LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15728/2016 proposto da:
D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 14, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA ROMANA GRAZIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato AMEDEO CENTRONE;
– ricorrente principale –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
e contro
DI.GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 49, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MASCIOCCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO MASCOLO;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e contro
D.P.;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 8606/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/03/2016 R.G.N. 5941/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale;
udito l’Avvocato AMEDEO CENTRONE.
FATTI DI CAUSA
1. Nella gravata sentenza della Corte di appello di Roma n. 8606/2015 si legge che Di.Gi., detenuto presso la casa di reclusione di *****, aveva subito in data ***** un infortunio sul lavoro che gli aveva cagionato lesioni gravi.
2. Proposta denunzia-querela nei confronti di D.P., direttore della casa di reclusione, questi veniva condannato dal Tribunale di Livorno – sezione distaccata di Portoferraio – alla pena della multa e al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale in favore della parte civile di Euro 25.000,00.
3. La Corte di appello di Firenze, con sentenza depositata l’8.6.2007, in riforma della pronuncia di primo grado assolveva l’imputato perché il fatto non costituiva reato e revocava le statuizioni civili.
4. La Corte di cassazione, con decisione del 25.11.2009, annullava la sentenza della Corte territoriale limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice competente per valore e per grado di appello.
5. Riassunto il giudizio innanzi alla Corte di appello di Roma, Di.Gi., dedotto l’accertamento definitivo sulla responsabilità civile di D.P. e premesso che l’INAIL gli aveva riconosciuto, in conseguenza dell’infortunio, una invalidità del 35% per deficit visivo dell’occhio sinistro, chiedeva il risarcimento del danno differenziale e la condanna di D.P. e del Ministero della Giustizia, quale datore di lavoro, al pagamento della complessiva somma di Euro 405.621,12 ovvero di quella maggiore o minore accertata in corso di causa.
6. Nel contraddittorio tra le parti e dopo avere espletato ctu medico-legale, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero della Giustizia; dichiarava che il Di. aveva riportato, in conseguenza dell’infortunio sul lavoro del *****, una inabilità temporanea assoluta per il periodo di gg. 90 ed una inabilità temporanea parziale al 50% per il periodo di gg. 120 nonché un danno biologico, imputabile al D., pari al 30%, condannandolo al risarcimento del danno subito, nella misura sopra accertata, da liquidarsi in separato giudizio; compensava, infine per un terzo le spese di lite e condannava D.P. alla rifusione della quota residua delle spese, liquidate per l’intero in Euro 5.400,00 per il giudizio di legittimità e in Euro 6.480,00 per il giudizio innanzi alla Corte di appello di Roma.
7. I giudici di seconde cure capitolini, a fondamento della decisione, rilevavano, acclarata la propria competenza territoriale, la tempestività del ricorso per riassunzione e la estraneità del Ministero della Giustizia, il quale non era stato citato nel processo penale come responsabile civile, che: a) l’infortunio patito dal Di., che quale detenuto della casa di reclusione di ***** era stato inserito nella squadra MOF costituita da un gruppo di 12 reclusi adibiti allo svolgimento di lavori edili, era avvenuto perché egli, nel versare il contenuto di un sacco contenente il grassello di calce viva da un ampio lembo della parte superiore del sacco stesso in un contenitore in cui vi era dell’acqua per la diluizione, veniva colpito all’occhio sinistro da uno schizzo del composto; b) la titolarità della responsabilità civile (essendovi stata assoluzione da ogni addebito in sede penale) era ravvisabile in capo al direttore dell’istituto di pena in virtù di una posizione di garanzia, in riferimento al dovere di sicurezza degli istituti penitenziari, che lo qualificava come datore di lavoro; c) al direttore D. erano addebitabili una serie di comportamenti omissivi/commissivi (quali avere avviato ai lavori edili il Di. senza una esperienza lavorativa pregressa; non avergli fornito strumenti di protezione individuale; non avergli assicurato specifica formazione e precise informazioni; per mancata verifica che fosse garantita la perfetta osservanza delle norme di sicurezza; per non avere dato disposizioni perché il capo d’arte, tale Da., fosse sempre presente e non fosse chiamato, come il giorno dell’infortunio, ad altri incarichi); d) la responsabilità del D. non poteva ritenersi esclusa dalla condotta imprudente del lavoratore, né dall’operato dei sanitari, che intervennero in merito all’infortunio, essendo ravvisabile un concorso di colpa la cui percentuale attribuibile al direttore dell’istituto andava individuata nella misura del 30%; e) in assenza di domanda avanzata innanzi al Tribunale di Livorno, non poteva procedersi ad una liquidazione del danno, da avvenire in separato giudizio, ma solo ad una sua determinazione; f) in considerazione dell’esito del giudizio, andava disposta la compensazione delle spese nella misura di un terzo con la conseguente condanna del D. alla rifusione della quota residua.
8. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione D.P., affidato a tre motivi, cui resistevano con controricorso il Ministero della Giustizia e Di.Gi. il quale presentava, altresì, ricorso incidentale sulla base di due motivi, cui a sua volta resisteva con controricorso D.P..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo D.P. denuncia la violazione degli artt. 345 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte di appello di Roma dichiarato l’inammissibilità del ricorso in riassunzione, pur in presenza di domande/conclusioni diverse e nuove rispetto a quelle prese nel giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata: in particolare, deduce che il Di. nel primo procedimento aveva chiesto “affermarsi, agli effetti civili, la responsabilità del D. nella causazione dell’evento dannoso de quo e, per l’effetto, riconoscersi a carico del prevenuto l’obbligo del pagamento di una provvisionale di Euro 25.000,00 delle spese di difesa della parte civile in tutti i gradi di giudizio, nonché del risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede”, mentre nel ricorso in riassunzione aveva chiesto “la condanna del sig. D.P.P. e del Ministero di Grazia e Giustizia…., in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 405.621,12 ovvero di quell’altra maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, per le causali di cui in narrativa oltre interessi e rivalutazione dal di del sinistro al soddisfo”.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte di appello di Roma pronunciato una sentenza di natura e contenuto difformi rispetto alla domanda spiegata dal ricorrente: in particolare, si sostiene che, a fronte delle conclusioni formulate nel ricorso in riassunzione, i giudici dello stesso, in difformità tra il chiesto ed il pronunciato, avevano invece così statuito: “dichiara che il ricorrente ha riportato in conseguenza dell’infortunio sul lavoro del ***** una inabilità temporanea assoluta per il periodo di gg. 90 ed una inabilità temporanea parziale al 50% per il periodo di giorni 120 nonché un danno biologico, imputabile a D.P.P., nella misura del 30% – Condanna D.P.P. al risarcimento del danno subito dal ricorrente nella misura sopra accertata da liquidarsi in separato giudizio”.
4. Con il terzo motivo il ricorrente principale si duole della violazione degli artt. 539 e 622 c.p.p., artt. 278 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la Corte di appello di Roma erroneamente quantificato il danno subito dal Di. non limitandosi – nella sede rescissoria ad essa deputata – a pronunciare una sentenza di condanna generica, ma ad effettuare una quantificazione del pregiudizio subito dal Di..
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale Di.Gi. lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per non avere la Corte di appello proceduto anche nella liquidazione delle spese dei gradi di merito, così come disposto dalla Suprema Corte in sede di rinvio, ma limitandosi a disporre su quelle del giudizio di legittimità e su quelle del giudizio innanzi a sé, così incorrendo nel vizio di omessa pronuncia.
6. Con il secondo motivo si deduce l’erroneità, ex artt. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in relazione all’art. 112 c.p.c. e agli artt. 1292,1293,1294 e 2055 c.c., della sentenza gravata di appello, per essersi pronunciata in ordine alla ripartizione della percentuale di responsabilità attribuita al D., così violando il principio di solidarietà e il relativo vincolo tra tutti gli autori che consente il potersi rivalere nei confronti di ciascuno per tutta la obbligazione.
