Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23507 del 26/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28102-2019 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato QUIRINO MESCIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata l’11/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA PONTERIO.

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Campobasso ha respinto l’appello di L.M., confermando la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda di indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992;

2. la Corte territoriale, al pari del primo giudice, ha respinto la tesi difensiva della mai acquisita consapevolezza, da parte della L., in ordine al nesso causale tra la patologia sofferta e la vaccinazione antipolio, alla stessa somministrata il ***** all’età di un anno (la ricorrente è nata il *****), a causa del ritardato sviluppo della medesima, tuttora pari a quello di una bambina di nove anni;

3. la tesi difensiva, secondo i giudici di appello, sarebbe smentita dalle risultanze processuali che attestano come la L. non risulti essere interdetta o avere un amministratore di sostegno, ha agito personalmente sia nella fase amministrativa e sia in quella giudiziale, conferendo personalmente e firmando il mandato ad litem al difensore; il verbale della C.M.O. attesta, peraltro, come la stessa fosse “sufficientemente vigile e orientata”;

4. dai documenti acquisiti risultava che nel 1972 e nel 1977, in occasione dei ricoveri della attuale ricorrente presso il Policlinico Umberto I di Roma, era stata posta la diagnosi di encefalite post vaccinatoria antipolio e, quindi, la chiara indicazione del nesso causale;

5. sulla base di questi dati, la Corte di merito ha ritenuto che la domanda presentata il 15.5.2013 fosse tardiva, rispetto al termine triennale di decadenza, e che non fossero stati forniti validi elementi giustificativi del lungo intervallo di tempo intercorso dalla conoscenza del nesso causale;

6. ha parimenti escluso che la normativa applicata presentasse profili di illegittimità costituzionale essendo la previsione di un termine di decadenza ragionevolmente legata all’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche soggettive, immanente all’ordinamento;

7. avverso tale sentenza L.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo ed ha, preliminarmente, chiesto che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale; il Ministero della Salute ha resistito con controricorso;

8. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione ‘dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

9. la questione di legittimità costituzionale è formulata in relazione alla L. n. 210 del 1992, art. 3, quanto alla previsione di un termine decadenziale triennale per la proposizione della domanda di riconoscimento dell’indennizzo da parte dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, per contrasto con gli artt. 2 e 32 Cost.;

10. si sostiene, richiamando precedenti pronunce della Corte Cost., che il diritto all’indennizzo per danni derivanti dall’adempimento di un obbligo legale, quale appunto le vaccinazioni obbligatorie, non dovrebbe essere sottoposto ad alcun termine decadenziale; che la condizione giuridica dei soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie non è assimilabile a quella dei danneggiati da emotrasfusioni; che in quest’ultimo caso, l’indennizzo consiste in una misura di sostegno economico fondata sulla solidarietà garantita ai cittadini, ai sensi degli artt. 2 e 38 Cost., a fronte di eventi generanti una situazione di bisogno; laddove nel primo caso l’indennizzo poggia sul dovere dello Stato di evitare gli effetti teratogeni degli interventi terapeutici;

11. si sollecita, comunque, una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in esame;

12. con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, circa il dies a quo del termine decadenziale per la presentazione della domanda di indennizzo. Necessità di prova certa della consapevolezza del nesso causale da parte del danneggiato. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., sulla possibilità di ricorso alle presunzioni;

13. si sostiene che il termine di decadenza possa decorrere solo dal momento in cui il danneggiato acquisisce piena e sicura consapevolezza del nesso causale tra la patologia e la vaccinazione; che nel caso di specie, la sentenza impugnata si fonda su un travisamento delle risultanze processuali che documentano i gravi deficit psichici e intellettivi della L. a causa della patologia post vaccinica contratta ad un anno di età; che le condizioni patologiche della predetta, riconosciuta invalida al 100% con necessità di assistenza continua perché non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, rendono invalido il ragionamento induttivo svolto dai giudici di merito;

