, la circostanza che, nonostante la mancata instaurazione di un apposito procedimento, la predetta questione sia ugualmente pervenuta all’esame della Corte d’appello, competente ai sensi dell’art. 30 cit., la quale ha pronunciato sulla stessa nell’ambito di un giudizio svoltosi in forme idonee ad assicurare il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti: l’oggetto della sentenza, costituito dal riconoscimento dello status genitoriale delle ricorrenti, esclude infatti che, in quanto strumentale all’accertamento della facoltà di esercitare il diritto di visita, la dichiarazione di efficacia potesse aver luogo in via incidentale, nell’ambito del giudizio finalizzato all’esclusione del predetto diritto; in contrario, non vale richiamare l’art. 67, comma 3 che in riferimento all’ipotesi in cui la contestazione insorga nell’ambito di un processo caratterizzato da un diverso petitum riconosce al giudice la possibilità di pronunciare il riconoscimento con efficacia limitata al giudizio, trattandosi di una disposizione non riferibile alle sentenze riguardanti lo stato e la capacità delle persone, il cui accertamento rientra per legge tra le questioni pregiudiziali da decidersi necessariamente con efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 34 c.p.c.
A fronte delle contestazioni insorte relativamente all’esecuzione della sentenza *****, ed in assenza di una valida dichiarazione di efficacia della stessa, deve pertanto escludersi non solo la legittimazione dei controricorrenti ad azionare il diritto di visita loro riconosciuto, ma anche quella delle ricorrenti a far valere il carattere esclusivo della responsabilità genitoriale loro attribuita e la conseguente illegittimità delle interferenze causate dal comportamento dei due uomini: tale difetto di legittimazione, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, escludendo in radice ogni possibilità di prosecuzione del giudizio, comporta la cassazione senza rinvio del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, (cfr. Cass., Sez. Un., 9/02/ 2012, n. 1912; Cass., Sez. III, 26/09/2017, n. 22341; Cass., Sez. lav., 6/03/ 2000, n. 2517).
7. La sentenza impugnata va pertanto cassata senza rinvio, restando assorbiti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, con cui le ricorrenti hanno censurato il decreto impugnato per violazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. g), e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché per apparenza della motivazione, nella parte concernente la valutazione compiuta dalla Corte territoriale in ordine alla contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento adottato dal Giudice *****.
La peculiarità della vicenda esaminata e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese dei tre gradi di giudizio.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo, rigetta il ricorso incidentale e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2021