LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5038/2016 proposto da:
Comune di Isernia, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Gramsci n. 24, presso lo studio dell’avvocato Rita Matticoli, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.P., e T.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 161/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 14/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/5/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 161/2015 del 14.7.2015 la Corte d’Appello di Campobasso ha respinto il gravame proposto dal Comune di Isernia avverso la sentenza di rigetto in primo grado della domanda di rimborso delle somme corrisposte a P.P. e T.C. a titolo risarcitorio per l’erezione in loro danno di un fabbricato in violazione delle distanze legali in dipendenza di una pregressa pronuncia di condanna non passata in giudicato poiché il relativo giudizio si era estinto per mancata riassunzione.
Più in dettaglio, va detto che in relazione alla dedotta vicenda di fatto la predetta pronuncia di condanna del Comune – in esecuzione della quale questo aveva provveduto al pagamento delle somme liquidate a titolo risarcitorio dal Tribunale – era stata parzialmente riformata in secondo grado e che la sentenza ivi pronunciata era stata poi a sua volta cassata con pronuncia di questa Corte 21772/2006 che aveva rimesso le parti in sede di rinvio avanti alla Corte d’Appello di Napoli. In difetto di riassunzione, ed in conseguenza della maturata estinzione del giudizio, il Comune di Isernia aveva perciò incoato l’odierna domanda di restituzione, rigettata dalla Corte d’Appello adita, con la sentenza per cui è ora ricorso, sulla considerazione che la circostanza negativa dell’avvenuta riassunzione del giudizio non era provata, in particolare, non potendo essa argomentarsi in ragione della Delibera municipale di conferimento dell’incarico difensivo per il nuovo giudizio pur registrante l’accaduto, inidonea, tuttavia, a far fede “in ordine alla pendenza o meno di un giudizio dinanzi ad un ufficio giudiziario”; e non essendo d’altro canto ammissibile la produzione della certificazione a tal fine rilasciata dalla cancelleria del giudice del rinvio, trattandosi di prova nuova in relazione alla quale, considerato il dettato dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile alla specie, non era però ravvisabile la condizione dell’indispensabilità, dovendo essa “confrontarsi con il tenore della decisione, nel senso che deve essere soltanto quanto la decisione afferma sul piano probatorio (cioè a commento delle risultanze probatorie acquisite) ad evidenziare la necessità di un apporto probatorio che invece nel pregresso contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione non era viceversa apprezzabile come utile e necessario”.
La cassazione di detta sentenza è ora reclamata dal Comune soccombente sulla base di tre motivi a cui non hanno inteso replicare gli intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115c.p.c., art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 392 e 393 c.p.c.. Si sostiene che la Corte d’Appello, nel rigettare il proposto gravame per il divisato difetto di prova negativa circa l’intervenuta riassunzione del giudizio, non avrebbe considerato che la mancata riassunzione del giudizio “costituisce un dato di fatto attestabile solo dal Comune in quanto destinatario della notifica dell’atto di riassunzione”, che a tanto del resto aveva provveduto per mezzo della produzione in giudizio della Delibera municipale di conferimento dell’incarico difensivo, in cui si attestava con l’efficacia probatoria dell’atto pubblico la detta circostanza.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e degli artt. 2697 e 2700 c.c.. Si sostiene che l’impugnato provvedimento sarebbe affetto da un vizio di mancanza della motivazione o di motivazione apparente, essendo quella enunciata “meramente reiterativa delle asserzioni contenute nella sentenza impugnata, nonché priva di ogni valutazione in ordine alle censure contenute nell’atto di appello proposto dal Comune di Isernia” ovvero da un vizio di intrinseca inconciliabilità laddove mostra di ritenere che il richiamato atto deliberativo “sia idoneo a fare fede degli atti in possesso del Comune… ma non sia invece idoneo a fare fede in ordine alla pendenza o meno del giudizio”.
2.3. Entrambi i motivi, scrutinabili congiuntamente per unitarietà della censura, sono affetti da pregiudiziale inammissibilità in quanto postulanti una rimeditazione dell’apprezzamento probatorio operato dal decidente di merito.
