Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23612 del 31/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35190-2019 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato difeso dall’avvocato S.C.;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINA PULLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PATRIZIA CIACCI, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 528/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA CALAFIORE.

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta da C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Crotone, resa nei confronti dell’INPS, di rigetto della domanda proposta dal medesimo C. al fine di ottenere la condanna dell’INPS al pagamento dell’indennità di accompagnamento;

il C., nel corso del giudizio di primo grado, non si era presentato a visita – alla data del ***** – fissata dal c.t.u. ed aveva successivamente giustificato la circostanza esibendo attestazione di dimissioni da un presidio ospedaliero, datata *****, dalla quale si evinceva che il C. era un paziente autonomo che effettuava passaggi posturali e trasferimenti, raggiungeva la stazione eretta autonomamente e la manteneva con corretta gestione delle mosse e deambulava con bastone ad una punta di sicurezza;

la Corte d’appello ha affermato che grava sull’interessato l’onere di collaborazione al fine di accertare lo stato invalidante e che la documentazione in atti non era utile a giustificare l’inosservanza di tale onere;

avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.G. sulla base di due motivi: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata avrebbe dovuto, al fine di ritenere effettivamente ingiustificata l’assenza, dare conto del fatto che il C. aveva comunicato al c.t.u. di trovarsi a *****, a circa 800 KM di distanza da ***** e che le sue condizioni di salute non consentivano il trasferimento; 2) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che si ravvisa nella circostanza che la Corte non avrebbe considerato che l’assenza era giustificata dalla distanza di circa 800 chilometri tra il luogo in cui si trovava il C. ed il luogo della visita;

l’INPS resiste con controricorso;

la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

CONSIDERATO

che:

il primo motivo, con il quale il ricorrente si duole della violazione dell’art. 116 c.p.c., in disparte l’erroneo riferimento dell’art. 360 c.p.c., al n. 2), anziché al n. 4,) trattandosi di error in procedendo, è inammissibile in applicazione dei principi espressi da questa Corte di cassazione, secondo i quali la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. SS.UU. n. 20860 del 2020; SS.UU. n. 18092 del 2020 e numerose alter ivi richiamate);

nel caso di specie, è appunto il malgoverno del prudente apprezzamento del Giudice, non in ordine all’accertamento di fatti oggetto di prova, ma in ordine alla giustificabilità della mancata collaborazione della parte all’accertamento medico legale, che si censura la sentenza per cui il motivo è inammissibile;

il secondo motive, che aggredisce la sentenza impugnata in punto specifico di vizio della motivazione, è pure inammissibile;

questa Corte di cassazione (vd. Cass. n. 2361 del 2019 e le altre pronunce ivi richiamate) ha più volte chiarito i limiti del sindacato sulla motivazione determinati dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo, come avviene nel caso di specie ove si critica la valutazione sulle complessive condizioni di salute dell’interessato compiute dalla Corte territoriale al fine di ritenere ingiustificata l’omessa presentazione alla visita fissata dal c.t.u.;

in definitive, il ricorso va dichiarato inammissible;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidate in dispositivo; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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