LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7234-2016 proposto da:
G.A.L.M., rappresentato e difeso dall’avv. LUIGI PODDIGHE;
– ricorrente –
contro
M.L., nato a il *****, M.A.D.M., M.A., M.M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato MICHELE TAMPONI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOMASO CAREDDU;
– controricorrenti –
nonché contro M.A., + ALTRI OMESSI;
– intimati –
avverso la sentenza n. 72/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di SASSARI, depositata il 14/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2020 dai Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del primo e quinto motivo di ricorso, l’accoglimento del secondo motivo e per quanto di ragione del sesto motivo, assorbiti i restanti motivi;
udito l’Avvocato Lillo Salvatore Bruccoleri, con delega scritta dell’avv. Luigi Poddighe, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’avv. Michele Tamponi, che si riporta agli atti ed insiste per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
All’esito di una procedura di espropriazione forzata attivata dalla Banca Nazionale del Lavoro nei confronti del sig. C.G.M. il sig. G.A.L.M. si rese acquirente, in forza di decreto di trasferimento del Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Tempio Pausania, della quota invisa di un mezzo del terreno sito in *****, in catasto al foglio *****, della superficie di ha 18.89.77.
Dopo essere stato immesso nel possesso del fondo dall’ufficiale Giudiziario di Tempio Pausania, in data 16 maggio 2003, il sig. G. apprese che i sigg. M.L., M.A.D.M., M.M.A., M.A. e M.S. si erano introdotti nel fondo medesimo, impedendogli arbitrariamente di accedervi.
Il G., pertanto, convenne i suddetti signori M. davanti al Tribunale di Tempio Pausania per sentire accertare e dichiarare la sua proprietà sul fondo de quo, per sentir condannare i convenuti al rilascio del medesimo, per sentir accertare l’inesistenza dei diritti accampati sul fondo dai convenuti e per sentir condannare i convenuti alla cessazione di ogni turbativa o molestia all’esercizio del suo diritto di proprietà, nonché al pagamento di una somma a titolo di indennità per ingiustificato arricchimento e a titolo di risarcimento danni.
I sigg. M.L., M.A.D.M., M.M.A. e M.A. si costituirono in giudizio deducendo di aver acquistato per usucapione la proprietà del terreno de quo, per essere stato lo stesso posseduto in via esclusiva fin dagli anni ’50 dal loro padre e dante causa, M.G., e per avere essi continuato a possederlo pubblicamente e pacificamente anche dopo la morte di M.G., avvenuta nel *****. I convenuti costituiti – precisato di non aver mai avuto notizia della procedura di espropriazione immobiliare in danno del cointestatario del fondo C.G.M. – chiedevano, per quanto qui ancora interessa, il rigetto della domanda del G. e l’accoglimento della loro domanda di declaratoria dell’usucapione in loro favore, dai medesimi avanzata in via riconvenzionale.
Il Tribunale di Tempio Pausania – nella contumacia del convenuto M.S. e dei terzi chiamati in causa C.S., + ALTRI OMESSI – dichiarava improcedibile la domanda di usucapione avanzata in via riconvenzionale dai convenuti costituiti ed accoglieva le domande del G..
La Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, accoglieva l’appello proposto da M.L., + ALTRI OMESSI avverso la sentenza di primo grado e, in riforma della stessa, rigettava la domanda del G., sull’assunto che la stessa andasse qualificata come domanda di rivendica ex art. 948 c.c. e che l’attore non avesse offerto la probatio diabolica di cui era onerato.
Per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, il sig. G. ha proposto ricorso notificato ai fratelli M.L., + ALTRI OMESSI, nonché ad M.A. quale erede di M.S., rimasto contumace in primo ed in secondo grado -nonché, ancora, nei confronti dei terzi chiamati in causa contumaci, sopra nominati.
Nel ricorso per cassazione, articolato in sette motivi, il sig. G. riferisce, in sede di esposizione dei fatti di causa, che – a seguito della sentenza di primo grado che dichiarava improcedibile la domanda di usucapione del fondo de quo, proposta in via riconvenzionale dai convenuti costituiti in questo giudizio – costoro hanno riproposto la medesima domanda in separato giudizio ex art. 702 bis c.p.c.; tale domanda è stata rigettata tanto in primo grado, con l’ordinanza del Tribunale di Tempio Pausania n. 2/11 depositata il 4.1.11, quanto in secondo grado, con la sentenza dalla Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, n. 1/15 depositata il 7 gennaio 2015, passata in giudicato.
