LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PONTERIO Carla – Presidente –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 33573-2019 proposto da:
E.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 36, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIACANI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO RICCARDI;
– ricorrente –
contro
WHIRLPOOL EMEA SPA, società incorporante la WHIRLPOOL EUROPE SRL, in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OFANTO N. 18, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO ESPOSITO, rappresentato difeso dall’avvocato GAETANO RUGGIERO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1898/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 10/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MARCHESE GABRIELLA.
RILEVATO
CHE:
la Corte di appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da E.V. nei confronti di Whirlpool Europe S.r.l. avverso la decisione di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso, accertato il demansionamento del lavoratore, aveva riconosciuto il danno biologico, liquidato in Euro 8941,62, mentre aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale (quanto alle voci del pregiudizio morale ed esistenziale);
a fondamento del decisum, la Corte di appello, sulla premessa che il danno patrimoniale non rappresenta conseguenza automatica del demansionamento, ha ritenuto che, nella fattispecie, le allegazioni del lavoratore fossero del tutto carenti e che generica fosse la prospettazione del patito pregiudizio patrimoniale;
quanto a quello non patrimoniale, nelle voci del danno morale ed esistenziale, la Corte ha osservato come il pregiudizio non risultasse supportato da allegazione e prova di sufficienti elementi idonei a provarne l’esistenza in forma autonoma e distinta rispetto alla voce del danno biologico, già riconosciuto;
avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione E.V., articolato in tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, Whirlpool Emea S.p.A., quale incorporante della Whirlpool Europe S.r.l.;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2103,2697,2729 e 1226 c.c. nonché dell’art. 432 c.p.c. per l’omesso riconoscimento del danno patrimoniale da demansionamento, sub specie di danno alla professionalità. Parte ricorrente assume l’erroneità della decisione per non aver considerato che il giudice di merito può -e deve- desumere l’esistenza del danno quando il lavoratore assolva gli oneri di allegazione con l’indicazione di elementi presuntivi, connotati dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quali, ad esempio, l’entità e la durata del dimensionamento; elementi che parte ricorrente assume dedotti nel caso di specie;
il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità;
in via generale, in tema di dequalificazione professionale, questa Corte afferma che il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato, può desumere l’esistenza del danno – di natura patrimoniale, il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore- e determinarne l’entità, anche in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (tra le più recenti, v. Cass. n. 19923 del 2019);
la decisione impugnata, in coerenza con il principio di diritto indicato, ha reputato, tuttavia, gli elementi di fatto, dedotti dal lavoratore, inidonei alla prova del pregiudizio domandato (id est: del danno patrimoniale) e, quindi, evidentemente, allo sviluppo del ragionamento inferenziale;
le censure, non confrontandosi con tale ratio decidendi, si dilungano diffusamente sui principi di questa Corte in tema di prova presuntiva dei danni conseguenti al demansionamento professionale e imputano alla decisione una confusione, non vera, tra danno patrimoniale e danno professionale non patrimoniale;
in tal modo, restano privi di riferibilità alla decisione impugnata e sono pertanto inammissibili. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che “la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4” (ex plurimis, Cass. n. 20652 del 2009; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017);
con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso. L’omissione è riferita all’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie richieste per la quantificazione del pregiudizio sofferto;
con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso; le medesime argomentazioni del secondo motivo sono riferite all’omessa pronuncia sulle istanze istruttorie volte all’accertamento del danno non patrimoniale;
il secondo ed il terzo motivo possono congiuntamente esaminarsi per presentare analoghi profili di inammissibilità;
il vizio denunciato e’, nella fattispecie, precluso, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., a tenore del quale il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”, come nella fattispecie di causa. La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2); nel presente giudizio l’impugnazione risulta iscritta nel 2016;
in ogni caso, come ripetutamente affermato da questa Corte, la denuncia di omessa pronuncia sulle istanze istruttorie esula dal paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (per tutte, v. Cass. n. 27415 del 2018) dovendo, piuttosto, il ricorrente specificare le circostanze di fatto oggetto della prova, così da dimostrare l’idoneità delle stesse ad invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, il convincimento del giudice di merito; specificazione del tutto carente nel caso di specie;
sulla base delle esposte argomentazioni” il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021