7. I primi tre motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente per la loro interferenza, non sono fondati.
8. E’ stato, infatti, affermato – in sede di legittimità – con un orientamento cui si intende dare seguito (Cass. n. 517 del 2020; Cass. n. 16916 del 2019; Cass. n. 25918 del 2019) che la decisione della Corte di cassazione ex art. 622 c.p.p., determina una sostanziale “translatio iudicii” dinnanzi al giudice civile, sicché la Corte di appello competente per valore, cui sia stato rimesso il procedimento ai soli effetti civili, deve applicare le regole, processuali e sostanziali, del giudizio civile; ne consegue, oltre alla possibilità di formulare nuove conclusioni sorte in conseguenza di quanto rilevato dalla sentenza di cassazione penale, anche la legittimità della modificazione della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile sia pure nel limite delle preclusioni fissate dall’art. 183 c.p.c., come interpretato dalla giurisprudenza, e tenuto conto della domanda formulata con l’originaria costituzione di parte civile secondo modalità contenutistiche e formali sostanzialmente omologhe a quelle previste per la citazione.
9. Nella fattispecie in esame, si è verificata proprio la rimodulazione della domanda risarcitoria, originariamente formulata in relazione al giudizio penale in cui era confluita, nel successivo giudizio civile, con un petitum ed una causa petendi connessi alla vicenda sostanziale in esso dedotta e senza alcuna compromissione delle potenzialità difensive di controparte.
10. Alcun vizio di ultra o extra-petizione e’, pertanto, ravvisabile nella gravata sentenza, nella parte in cui si è limitata a quantificare il danno nella sua entità effettiva e nella sua componente del pregiudizio biologico patito nonché a determinare i relativi periodi di invalidità temporanea assoluta e parziale.
11. Ne’, per quanto sopra detto, la pronuncia è censurabile per avere statuito su domande nuove, perché tali non potevano considerarsi.
12. Il ricorso incidentale e’, invece, fondato.
13. Il primo motivo è meritevole di pregio.
14. E’ vero che la sentenza n. 6694 del 2010 della IV Sezione penale di questa Corte ha rimesso, al giudice civile, competente per valore in grado di appello, formalmente solo il regolamento delle spese “del presente giudizio”.
15. Tuttavia, poiché come dinnanzi precisato, con la decisione ex art. 622 c.p.p., si determina, in sostanza, una “translatio iudicii”, si ha in pratica la riduzione ad unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione, con la conseguente esclusione di ogni rilevanza impeditiva nella individuazione del giudice originariamente adito.
16. Consegue, pertanto, che il giudice di appello ex art. 622 c.p.p., per valore e competenza, in sede di definizione del giudizio e in relazione al suo esito definitivo, anche di ufficio (cfr. Cass. n. 13724 del 1999) deve procedere alla pronuncia, accessoria e consequenziale alla decisione di merito, sulle spese di tutti i gradi di giudizio, operando una valutazione unitaria e globale della soccombenza.
17. La mancata statuizione costituisce appunto un vizio censurabile in cassazione quale omessa pronuncia, come nel caso in esame.
18. Anche il secondo motivo deve essere accolto.
19. La Corte di merito ha deciso, altresì, in ordine alla percentuale di responsabilità attribuita al D. rispetto a quella addebitabile ad altri soggetti.
20. La questione della gravità delle rispettive colpe e della entità delle conseguenze che ne erano derivate poteva, però, essere oggetto di esame da parte del giudice di merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori avesse esercitato azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, avesse chiesto espressamente tale accertamento in funzione della responsabilità interna del peso del risarcimento con i corresponsabili.
21. Tale domanda, del resto, non può neanche ricavarsi dalle eccezioni con le quali il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato (Cass. n. 32930 del 2018).
22. Nel caso di specie, la natura solidale dell’illecito ex art. 2055 c.c. e la assenza di una domanda di regresso, che si riverberava inevitabilmente pure sulla possibile opponibilità della decisione nei confronti di soggetti che non erano stati parti del giudizio, comportava, pertanto, la impossibilità di una pronuncia sulla gravità delle singole colpe e sulla entità delle relative conseguenze, a differenza, invece, di quanto compiuto dalla Corte di merito.
23. Alla stregua di quanto esposto, pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato mentre quello incidentale va accolto.
24. La gravata sentenza deve essere, conseguentemente, cassata in relazione ai motivi accolti ed il giudizio va rinviato alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra esposti.
25. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, come da dispositivo, limitatamente alla posizione del ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese anche del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2021
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