I sigg. M.L., + ALTRI OMESSI hanno presentato controricorso.
La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 19 novembre 2020, per la quale soltanto il ricorrente ha depositato una memoria e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 il sig. G. denuncia l’omesso esame del duplice fatto decisivo che, per un verso, il ricorrente era munito di titolo di proprietà, ossia il decreto di trasferimento emesso dal Giudice dell’esecuzione e, per altro verso, l’usucapione ex adverso pretesa aveva formato oggetto, in separato giudizio, di una pronuncia di accertamento negativo coperta dal giudicato. Nel mezzo di impugnazione si argomenta che, posto che il ricorrente era munito di un titolo di proprietà, mentre i resistenti non disponevano di alcun titolo per occupare il bene, la corte territoriale avrebbe dovuto ordinare ai signori M. il rilascio del fondo e la cessazione delle molestie e turbative al suo godimento.
Il motivo è inammissibile.
Preliminarmente il Collegio rileva che la doglianza relativa alla mancata considerazione di una sentenza pronunciata in altro giudizio non è riconducile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, a cui è riferito il motivo in esame, giacché essa si risolve nella denuncia di un vizio di violazione di legge (art. 2909 c.c.), ove si tratti di sentenza passata in giudicato, o nella denuncia di un error in procedendo (art. 337 c.p.c.). In ogni caso, in disparte tale considerazione, è comunque decisiva, per la pronuncia di inammissibilità del motivo, la considerazione che il ricorrente non precisa in quale data e con quale atto difensivo egli avrebbe prodotto nel giudizio di appello le sentenze di cui lamenta l’omesso esame; la sentenza di secondo grado, del resto, risulta pubblicata il 7.1.15, dopo la data di deliberazione della sentenza impugnata (31.10.14) e, quando quest’ultima è stata depositata (14.2.15), non era passata in giudicato.
Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. G. denuncia la falsa applicazione dell’art. 948 c.c. in cui la corte d’appello sarebbe incorsa omettendo di considerare che – poiché l’usucapione eccepita dai sigg. M. aveva già formato oggetto di due pronunce di rigetto – l’onere della prova in capo all’attore in rivendicazione doveva ritenersi attenuato. Nel mezzo di impugnazione si sottolinea che i sigg. M. avevano convenuto proprio il sig. G. nel separato giudizio ex art. 702 bis c.p.c. dai medesimi introdotto per sentir dichiarare la loro usucapione del fondo de quo, così implicitamente riconoscendo la sua proprietà sul bene; donde l’errore compiuto dalla corte territoriale nel non riconoscere al medesimo G. la proprietà del fondo in base al decreto di trasferimento del medesimo in suo favore.
Il motivo è infondato.
Il principio di diritto invocato dal ricorrente, secondo cui l’onere probatorio dell’attore in rivendica si attenua quando il convenuto eccepisca di aver acquistato per usucapione il bene rivendicato, in base ad un possesso iniziato dopo l’acquisto derivativo dell’attore, trova riscontro in taluni arresti di questa Corte (pronunce nn. 7529/06, 8215/16) ma non in altri, i quali esprimono l’opposto orientamento alla cui stregua il fatto che il convenuto in un giudizio di rivendica proponga domanda riconvenzionale o eccezione di usucapione non attenua l’onere dell’attore di provare la sussistenza del proprio diritto risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino a ad un acquisto a titolo originario (pronunce nn. 11555/07, 5131/09, 14734/18). La distonia tra tali orientamenti non e’, peraltro, rilevante in questo giudizio – cosicché non vi è luogo all’approfondimento della questione, che si risolverebbe in un ultroneo obiter dictum – perché anche il primo di tali orientamenti, espressamente richiamato nel ricorso, è privo di pertinenza al caso in esame, giacché presuppone che il convenuto eccipiente l’usucapione riconosca che il suo possesso sia insorto posteriormente al titolo di acquisto dell’attore. Nella specie, al contrario, i signori M. hanno dedotto una usucapione addirittura già maturata prima dell’acquisto del G., sulla base, pertanto, di un possesso che alla data dell’acquisto dell’attore non soltanto era già iniziato, ma si era già protratto per oltre un ventennio.