14. che lo stesso ministero, nella comparsa di costituzione in primo grado, ha ammesso che solo i familiari di L.M. potevano mettere in relazione causale la patologia con la vaccinazione;

15. che la L. n. 210 del 1992, art. 3, richiede che “il danneggiato” (non i suoi parenti) maturi la consapevolezza del riferimento causale della patologia alla vaccinazione per poter presentare la domanda di indennizzo e, agli atti del processo, non esiste alcuna prova che tale consapevolezza sussistesse in epoca anteriore al momento di presentazione della domanda nel 2013;

16. il ricorso non può trovare accoglimento;

17. questa Corte ha più volte precisato che l’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine al conseguimento, da parte dell’assicurato, della consapevolezza, ad una certa data, del nesso eziologico tra danno irreversibile alla salute e vaccinazione somministrata costituisce apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, se esente da vizi logici ed errori di diritto (v. Cass. n. 27101 del 2018; Cass. n. 2666 del 2018);

18. nel caso di specie, i giudici di appello hanno accertato come l’attuale ricorrente (o coloro che ne avevano la rappresentanza legale in ragione della minore età) avesse avuto conoscenza (id est avrebbe dovuto avere conoscenza – cfr. Cass. Sez. Un. 579 dell’11 gennaio 2008) del danno irreversibile causato dalla vaccinazione fin dal 1972 o dal 1977 e ciò sulla base di certificazioni in atti relative ai ricoveri avvenuti negli anni suddetti, nel corso dei quali era stata posta la diagnosi di encefalite post vaccinatoria antipolio;

19. del resto, le disposizioni di cui alla L. n. 210 del 1992 (art. 3, comma 7, letto in combinato con lo stesso testo, art. 1, ed integrato con quanto previsto dall’art. 3, comma 1, che individua nella “conoscenza del danno” il dies a quo per la decorrenza del termine perentorio per far richiesta dell’indennizzo) richiedono che l’interessato abbia una documentata consapevolezza del danno irreversibile all’integrità fisica e della derivazione di tale danno dalla vaccinazione obbligatoria sulla base di un ragionevole criterio di probabilità scientifica e consentono, a tal fine, di positivamente apprezzare tutti quei fatti che diano certezza dell’esistenza dell’irreversibile stato morboso e della normale conoscibilità di esso da parte dell’interessato;

20. a fronte dell’accertamento compiuto dalla Corte d’appello, non solo non viene specificamente individuata alcuna statuizione della sentenza impugnata costituente violazione o erronea applicazione di un principio di diritto ricavabile dalla L. n. 210 del 1992, ma il motivo di ricorso si risolve nella prospettazione di un diverso momento in cui l’attuale ricorrente avrebbe avuto consapevolezza della derivazione dalla vaccinazione antipolio della patologia da cui era affetta, quindi in una critica alla valutazione degli elementi di prova compiuta dal giudice di appello. In tali termini la censura non può essere accolta, demandando a questa Corte un non consentito riesame del merito;

21. sulla prospettata questione di legittimità costituzionale questa S.C. ha già osservato come la determinazione del contenuto e delle modalità di realizzazione dell’intervento di natura solidaristica costituito dall’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, è rimessa alla discrezionalità del legislatore il quale, nel ragionevole bilanciamento dei diversi interessi costituzionalmente rilevanti coinvolti, può subordinare l’attribuzione delle provvidenze alla presentazione della relativa domanda entro un dato termine, fissato nella specie in tre anni, decorrente dal momento dell’acquisita conoscenza del danno e della sua eziologia, termine che non appare talmente breve da frustrare la possibilità di esercizio del diritto alla prestazione e vanificare la previsione dell’indennizzo (v. Cass. n. 2666 del 2021 cit.; Cass. n. 27101 del 2018 cit.). Alla luce delle esposte considerazioni, si ritiene che non ricorrano i requisiti di non manifesta infondatezza della questione posta;

22. per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto;

23. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

24. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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