LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16076-2016 proposto da:
GE.VI. DI C.V. E C. SNC, elettivamente domiciliato in Roma, Via Montesanto 68, presso lo studio dell’avvocato Stefania Iasonna, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Visone;
– ricorrente –
contro
B. E S. SRL, elettivamente domiciliato in Roma, Via Oslavia 40, presso lo studio dell’avvocato Massimo Filieri, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Maurizio Scarfì, Simona Santoni;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1198/2015 della Corte d’appello di Firenze, depositata il 24/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– la società GE.VI di C.V. e C. s.n.c. (d’ora in poi solo GE.VI) impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Firenze che, in accoglimento del gravame proposto dal creditore opposto, società B. e S. s.r.l. (d’ora in poi solo B.), ha respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta per contestare il diritto al pagamento monitoriamente azionato dalla GE.VI;
– il decreto ingiuntivo era stato, infatti, richiesto per il pagamento di un macchinario usato, proveniente da un fallimento, il cui prezzo di vendita era di Lire 23.800.000, sull’assunto che l’acquirente era rimasto inadempiente al relativo versamento;
– l’opposizione della GE.VI. era incentrata sull’eccezione che il prezzo convenuto era in realtà di Lire 5.000.000 interamente versato, mentre la fattura con l’indicazione del prezzo di Lire 23.800.000 non era mai stata recapitata dal venditore all’acquirente;
– costituito, avanti all’adito Tribunale di Prato la creditrice opposta ed istruita la causa a mezzo testi e documenti, l’opposizione è stata accolta con revoca del decreto ingiuntivo;
– proposto gravame dalla società B., la Corte d’appello di Firenze ha ritenuto che a fronte delle prove del credito fornite dalla B., la debitrice non avesse fornito credibili e palusibili elementi di riscontro all’allegata versione circa il diverso Prezzo convenuto e la prova del suo versamento;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dalla GE.VI con ricorso affidato a due motivi, illustrato da memoria, cui resiste la società B. con controricorso pure illustrato da memoria.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per asserito rovesciamento dell’onere probatorio sull’assunto del rilievo probatorio riconosciuto alla fattura n. ***** di Lire 23.800.000 emessa dal creditore procedente di cui l’opponente, odierno ricorrente, ha contestato la mai avvenuta ricezione;
– la censura è infondata perché non attinge la motivazione della corte di merito che ha argomentato come le allegazioni della creditrice B. avessero trovato conferma nelle deposizioni testimoniali (testi B., N.) vagliate criticamente dal giudice d’appello nonché documentale (nella conferma d’ordine e nell’annotazione della fattura anche sul libro giornale);
– così facendo la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sull’onere probatorio in materia, posto a carico del creditore che, nel giudizio di opposizione, non può ritenere di averlo esaustivamente assolto con la sola fattura allegata al ricorso monitorio (cfr. Cass. 17373/2003; id.5071/2009; id. 5915/2011);
– allo stesso modo la corte fiorentina ha fatto applicazione del principio enunciato dall’art. 2697 c.c., comma 2, secondo cui chi eccepisce fatti estintivi o modificativi dell’altrui pretesa ha l’onere di provarli e rispetto ad essi ha ritenuto, con motivato apprezzamento di fatto, non credibili e plausibili le prove testimoniali assunte per delega e rilasciate da persone diverse da quelle inizialmente indicate la cui conoscenza dei fatti ha sollevato i dubbi che la corte ha puntualmente rilevato (cfr. pag. 9 della sentenza);
– con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 c.c., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1, per avere ritenuto concluso il contratto sulla base di condotte unilaterali;
– la censura è inammissibile perché, sebbene formalmente articolata come denuncia di violazione di legge, dell’art. 1326 c.c., essa trascura, in realtà, di considerare che non ricorrendo obblighi formali per la stipula del contratto intervenuto fra le parti e non essendo contestato se non il prezzo, la corte d’appello ha valutato i riscontri probatori testimoniali e documentali offerti dalle parti su di esso e ritenuto che, mentre quelli dell’attore risultavano oggettivamente plausibili e credibili, quelli della convenuta, per le ragioni tutte spiegate in sentenza e sopra richiamate, non lo erano;
– in presenza di una statuizione così articolata non è ammissibile la censura come formulata dalla ricorrente poiché il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. 2700/2016; id.13940/2017; id. 12634/2020);
– in definitiva, quindi, l’esito sfavorevole di entrambi i motivi giustifica il rigetto del ricorso e, in applicazione del principio di soccombenza, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente e liquidate in Euro 2800,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 2 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021
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