Ne’ appare calzante il richiamo del ricorrente al principio espresso da Cass. 15539/15, così massimata: “In tema di azione di rivendicazione, qualora il convenuto abbia in passato presentato una domanda onde ottenere il riconoscimento della proprietà dell’immobile, poi oggetto di rivendica, in forza dell’usucapione speciale di cui all’art. 1159 bis c.c., e abbia notificato tale domanda al dante causa dell’attore in rivendicazione, così implicitamente riconoscendone l’originaria proprietà del bene sulla base dei titoli trascritti nei registri immobiliari (senza, tuttavia, ottenere una valida declaratoria di acquisto della proprietà per usucapione) e successivamente, nel giudizio di rivendica, sostenga – in via di eccezione – di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione si attenua, riducendosi alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonché alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto”. Tale sentenza concerne, infatti, l’ipotesi di una domanda di usucapione proposta prima della contrapposta domanda di rivendica, mentre nel caso qui in esame la domanda di rivendica è stata proposta dal G. nel 2005 e la domanda di usucapione è stata proposta in via principale dai M. nel 2009 (dopo essere stata proposta in via riconvenzionale, e dichiarata improcedibile, nello stesso giudizio di rivendica introdotto da G.). Il fatto che nel 2009 i signori M. abbiano convenuto nel giudizio di usucapione il sig. G. non implica, quindi, alcun riconoscimento della proprietà di costui, dipendendo soltanto dalla circostanza che il G. risultava il formale intestatario (pro quota) del fondo sulla base del decreto di trasferimento emesso in suo favore dal Giudice dell’esecuzione.
Nessuna attenuazione dell’onere probatorio del sig. G. poteva dunque discendere dal fatto che, dopo che egli aveva esercitato l’azione di rivendica, i signori M. lo avevano convenuto in separato giudizio per sentir accertare la loro usucapione derivante da un possesso iniziato, e già protrattosi per oltre un ventennio, in epoca anteriore all’acquisto dello stesso G..
Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 il sig. G. denuncia l’omesso esame del fatto, asseritamente decisivo, che il ricorrente fosse munito di titolo esecutivo per il rilascio in proprio favore del fondo per cui è causa, in forza del decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c.; titolo, peraltro, eseguito (anche) nel confronti degli appellanti. Il ricorrente in sostanza lamenta che la corte d’appello si sia limitata a statuire sulla sua domanda di rivendica, senza considerare che egli era munito di titolo esecutivo di rilascio del terreno.
Il motivo è inammissibile per difetto di decisività del fatto di cui si lamenta l’omesso esame. La corte territoriale ha qualificato la domanda del G. come rivendica e, ai fini della pronuncia sull’azione di rivendica, nessun rilievo può attribuirsi al decreto ex 586 c.p.c. con cui l’attore ha acquistato il fondo rivendicato, giacché il diritto a lui trasferito dell’esecutato risulta incompatibile con l’usucapione eccepita dal convenuto.
Con il quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5 il sig. G. lamenta che la corte d’appello non si sia pronunziata sulle sue domande di accertamento negativo dei diritti dei M. sul fondo e di condanna dei medesimi al rilascio ed alla cessazione delle molestie e turbative.
Nel motivo si argomenta che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado il sig. G. aveva dedotto di essere stato formalmente immesso nel possesso del fondo dall’ufficiale giudiziario ma che il godimento del fondo gli era stato di fatto precluso dai sigg. M., i quali si erano impossessati del terreno, facendovi pascolare il bestiame e raccogliendone il raccolto. Egli quindi, si argomenta ancora nel motivo, aveva interesse non solo a rivendicare il proprio diritto di proprietà sul terreno, ma anche ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza di qualsiasi diritto in capo ai convenuti, la restituzione del fondo e, in ogni caso, la cessazione delle molestie e turbative e il risarcimento dei danni. Essendo dunque molteplice l’effetto che il sig. G. intendeva perseguire con la presente azione, la corte d’appello avrebbe errato nel non pronunciarsi, una volta negato l’accertamento del suo diritto di proprietà, sulle ulteriori domande formulate in primo grado e reiterate in appello.
