LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 27496/2016) proposto da:
professionale rag. C.W. (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv.to Mario Pinelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Walter Feliciani, in Roma, v. Flaminia, n. 71;
– ricorrente –
contro
Avv. CU.AL. (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Stefania Giuliani ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Milli Marina, in Roma, v. Marianna Dionigi, n. 29;
– controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 531/2016 (pubblicata il 28 aprile 2016);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Carrato Aldo;
lette le memorie depositate dalle difese di entrambe le parti ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione ritualmente notificato C.W. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 203/2005 emesso dal Tribunale di Ancona con il quale gli si ingiungeva il pagamento della somma di Euro 4.675,70 in favore dell’avv. Cu.Al., a titolo di compenso per prestazioni professionali dallo stesso rese per conto di esso opponente, avuto riguardo ad una causa di lavoro instaurata dinanzi al Tribunale di Pesaro e alla proposizione di un ricorso, avanti al Tribunale di Ancona, per l’ottenimento della cancellazione della trascrizione di una sentenza.
L’opposizione era stata fondata sull’assunta insussistenza del credito vantato dal citato avvocato sul presupposto che per la pratica relativa alla suddetta cancellazione il professionista legale ne aveva garantito lo svolgimento a titolo gratuito (con salvezza delle spese vive) e che il compenso relativo all’altro affare giurisdizionale avrebbe dovuto essere compensato con il suo credito derivante dal danno da risarcirgli conseguente alla inadeguata gestione, da parte dello stesso avvocato, di un contenzioso promosso nei confronti di una società (la s.p.a. Carifano).
Nella costituzione dell’opposto avvocato, all’esito dell’esperita istruzione probatoria, l’adito Tribunale di Ancona, con sentenza (emessa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.), n. 1783/2009, rigettava l’opposizione e confermava il decreto monitorio, condannando l’opponente al pagamento delle spese giudiziali.
2. Decidendo sull’appello formulato dal C., cui resisteva l’avv. Cu., la Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 531/2016 (pubblicata il 28 aprile 2016), rigettava il gravame e confermava, quindi, l’impugnata sentenza, con la condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata decisione la Corte marchigiana rilevava la correttezza della valutazione delle prove e dei fatti di causa così come operata dal primo giudice e l’adeguatezza della motivazione della sentenza a tal proposito, in esito alla quale era stata ritenuta raggiunta la prova che l’avv. Cu. aveva diligentemente eseguito la prestazione di consulenza legale.
3. Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il C.W.. Si è costituito con controricorso l’avv. Cu.Al..
Le difese di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.c. (recte: c.p.c.), nonché dell’art. 246 c.p.c., in tema di valutazione dell’attendibilità del teste avv. P.M. al fine del riscontro sullo svolgimento della prestazione professionale da parte dell’avv. Cu.Al..
2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., con riferimento agli artt. 115 e 116 c.c. (recte: c.p.c.) oltre che all’art. 246 c.p.c., in tema di valutazione delle presunzioni e delle prove diverse dalla testimonianza, con particolare riguardo alla mancata valorizzazione di una missiva del 17 giugno 2002 e alla parziale e riduttiva valutazione di altri elementi istruttori relativamente all’intero compendio probatorio offerto nell’ambito del giudizio di merito.
3. Con la terza ed ultima doglianza il ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti con riferimento alle circostanza di cui alla documentazione prodotta a prova contraria dall’opponente/appellante, così come indicata con lo svolgimento del secondo motivo.
4. Rileva il collegio che il primo riportato motivo è inammissibile poiché esso si risolve, in effetti, sulla contestazione della valutazione di attendibilità del teste P. e quindi, in una risollecitazione dell’apprezzamento di merito del contenuto della relativa deposizione, non censurabile nella presente sede di legittimità, senza, quindi, nemmeno che si possa ritenere configurabile la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
E’ risaputo che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., ad es., Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019). E’ altrettanto pacifico che, in materia di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012.
Ciò premesso, va evidenziato che Corte di appello ha specificato, nella motivazione dell’impugnata sentenza, le circostanze che deponevano nel senso dell’attendibilità del citato teste che aveva assistito al colloquio tra il ricorrente e l’avv. Cu. con riferimento all’esplicazione del parere asseritamente ritenuto dal ricorrente reso negligentemente, specificando che, nell’occasione, il legale aveva espressamente invitato il ricorrente a riprendere il lavoro. La Corte territoriale ha, quindi, nella manifestazione del suo apprezzamento di merito, ritenuto attendibile il citato teste, non rilevando l’emergenza di circostanze che avrebbero potuto legittimare la sua partecipazione al giudizio. Oltretutto, la Corte marchigiana ha riferito che la suddetta questione sulla supposta violazione dell’art. 246 c.p.c. era stata proposta per la prima volta con i motivi di appello e non era stata neanche riportata in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado.
5. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente siccome all’evidenza connessi.
Essi sono infondati e devono, perciò, essere rigettati, perché, sotto forma di distinte violazioni ricondotte all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, investono i medesimi fatti e le stesse valutazioni probatorie compiute dal giudice di appello.
Con la loro proposizione, in effetti, si cerca, ancora una volta, di rimettere in discussione l’attendibilità del contenuto della testimonianza del P., attraverso una sua riconsiderazione – implicante un apprezzamento di merito – correlata all’asserita rilevanza (e, quindi, sussumibile anche nel vizio di omesso esame) di due documenti (lettera dello stesso ricorrente del 17 giugno 2002 e lettera dell’Avv. Cu. del 2 luglio 2002, unitamente a due fax dell’avv. P.), dal quale si sarebbe potuto desumere l’effettivo “animus” (ovvero il grado di consapevolezza) del C. in ordine alla tempistica degli accadimenti ed alle attività, iniziative da intraprendere.
Si sollecita, pertanto, questa Corte di procedere, ma ancora una volta inammissibilmente, alla valutazione di merito del contenuto di tali documenti;
peraltro, il giudice di appello, nell’esercizio del suo potere selettivo delle prove idonee all’esplicazione del suo convincimento, ha ritenuto determinate la deposizione dell’avv. P., escludendo la rilevanza di altri elementi probatori, esprimendo univocamente un giudizio di non univocità di vari supposti elementi indiziari (correlabili ai predetti documenti) allegati dal C. circa l’addotto inadempimento dell’avv. Cu., perciò privi della necessaria valenza a fondare una presunzione, ai sensi dell’art. 2729 c.c.. Quindi, la Corte di appello ha, in ogni caso, preso in esame gli altri elementi addotti dal C., non incorrendo, perciò, nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 ed espresso il motivo per l’inapplicabilità del citato art. 2729 c.c.. 6. In definitiva, sulla scorta delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i corrispondenti ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile il 14 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021
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