LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso N.R.G. 34888-2019 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20 (TEL/FAX *****), presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ANELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFONSO IULIANO;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO TRIOLO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIA PASSARELLI, MAURO SFERRAZZA, VINCENZO STUMPO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 362/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 22/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.
RILEVATO
che:
la Corte d’ Appello di Salerno ha rigettato l’impugnazione proposta da M.R. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta dalla stessa M. nei confronti dell’INPS, con ricorsi distinti poi riuniti, aventi ad oggetto la opposizione alla cancellazione dagli elenchi dei braccianti agricoli per l’annualità del 2011 (avvenuta mediante elenco di variazione telematico del 15 settembre 2014) e l’impugnativa della richiesta di ripetizione dell’indebito riferito alla disoccupazione agricola percepita per la stessa annualità;
a fronte della sentenza di primo grado, che aveva valutato insussistenti i presupposti in fatto relativi alla sussistenza del rapporto di lavoro agricolo, la Corte d’Appello ha ritenuto del tutto inconferente il richiamo alla sentenza del Tribunale di Salerno n. 3038/2016 ed anche l’annullamento del verbale ispettivo che aveva disconosciuto il contratto di piccola colonia stipulato dall’appellante, perché tale sentenza era stata totalmente riformata dalla Corte d’Appello con sentenza n. 181 del 2019;
nel merito, la sentenza impugnata ha confermato le valutazioni del giudice di primo grado ribadendo che le risultanze istruttorie avevano dimostrato che in concreto la coltivazione dei fondi avveniva da parte delle figlie di B.G. (madre della ricorrente) con l’aiuto del marito Mo. e di altri suoi familiari, tra cui Mo.Ro., per poi dividere i prodotti tra tutti i familiari e non solo tra le piccole colone, per cui era rimasta esclusa la concreta sussistenza della residuale fattispecie prevista dalla L. n. 203 del 1982;
avverso tale sentenza ricorre per cassazione M.R. con un motivo;
si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto avrebbe omesso di pronunciare su tutti i motivi d’appello ed in particolare, sulla mancata applicabilità dell’art. 2164 c.c., che ravvisa il rapporto di colonia parziaria nella associazione tra il concedente ed il colono e sulla considerazione che i coloni parziari furono assimilati per legge (D.Lgs. n. 212 del 1946, art. 3 e L. n. 334 del 1968, art. 8) ai braccianti agricoli; in particolare, anche la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare che, dalla prova per testi, era emerso che la M. era stata vista lavorare sui fondi di cui al contratto, per poi dividere con la concedente i frutti dei terreni;
tale dato non era stato contestato e l’appellante aveva impugnato la sentenza di primo grado per aver escluso la ricorrenza della colonia parziaria per mancanza di prova della condivisione delle spese senza considerare che non vi erano state in concreto spese di gestione del fondo ed era stata offerta la prova dell’attività agricola prestata;
L’INPS resiste con controricorso;
la proposta del relatore ex art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.
CONSIDERATO
che:
l’unico motivo è manifestamente inammissibile in quanto, pur deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione ad affermate omissioni di pronuncia su motivi d’appello, svolge una critica rivolta all’esito del giudizio di qualificazione della natura del rapporto intercorso tra la ricorrente e la affermata concedente B.G. ed, in particolare, la ricorrente denuncia gli apprezzamenti che la sentenza impugnata ha effettuato per giungere alla conclusione che la coltivazione dei fondi avveniva da parte delle figlie della B., madre della ricorrente, con l’aiuto del marito M. e degli altri familiari, compresa la ricorrente per poi dividere tra tutti tali soggetti i prodotti del fondo, con ciò ritenendo non provata la sussistenza dei presupposti di legge previsti per la configurabilità della fattispecie della piccola colonia agraria, e la legittimità dell’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per 102 giornate nell’anno 2011;
questa Corte di legittimità ha evidenziato in più occasioni (cfr. Cass. n. 8439 del 2020, n. 14561 del 2012, n. 317 del 2002 e Cass. n. 3547 del 2004; principio e ribadito con Cass. n. 2886/2014) che la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su di una domanda (o un eccezione), ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità per genericità del motivo, di specificare quale sia il “chiesto” al giudice del gravame sul quale questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio agli atti del giudizio, atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso;
e’ stato pure osservato che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 20311 del 2011, Cass. n. 3756 del 2013)). In particolare, si è precisato (Cass. n. 5444 del 2006), la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costituitivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia;
nel caso di specie, a fronte di una motivazione che respinge essenzialmente a seguito di accertamento in fatto la tesi di parte basata sulla concreta configurabilità di un contratto di colonia parziaria, la ricorrente lamenta generiche ed astratte omissioni di esame dei motivi d’appello, senza avvedersi che tali motivi sono stati affrontati e risolti nel senso che la M. aveva reso attività di collaborazione nei confronti dei propri genitori, senza dividere con costoro alcuna spesa di gestione del fondo;
si tratta, là dove si contesta l’apprezzamento in fatto del materiale probatorio, di critica all’esercizio di una tipica attività giurisdizionale di merito estranea al giudizio di legittimità;
alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;
al rigetto non segue la condanna della ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità essendo stata resa la dichiarazione prevista dall’art. 152 disp. Att. c.p.c.;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2021