Il motivo è inammissibile. Esso è rubricato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e denuncia un vizio di omesso esame di fatto decisivo ma, in effetti, prospetta un vizio di omessa pronuncia, riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 4 senza, tuttavia, fare univoco riferimento alla nullità della sentenza, ma denunciandone esclusivamente l’erroneità (pag. 16 del ricorso, terzo cpv). Soccorre, allora, l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte che, nella sentenza n. 17931/13, hanno chiarito che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
Con il quinto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. G. deduce la falsa applicazione dell’art. 586 c.p.c., con riferimento all’efficacia del decreto di trasferimento e alla rilevanza degli effetti dell’azione esecutiva. Nel motivo si argomenta che la corte d’appello, avendo disatteso il motivo di appello dei sigg. M. volto a far dichiarare l’inefficacia del suddetto decreto di trasferimento, avrebbe dovuto confermare l’opponibilità del titolo esecutivo nei confronti dei resistenti e quindi accogliere la domanda di rilascio formulata dall’odierno ricorrente, attenendosi al principio di diritto che, nell’espropriazione immobiliare, il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio dell’immobile in favore dell’aggiudicatario, non solo nei confronti del debitore esecutato ma anche nei confronti di chi si trovi nel possesso o detenzione dell’immobile sine titulo.
Il motivo è inammissibile perché non è pertinente alla ratio decidendi; il principio di diritto richiamato dal ricorrente, enunciato da questa Corte nella sentenza n. 18179/07, riguarda l’efficacia esecutiva del decreto di trasferimento. Il presente giudizio però, secondo la qualificazione della domanda operata dal giudice di merito e non efficacemente censurata in questa sede di legittimità, è un giudizio di rivendica e non un giudizio di opposizione all’esecuzione intrapresa in base al decreto di trasferimento. Ne’ qui è in discussione l’efficacia esecutiva di quest’ultimo detto decreto. Detta efficacia esecutiva del resto, si è esplicata con l’immissione dello stesso sig. G. nel possesso del fondo ad opera dell’ufficiale giudiziario, come riferito a pag. 18 del ricorso, là dove si espone che i signori M. si sarebbero introdotti nel fondo dopo che esso G. era stato immesso nel relativo possesso dall’ufficiale giudiziario, spogliandolo di tale possesso. Il G., a fronte della introduzione dei convenuti nel fondo, avrebbe potuto agire in possessorio, con l’azione di spoglio; avendo optato per la strada petitoria, soggiace alle regole della rivendica.
Con il sesto motivo di ricorso, riferito al vizio di omesso esame di fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il sig. G. deduce, in relazione alla domanda ex art. 948 c.c., l’omessa considerazione di quanto accertato nella ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., n. 2 del 2011 del Tribunale di Tempio Pausania e nella sentenza n. 1 del 2015 della Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, confermativa di tale ordinanza. In particolare, il ricorrente trascrive un ampio frammento dell’ordinanza del tribunale di Tempio Pausania – nel quale si legge che il fondo de quo recava segni di attenta e periodica manutenzione posta in essere dai sigg. C. – e richiama altresì, senza trascriverla, una affermazione della sentenza di appello secondo cui “i terreni in questione erano stati asserviti all’azienda agro-alimentare dei C. (fra cui il dante causa del G.)” (pag. 21, quartultimo cpv, del ricorso).
Il motivo è inammissibile, per le stesse ragioni di inammissibilità del primo motivo; esso, infatti, si fonda sul contenuto di una ordinanza del Tribunale di Tempio Pausania che il ricorrente riferisce, del tutto genericamente, essere stata prodotta “nell’ambito del giudizio di appello” (pag. 19, terzultimo rigo, del ricorso), senza precisare in quale data e con quale atto difensivo tale produzione sarebbe avvenuta; nonché sul contenuto di una sentenza della Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, depositata (il 7.1.2015) dopo la data di deliberazione della sentenza impugnata (14.10.2014). Va peraltro evidenziato come la pronuncia del Tribunale di Tempio Pausania – l’unica che il ricorrente riferisce, seppur genericamente, essere stata prodotta nel grado di appello del presente giudizio – non era passata in giudicato, essendo stata appellata; l’apprezzamento del relativo contenuto – e della idoneità di tale contenuto a soddisfare l’onere probatorio gravante sull’attore in rivendica – si risolveva, quindi, in una valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità.
Con il settimo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3 il sig. G. deduce la falsa applicazione degli artt. 2043 e 2041 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa rigettando la sua domanda di risarcimento del danno a lui procurato dalla protratta occupazione del fondo da parte dei signori M..
Il motivo è inammissibile perché non illustra sotto quali profili la corte territoriale avrebbe violato le disposizioni di cui agli artt. 2041 e 2043 rigettando la domanda di risarcimento del danno da lesione di un diritto (il diritto di proprietà pro quota del G. sul fondo de quo) dalla stessa corte ritenuto non dimostrato.
Il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione che liquida in 4.100, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021
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