Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23611 del 31/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27431-2019 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MAURO SFERRAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– ricorrente –

P.D., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE n. 155, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE BRINATI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MAURO SFERRAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 25/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 25 del 2019, ha respinto il gravame proposto dall’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di P.D. tesa ad ottenere la condanna dell’Istituto, quale gestore del Fondo di Garanzia, al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.217,67 a titolo di crediti diversi dal t.f.r. e di Euro 4.309,41 a titolo di t.f.r., non corrisposti dal datore di lavoro;

ad avviso della Corte territoriale erano integrati i presupposti per l’insorgenza dell’obbligo di intervento del Fondo, dovendosi, in particolare, respingere l’eccezione di decadenza dell’Inps, posto che il provvedimento di rigetto in sede amministrativa era stato adottato il 5.6.2013; il termine per proporre l’azione giudiziaria scadeva il 3.9.2014 mentre il ricorso era stato introdotto il 12.6.2014;

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’INPS sulla base di tre motivi;

ha resistito, con controricorso, contenente ricorso incidentale P.D., cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:

deve esaminarsi, per il carattere dirimente collegato al suo eventuale accoglimento, il ricorso incidentale, il cui unico ed articolato motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,342 e 434 c.p.c., come novellati dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, nonché – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per essersi l’INPS, con l’atto di appello, limitato a riprodurre la circolare n. 74 del 2008, senza indicare specificamente le parti del provvedimento che intendeva appellare;

il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità in quanto articolato con modalità non idonee a consentire la verifica di fondatezza delle censure;

questa Corte, con particolare riferimento agli oneri di completezza del ricorso connessi alla censura di omesso rilievo della inammissibilità dell’appello – in cui nella sostanza si concreta il vizio denunciato – per la non conformità al paradigma di specificità imposto dall’art. 342 c.p.c., ha affermato che “ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati dalla controparte” (Cass., Ord., n. 29495 del 2020; Cass. n. 86 del 2012; Cass. n. 9734 del 2004); a tale onere si collega quello connesso alla necessità di trascrivere o riportare con precisione le argomentazioni della parte motiva della sentenza di primo grado il cui contenuto costituisce imprescindibile termine di riferimento per la verifica in concreto del rispetto del principio di specificità dell’appello di cui agli artt. 342 e 343 c.p.c. (v. Cass. n. 3194 del 2019; in motivazione, anche Cass., sez. lav., n. 24391 del 2020);

invero, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata “indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, proprio per assicurare il rispetto del principio di autosufficienza di esso” (Cass. n. 29495 del 2020 cit.);

il ricorso incidentale, carente della adeguata indicazione di detti elementi, va dunque dichiarato inammissibile;

quanto al ricorso principale, con il primo motivo, è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, comma 1, conv. dalla L. n. 438 del 1992, con riferimento agli artt. 2968 e 2969 c.c., L’INPS evidenzia l’errore della decisione, avuto riguardo ai fatti accertati in sentenza e relativi alla data di presentazione della domanda amministrativa di pagamento del trattamento di fine rapporto e delle ultime mensilità (il 2/6 ottobre 2011) ed a quella di deposito del ricorso giudiziario (12 giugno 2014);

l’Istituto sostiene che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, si sia verificata la decadenza di cui al citato art. 47, essendo ampiamente decorso il termine di un anno e trecento giorni (corrispondente alla durata massima complessiva del procedimento amministrativo risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni, previsto per la decisione della domanda dalla L. n. 533 del 1973, art. 7, e di centottanta giorni, previsto per la decisione del ricorso amministrativo dalla L. n. 88 del 1989, art. 46, commi 5 e 6), decorrente dal momento di presentazione della domanda amministrativa all’Inps;

il motivo è fondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. un., n. 19992 del 2009, cui hanno fatto seguito, ex multis, Cass. n. 15531 del 2014 e successive conformi: Cass. n. 2249 del 2016, Cass. n. 8671 del 2016, Cass. n. 25896 del 2016; Cass. n. 1877 del 2017; Cass. n. 9158 del 2017; Cass. n. 26163 del 2017);

secondo l’orientamento richiamato, il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto rientra nella “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” di cui alla L. n. 1989 del 1988, art. 24, richiamato nel D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 3, sicché alle prestazioni da esso dovute si applica il termine di decadenza annuale di cui al medesimo art. 47, comma 3, nel testo ratione temporis applicabile;

la decorrenza del termine annuale per la proposizione dell’azione giudiziaria deve essere stabilita alla stregua dell’ipotesi residuale o “di chiusura” di cui al medesimo articolo, ovvero dalla scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo fissati in trecento giorni e computati dalla data di presentazione della domanda di prestazione, anche nel caso, verificatosi nella specie, di un provvedimento esplicito – ma tardivo – sulla domanda dell’assicurato;

ne consegue, con riguardo alla fattispecie in esame, che il termine di un anno e trecento giorni decorrente dal 6.10.2011 (v. pag. 2, p. 1. b) sentenza impugnata) risulta interamente decorso al momento di proposizione della domanda giudiziale del 12.6.2014 (v. pag. 3, p. 2.3. sentenza impugnata);

gli ulteriori motivi, proposti in via subordinata al mancato accoglimento del primo, restano evidentemente assorbiti;

in conclusione, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, con assorbimento degli altri motivi, e deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale;

la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda originaria;

quanto alle spese dell’intero processo, P.D. va dichiarata esente dal pagamento delle stesse, sussistendo i presupposti di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c.;

sussistono, invece, i presupposti processuali per il pagamento, da parte della ricorrente in via incidentale, del doppio contributo, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri motivi e inammissibile il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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