Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23730 del 01/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13637-2018 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 101, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DENICOLAI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LIMBLICI;

– ricorrente –

contro

SICILIA PATRIMONIO IMMOBILIARE S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CASTELLO DELLA MAGLIANA 38, presso lo studio dell’avvocato DARIO SCIME’, rappresentata e difesa dall’avvocato TEODORO CALDARONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 994/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/11/2017 R.G.N. 1119/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO

Che:

con sentenza n. 994 del 6 novembre 2017, la Corte d’appello di Palermo ha riformato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da B.S. nei confronti della Sicilia Patrimonio Immobiliare S.p.A. (d’ora in poi, Spi), volta ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto a progetto intercorso fra le parti dal 18 luglio 2011 al 19 luglio 2012, prorogato sino al 19 luglio 2013, con mansioni di Project Manager con accertamento nella natura subordinata del rapporto sin dall’origine e condanna della società datrice alla riammissione in servizio ed al risarcimento del danno commisurato ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, in 12 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto;

in particolare, la Corte ha ritenuto di rilievo assorbente il divieto di conversione del contratto considerato in rapporto a tempo indeterminato a cagione dell’applicabilità alla fattispecie di quanto previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis;

per la cassazione della sentenza propone ricorso B.S., affidandolo a due motivi;

resiste, con controricorso, Sicilia Patrimonio Immobiliare S.p.A. in liquidazione;

entrambe le parti hanno presentato memorie;

il P.G. ha concluso per il rigetto.

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis in relazione al presupposto, che si asserisce erroneo, della natura pubblicistica della Spi;

con il secondo motivo si allega la violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis assumendosi l’erroneo presupposto dell’inserimento della Spi nel conto economico consolidato della P.A.;

con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai documenti prodotti ed in particolare allo statuto della Spi e del contratto di servizio, da cui si evincerebbe la natura privatistica della società senza vincoli rispetto all’ente pubblico partecipante;

i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono infondati e, pertanto, non possono essere accolti;

il contratto della cui legittimità si discute, invero, è stato stipulato nella vigenza del D.L. n. 112 del 2008, art. 18 convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008 che, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009 di conversione del D.L. n. 78 del 2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 3, ed al comma 2 prescrive alle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”;

il comma 2 bis prevede, inoltre, che “le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione ai regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5”;

con la disposizione in commento il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono (in questi termini, C.d.S. – Sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010; sul punto si vedano, altresì, Corte Cost. n. 466 del 1993, Corte Cost. nn. 29 del 2006, 209 del 2015, 55 del 2017 che distinguono la privatizzazione formale da quella sostanziale reputando comunque in quest’ultima rilevante l’art. 97 Cost., di cui il D.L. n. 112 del 2008, art. 18 costituisce attuazione);

in tema di società partecipate, d’altro canto, le Sezioni Unite di questa Corte, hanno segnatamente evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591 del 2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759 del 2017);

sulla linea di tale assetto normativo e giurisprudenziale si è collocata, quindi, la decisione della Corte territoriale che, dando conto della natura del controllo regionale, nonché dell’inclusione della Spi fra le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, individuate dall’ISTAT, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 5 ha ritenuto applicabile alla fattispecie il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36;

sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va poi rilevato che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le altre, Cass. n. 23940 del 2017);

occorre, d’altronde, evidenziare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. n. 2887 del 2019) ed inoltre, come osservato più volte da questa Corte, (fra le più recenti, Cass. n. 24395 del 2020) l’allegato errore che si assuma determinato dall’inesatta percezione da parte del giudice di merito di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, poiché consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, senza che su quei fatto, non “controverso” tra le parti, il giudice abbia reso un qualsiasi giudizio, non può costituire motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma, ove ne ricorrano i presupposti, piuttosto, di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4; alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, in favore della parte costituita, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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