LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31872-2019 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE;
– ricorrente –
contro
O.E.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 284/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di l’Aquila, confermando la decisione di primo grado, ha dichiarato non dovuto il credito richiesto dall’Inps, a titolo di contributi dovuti alla Gestione Separata, all’avvocato O.E., in relazione all’attività libero professionale svolta nell’anno 2006;
a fondamento del decisum, la Corte d’appello ha osservato che, in relazione all’anno oggetto di causa, il professionista aveva prodotto un reddito che non superava la soglia di Euro 5.000,00 e che, in ogni caso (“ad ogni buon conto”), la richiesta dell’INPS era intervenuta dopo il quinquennio, decorrente dalla data in cui i contributi dovevano essere versati;
la cassazione della sentenza è domandata dall’INPS sulla base di un unico ed articolato motivo, cui non ha opposto difese il professionista;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
l’INPS ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.3 – l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 1 e 2, convertito con modif. dalla L. n. 111 del 2011, della L. n. 247 del 2010, art. 21, comma 8, del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, convertito con modif. dalla L. n. 326 del 2003, anche in relazione agli artt. 2935 e 2941 c.c.;
le censure riguardano sia l’affermazione della Corte di merito secondo cui il professionista, avendo prodotto un reddito, per l’anno 2009, di Euro 3.385,00, non era tenuto all’iscrizione presso la Gestione separata, per non avere raggiunto la soglia minima di Euro 5.000,00, prevista in via generale per i lavoratori autonomi occasionali ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, sia la statuizione con cui la Corte territoriale aveva, comunque, dichiarato la prescrizione del credito contributivo;
quanto al primo profilo, l’INPS ha osservato come i giudici avrebbero dovuto indagare in merito al requisito dell’abitualità della professione e non limitarsi alla valutazione dell’ammontare del reddito che, in ogni caso, per l’anno in discussione, era stato di Euro 7.246,00, così come ammesso dallo stesso professionista nella memoria di costituzione depositata nel giudizio di primo grado;
quanto, invece, al diverso profilo della prescrizione, secondo l’Istituto, la Corte di appello non aveva considerato che il professionista, nel presentare la dichiarazione dei redditi, aveva omesso di compilare il quadro RR, necessario per la determinazione dei contributi; in tal modo, veniva ad esistenza una condotta dolosa di occultamento del credito, con conseguente operatività della causa di sospensione di cu all’art. 2941 c.c., n. 8, che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio, a prescindere dalla formulazione di una specifica eccezione in tal senso;
vanno esaminate, in via prioritaria, le censure che afferiscono alla mancata rilevazione, da parte dei giudici di merito, della causa di sospensione; esse si arrestano ad un rilievo di inammissibilità, per difetto di specificità;
se è vero, infatti, che la questione della sospensione della prescrizione configura una questio iuris, come tale, rilevabile d’ufficio (Cass. n. 21929 del 2009; Cass. n. 19567 del 2016), nondimeno il generale potere-dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni, facente capo al Giudice (che si traduce nell’attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti) richiede pur sempre che detti fatti, modificativi, impeditivi o estintivi, risultino legittimamente acquisiti al processo e provati (v. Cass. n. 20317 del 2019; Cass. n. 27405 del 2018);
nella sentenza impugnata, non è affrontata la questione relativa alla sospensione della prescrizione e l’INPS non dimostra, come avrebbe dovuto, di aver prodotto, agli atti del giudizio di merito, la dichiarazione dei redditi del professionista. In ogni caso, nel ricorso in cassazione, l’Istituto non trascrive il documento (in relazione agli oneri di specificazione e deduzione richiesti in analoghe fattispecie, v. Cass. n. 8450 del 2021, Cass. n. 10631 del 2021, Cass. n. 10632 del 2021);
giova ribadire, in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, che il ricorso per cassazione, in ragione del principio di specificità, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., l’INPS evidenzia anche che la mancata compilazione del quadro RR era stata dedotta dall’INPS nel ricorso in appello e il professionista non aveva controdedotto alcunché, con conseguente ammissione del mancato adempimento in questione;
a tacer del fatto che, nel giudizio di legittimità, non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (Cass. n. 3471 del 2016; sez. VI, n. 17893 del 2020), il rilievo di non contestazione, in cui si sostanza la difesa sviluppata nella memoria, non è supportato dalla trascrizione (integrale o comunque nei passaggi salienti) degli atti sulla cui base il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere indiscussa la circostanza in oggetto (id est: la circostanza della mancata compilazione del quadro RR) e quindi valutarla ai fini del rilievo officioso della sospensione della prescrizione (cfr., in argomento, Cass. n. 3023 del 2016; Cass. n. 20637 del 2016, in motivazione, Cass. n. 13646 del 2019 e Cass. n. 3302 del 2018);
sotto diverso profilo, l’INPS formula le censure in termini di violazione di legge; l’accertamento di un comportamento occulto configura, invece, una questione di fatto, come affermato dalla stessa ordinanza n. 6677 del 2019, richiamata a fondamento delle censure, “dovendosi escludere che possa stabilirsi un automatismo, come sembra pretendere l’Istituto, tra la mancata compilazione del quadro RR nella dichiarazione dei redditi e l’occultamento doloso del debito contributivo” (in motivazione, Cass. n. 7254 del 2021);
consegue da quanto precede che anche le censure che riguardano il profilo dell’ammontare del reddito prodotto dal professionista (giudicato tale da non determinare l’insorgenza dell’obbligo contributivo perché inferiore ad Euro 5.000,00) non sono più sorrette da un concreto interesse giuridico e, quindi, come le precedenti, sono ugualmente inammissibili;
la sentenza impugnata e’, infatti, sorretta da due rationes decidendi, distinte ed autonome (l’insussistenza dell’obbligo di contribuzione in ragione del reddito prodotto e, comunque, l’intervenuta prescrizione dei crediti), ciascuna giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata; pertanto divenuta definitiva quella relativa alla intervenuta prescrizione del credito, le critiche relative all’altra non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (ex plurimis: Cass. n. 3386 del 2011; Cass. n. 24540 del 2009; Cass. n. 389 del 2007);
sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso dell’INPS va dichiarato inammissibile;
non si provvede in ordine alle spese non avendo il professionista svolto alcuna attività difensiva;
sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021