Si sollecita per vero il sindacato di questa Corte su un profilo fattuale della vicenda (la rilevanza probatoria della deliberazione di giunta contenente il conferimento dell’incarico difensivo per il nuovo giudizio) che non è esaminabile in questa sede poiché la sua trattazione esula dai compiti che l’ordinamento processuale affida alla Corte di Cassazione, dato che la cognizione dei fatti e con essa la valutazione delle prove, attraverso la selezione delle risultanze istruttorie giudicate rilevanti ai fini della decisione, compete esclusivamente al giudice di merito, il cui giudizio, se come qui, sia congruamente e adeguatamente motivato, si sottrae alle declinate censure, a rendere possibile l’esame delle quali non basta l’intonazione della rubrica evocante pretese violazioni di legge quando la loro interna illustrazione metta capo alla manifestazione di un mero disaccordo interpretativo.
3.1. Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., commi 2 e 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché dell’art. 213 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 3, ed ancora del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 40,43,46 e 47. Si sostiene l’erroneità del convincimento esternato dalla Corte d’Appello in ordine alla decretata inammissibilità della produzione della certificazione rilasciata dalla cancelleria del giudice del rinvio “costituendo l’attestazione in questione prova indispensabile in quanto idonea a fornire un contributo decisivo alla definizione della controversia in quanto pienamente confermativa delle ragioni del Comune di Isernia”, non rappresentando, peraltro, un documento nuovo, trattandosi di “atto meramente confermativo delle circostanze relative al soddisfacimento dell’onere della prova già ampiamente ed esaustivamente argomentate e documentate dal Comune di Isernia” e non potendo neppure essere prodotto in giudizio “in virtù della dizione riportata in calce allo stesso che attesta “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione””, circostanza, quest’ultima, in relazione alla quale la Corte d’Appello avrebbe potuto provvedere d’ufficio ad acquisire le informazioni necessarie in base al D.P.R. n. 445 del 2000, art. 43 e all’art. 213 c.p.c..
3.2. Il motivo, pur se il giudizio espresso dalla Corte d’Appello circa il difetto di indispensabilità della produzione documentale di cui si discute non sia pertinente e debba perciò essere corretto a mente dell’art. 384 c.p.c., comma 4, non ha tuttavia fondamento.
E’ certo vero che, allorché la Corte d’Appello reputi di regolare la fattispecie al suo esame in applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo risultante per effetto del combinato disposto della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52 e dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 18, motivando in particolare sul difetto nella specie del requisito dell’indispensabilità che precluderebbe la produzione della certificazione rilasciata dalla cancelleria del giudice del rinvio, essa cada in errore, poiché l’art. 345 c.p.c., comma 3 – nel testo applicabile ratione temporis, essendo stato il giudizio d’appello introdotto con citazione notificata il 25.7.2014 – è quello attualmente vigente risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha espunto dalla norma il requisito di che trattasi consentendo la produzione di nuovi documenti solo a condizione che la parte senza colpa non abbia potuto produrli in precedenza. Poiché il motivo, aderendo all’impostazione del giudice d’appello, disquisisce solo sul punto dell’indispensabilità e nulla allega circa l’impossibilità della parte di produrre il documento in primo grado, il dispositivo in ragione del quale la Corte d’Appello ha ritenuto di dichiarare inammissibile la predetta produzione risulta corretto, ma occorre correggerne la motivazione a supporto nel senso non già che l’acquisizione del documento non sia indispensabile, ma che non è provata l’impossibilità della parte di produrlo in primo grado senza sua colpa.
3.3. Quanto alle residue doglianze, esse non assicurano al motivo una sorte diversa da quella che, pur con la vista correzione, va tributata a quella appena vista.
La sentenza non merita per vero emenda né con riguardo al preteso difetto di novità del documento, poiché l’argomento sviluppato a questo fine (essere il documento riproduttivo di un fatto già provato per effetto della produzione in giudizio della delibera di giunta di conferimento dell’incarico difensivo per il nuovo giudizio) non è conducente presupponendo l’idoneità probatoria del documento che quel fatto dovrebbe provare, circostanza che si è visto la sentenza nega con motivazione non attaccabile in questa sede; né ancora con riguardo agli argomenti fatti valere con riferimento alle richiamate disposizioni del T.U. n. 445 del 2000, che, in disparte da ogni rilievo circa la loro pertinenza, paradossalmente conducono alla medesima conclusione che si vorrebbe vedere confutata, e cioè confermano, come già ritenuto dalla sentenza, che il documento non sarebbe idoneo a provare il fatto della mancata riassunzione; né infine la denunciata inosservanza dell’art. 213 c.p.c., risultando sul punto il contrario intendimento fatto valere dal decidente conforme agli insegnamenti di questa Corte (Cass., Sez. III, 12/03/2013, n. 6101).
4. Il ricorso va dunque respinto.
5. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021
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