LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTERIO Carla – Presidente –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21822-2019 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE CASTELLESE;
– ricorrente –
contro
C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati FILIPPO BENNARDO, MARCO BENNARDO, CHIARA BENNARDO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 24/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MARCHESE GABRIELLA.
RILEVATO
CHE:
la Corte di appello di Caltanissetta ha respinto l’appello proposto da Poste Italiane nei confronti di C.R. e ha confermato la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità della sanzione conservativa della sospensione per giorni cinque dal servizio con privazione della retribuzione irrogata alla propria dipendente;
in estrema sintesi, a fondamento della decisione, la Corte di appello ha osservato come Poste Italiane non avesse offerto alcuna prova della condotta contestata alla lavoratrice ovvero della “corresponsabilità della lavoratrice con l’impiegato (effettivo) pagatore dei rimborsi relativi a 19 (diciannove) buoni postali fruttiferi risultati palesemente falsificati e/o clonati”;
nello specifico, secondo la Corte distrettuale, non era emersa la prova che la direttrice avesse avuto contezza delle procedure di rimborso in atto e che, pur potendo, avesse omesso preventivamente di verificarne la correttezza (per) impedire all’impiegato pagatore di portarle a compimento;
avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione Poste Italiane spa (di seguito, per brevità Poste), articolato in due motivi, cui ha opposto difese C.R., con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
la parte controricorrente ha depositato memoria.
RILEVATO
CHE:
con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 – è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115,116,437 c.p.c., degli artt. 2104, 2048 e 2049 c.c. e dell’art. 12 preleggi c.c., in relazione alle disposizioni operative interne aziendali, nonché errata e/o insufficiente motivazione su fatto decisivo per il giudizio;
per Poste, la Corte territoriale avrebbe del tutto trascurato le deduzioni prospettate in ordine alla condotta effettivamente contestata alla dipendente, non limitata all’omissione di “controlli preventivi”, come sembrerebbe emergere dalla ricostruzione della sentenza impugnata, ma integrata da una più generale culpa in vigilando, imposta dal ruolo apicale svolto dalla dipendente che avrebbe richiesto un grado di diligenza superiore a quello normalmente dovuto dai lavoratori di livello inferiore;
osserva il Collegio che le censure, articolate attraverso la mescolanza e alternanza di valutazioni ed emergenze processuali, si arrestano, per plurime ragioni, ad un rilievo di inammissibilità;
come risulta evidente dalla stessa rubrica prima richiamata, il motivo in modo promiscuo, denuncia la violazione di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonché di ipotetici vizi di motivazione, senza, però, che gli errori siano ricondotti, o comunque siano agevolmente riconducibili, tra quelli tipicamente indicati dell’art. 360 c.p.c., (in argomento, v. Cass., sez.lav., n. 5539 del 2021, in motiv., con i richiami ai plurimi precedenti di questa Corte);
tale modalità di formulazione risulta irrispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione nei casi -come quello in esame- in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di “inestricabile promiscuità” tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v. sempre Cass. n. 5539 del 2021 cit.);
le plurime censure di violazione di legge trascurano di considerare anche che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012) non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione (da ultimo, Cass. n. 4905 del 2020);
chi ricorre invoca, poi, esplicitamente il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in una ipotesi chiaramente preclusa, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., a tenore del quale il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”, come nella fattispecie di causa. La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2); nel presente giudizio l’impugnazione risulta iscritta nel 2016; in questi casi il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve chiaramente specificare Ile ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), specificazione affatto contenuta nel motivo in esame;
con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3- è dedotta la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7;
il motivo è inammissibile in quanto investe una statuizione espressamente resa ad abuntandiam, avendo la Corte di appello così, testualmente, osservato: “il rigetto dell’appello principale (di Poste) rende superfluo l’esame dell’appello incidentale (…) per mero scrupolo comunque si rileva che l’eccezione sulla violazione del principio di immediatezza è fondata (…)”;
si tratta dunque di osservazioni eccedenti rispetto alla necessità logico-giuridica della decisione; esse, quindi, sono da considerare obiter dicta, come tali non vincolanti, improduttivi di effetti giuridici e non suscettibili di gravame, né di censura in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 1815 del 2012; in motiv., tra le tante, Cass. n. 28923 del 2018, p. 4.5.; Cass. n. 11892 del 2020);
sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021