Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23537 del 27/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PONTERIO Carla – Presidente –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32639-2019 proposto da:

FLORICOLA 44 SNC di A.R. – SOCIETA’ AGRICOLA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO PAOLUCCI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 671/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MARCHESE GABRIELLA.

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Roma ha respinto l’impugnazione della società in epigrafe avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva respinto il ricorso volto ad accertare l’insussistenza del credito vantato dall’INPS e fondato sull’accertamento della Guardia di Finanza – compagnia di Latina – del 9 giugno 2009;

avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società La Floricola 44 snc di A.R. soc.agr., con due motivi, cui ha resistito l’I.N.P.S., con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo, parte ricorrente -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte di appello fondato la decisione su elementi di prova contestati dalla società;

con il secondo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. per non avere l’INPS assolto l’onere di prova;

i motivi possono congiuntamente trattarsi, presentando analoghi profili di inammissibilità;

il richiamo contenuto in rubrica agli artt. 115 e 116 c.p.c. è del tutto inconferente rispetto ai contenuti delle censure; il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, mentre una questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (ex plurimis, Cass. n. 27000 del 2016);

impropria è anche la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c., disposizione che viene in rilievo nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova, individuando come soccombente la parte onerata della stessa; è in tale eventualità che il soccombente può censurare la non corretta ripartizione del carico probatorio;

nel caso in esame, non è prospettata alcuna delle indicate evenienze;

la Corte territoriale non ha deciso la controversia né in applicazione del principio di non contestazione (ritenendo cioè incontroversi e non bisognevoli di ulteriore prova i fatti indicati dall’INPS) né in applicazione della regola di riparto degli oneri di prova (individuando come soccombente la società in quanto onerata della prova dei fatti);

i giudici di appello hanno piuttosto liberamente valutato e apprezzato il materiale probatorio e, all’esito, hanno ritenuto accertato -e dunque provato- il fatto costitutivo del credito dell’Istituto;

la Corte di merito ha deciso la controversia, osservando come “il verbale (…) d(ovesse) valutar(si) in concorso con gli altri elementi” (v. pag. 5 della sentenza impugnata), nella specie individuati oltre che in altro precedente giudiziale e nella “documentazione acquisita” anche nella condotta processuale della società che aveva sviluppato “deduzioni generiche (neppure) (…) prospettate in sede di accesso”;

si tratta, con riferimento al rilievo dato alle deduzioni difensive, non di applicazione del principio di non contestazione, come codificato nell’art. 115 c.p.c., ma di argomentazioni di rinforzo della decisione che operano interamente sul piano del libero convincimento, non censurabile in questa sede, se non nei ristretti limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

assorbite le ulteriori questioni controverse in causa, il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472