LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Giudo – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12451-2020 proposto da:
N.O., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI N. 68, presso lo studio dell’avvocato LUCA ZANACCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICA MONTANARI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 3116/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 4/11/2019, ha riformato su impugnazione del Ministero dell’Interno il provvedimento di accoglimento pronunciato dal Tribunale di Bologna in ordine alle istanze avanzate da N.O. nato in Senegal il ***** volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese perché era omosessuale e la relazione che aveva con un uomo era stata scoperta e resa pubblica. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e memoria.
Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, denunziando la violazione o falsa applicazione di distinte norme (art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, artt. 5 e 19 t.u. imm., della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, art. 33), il ricorrente si duole della valutazione offerta dal tribunale a proposito della non credibilità dei fatti narrati.
Col secondo motivo, denunziando la violazione o falsa applicazione degli artt. 5 e 19 del t.u. imm., della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, art. 33, il ricorrente si duole della negazione della protezione umanitaria in correlazione con l’avvenuto transito in Libia, paese nel quale sono violati i più elementari diritti umani.
Col terzo motivo infine egli censura la decisione in punto di protezione umanitaria anche per l’omesso esame dei presupposti della domanda (oltre che per la violazione degli artt. 2 e 35 Cost.);
Il ricorso è inammissibile.
In ordine al primo mezzo è risolutivo che la Corte di Appello, ha considerato nel complesso inattendibili le dichiarazioni in ordine al presupposto timore di subire ritorsioni in patria; ciò ha fatto tenendo in considerazione non solo la genericità e la scarsa logicità delle dichiarazioni rese dal ricorrente ma elencando i motivi a pag. 2 della sentenza tra i quali la correzione dell’anno di nascita inizialmente indicato nel 1998 e dopo nel 1992.
La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c), (Cass., 05/02/2019, n. 3340; Cass., 07/08/2019, n. 21142; Cass., 19/06/2020, n. 11925; Cass., 02/07/2020, n. 123578), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862). Nel caso di specie, la Corte d’appello rileva diverse lacune ed insufficienze della narrazione dei fatti operata dal richiedente, ritenendo che non sia provata né l’omosessualità, né che il medesimo sia stato sottoposto, e possa esserlo ancora, a persecuzione perché ritenuto tale. La Corte rileva che non è certa neppure l’identità dell’istante, mancando qualsiasi documento di identità, che l’anno di nascita – inizialmente indicato nel 1998 – è stato poi rettificato nel 1992, per farlo coincidere con quello dichiarato dal presunto compagno, che il medesimo non ha neppure saputo indicare dove le presunte foto, che lo ritraevano in intimità con il compagno, sarebbero state pubblicate mentre il presunto compagno dà due diverse versioni circa la data in cui avrebbe lasciato il Paese di origine, per farla coincidere con quella indicata dal richiedente. Nel ricorso non vengono neppure riprodotte le dichiarazioni rese dal ricorrente in primo grado, ritenuto attendibili dal Tribunale.
Gli altri motivi di ricorso sono inammissibili per carenza di interesse. Quando il giudice, per una qualsiasi ragione di rito (inammissibilità di una domanda, o rinuncia alla stessa) si spoglia della “potestas iudicandi”, ma procede comunque al suo esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici, con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare solo queste argomentazioni, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità o di rinuncia la quale costituisce la vera ragione della decisione (Cass. S.U. n. 2155 del 2021; Cass. S.U. n. 24469 del 2013). Nel caso concreto, la Corte d’appello ha rilevato che le domande di protezione sussidiaria ed umanitaria non sono state in alcun modo proposte, ma poi le ha rigettate nel merito. La censura che le ritiene rinunciate (art. 346 c.p.c.) non è stata impugnata, per cui il ricorso che censura solo la statuizione di merito è inammissibile.
Per quanto sopra il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva del Ministero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1/sesta sezione della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021