LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29305-2019 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 303, rappresentato e difeso da sé medesimo;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 11949/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 07/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
che:
P.G., ex dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze, domanda la revocazione dell’ordinanza n. 11949 del 2019, con cui questa Corte, pronunciandosi sulla sentenza della Corte d’appello emessa in sede di rinvio da Cass. n. 17307 del 2016, ha rigettato il ricorso da lui proposto, diretto a sentir dichiarare l’illegittimità del licenziamento disciplinare per superamento del termine perentorio di centoventi giorni per la conclusione del procedimento, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis;
il ricorrente ha affidato le sue ragioni a un unico motivo di ricorso e ha altresì depositato memoria in prossimità dell’Adunanza camerale;
il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato controricorso;
e’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce “Violazione di norme di diritto ed omissione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rinvenibile nell’ordinanza impugnata in riferimento alle previsioni di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4), per ciò che concerne il computo dei termini di avvio e conclusione del procedimento disciplinare di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 1-4, e s.m.i. nel testo vigente all’epoca dei fatti e che ha dato luogo al licenziamento disciplinare del *****”; contesta all’ordinanza impugnata di aver erroneamente ritenuto tempestivo il licenziamento, sebbene il procedimento disciplinare si fosse concluso il *****, con la trasmissione della documentazione dalla Corte dei Conti al all’UPD, mentre la sanzione fosse stata erogata il *****;
contesta la sentenza anche quanto al mancato rispetto del termine di quaranta giorni per la contestazione dell’addebito disciplinare, deducendo che lo stesso avrebbe dovuto farsi decorrere dal 1 ottobre 2010, atteso che soltanto in quella data la documentazione relativa era stata trasmessa dalla Corte dei Conti al Capo dipartimento dell’amministrazione generale del personale;
il motivo è inammissibile;
esso verte su aspetti della controversia su cui l’ordinanza si è puntualmente pronunciata e che travalicano i limiti del ricorso per revocazione per errore di fatto;
l’ordinanza di cui si domanda la revocazione ha considerato, quale momento iniziale di decorrenza del termine la data di contestazione dell’addebito (*****), affermando che la conoscenza del comportamento rilevante ai fini disciplinari si sia ivi perfezionata;
la stessa ordinanza ha, altresì, accertato che all’atto dell’emanazione del provvedimento espulsivo (*****) il termine perentorio, che il ricorrente asserisce essere stato violato, non era ancora spirato, e che ciò avrebbe avuto a verificarsi solo in data *****;
nessuna delle circostanze di fatto accertate dall’ordinanza di cui si chiede la revocazione contiene adeguata censura;
l’errore revocatorio presuppone, infatti, un contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio;
le Sezioni Unite di questa Corte hanno, anche recentemente, ribadito, che “L’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., e dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte volte che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio” (Sez. Un. n. 31032 del 2019);
nella memoria illustrativa il ricorrente ribadisce, poi, la rilevanza ai fini della revocazione del profilo di inammissibilità trattato al punto n. 50 della parte motiva, circa il momento dell’acquisizione della notizia dell’illecito da parte dell’ufficio dei procedimenti disciplinari, per non avere il ricorrente allegato la qualificazione dell’organo di vertice quale responsabile della struttura;
anche tale critica non configura un motivo di revocazione, poiché la stessa prelude alla rilevazione di un vizio di violazione di legge o di motivazione in sede di revocazione per errore di fatto, là dove, dalla lettura del provvedimento gravato, emerge che l’ordinanza, in attuazione delle norme di diritto, ha ritenuto tempestiva la contestazione avendone individuato la decorrenza del termine iniziale dalla data dell'*****, in cui gli atti erano stati trasmessi all’ufficio per i procedimenti disciplinari;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021