LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31501-2019 proposto da:
L.R., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. FRANCESCO MARIA DE GIORGI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto R.G. n. 7073/2018 emesso dal TRIBUNALE DI LECCE depositato in data 19/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO IN FATTO
Che:
L.R., cittadino della Nigeria ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese di origine, per il timore di essere sottoposto a ritorsioni e violenze da parte dei componenti di una setta religiosa alla quale l’istante aveva rifiutato di affiliarsi in sostituzione del padre deceduto;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento L.R. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Lecce, che l’ha rigettato con Decreto in data 19/9/2019;
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata corrispondenza delle ragioni di fuga del ricorrente dal paese di origine con i presupposti di legittimazione della protezione internazionale rivendicata; 2) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto; 3) dalla mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 4) della insussistenza di un’effettiva situazione di vulnerabilità suscettibile di giustificare il riconoscimento dei presupposti per la c.d. protezione umanitaria;
tale decreto è stato impugnato per cassazione da L.R. con ricorso fondato su un unico articolato motivo d’impugnazione;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
con l’unico articolato motivo di ricorso proposto, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il giudice a quo erroneamente condotto il procedimento di valutazione delle dichiarazioni rese dall’interessato nel corso del procedimento, omettendo di tener conto dell’insieme degli indici specificamente indicati dalla legge ai fini del riscontro dell’attendibilità del racconto di vita dell’interessato (partitamente richiamati in ricorso), e trascurando altresì la verifica ufficiosa delle effettive condizioni di pericolosità del relativo paese di origine;
con il medesimo motivo, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 3 Cost., da parte del D.Lgs. n. 25 del 2008 (nella parte modificata dal D.L. n. 13 del 2017), là dove esclude l’impugnabilità in appello del provvedimento emesso dal giudice di primo grado sull’istanza di riconoscimento della protezione internazionale;
dev’essere preliminarmente disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente con riguardo alla mancata previsione legislativa del grado d’appello avverso il provvedimento emesso dal giudice di primo grado in relazione alla domanda di protezione internazionale;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo quanto già ripetutamente affermato da questa Corte, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, tenuto conto delle esigenze di celerità connesse alla natura del procedimento in esame, non esistendo alcuna copertura costituzionale del principio del doppio grado di giudizio ed essendo il procedimento giurisdizionale in ogni caso preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Sez. 1, Ordinanza n. 28119 del 05/11/2018, Rv. 651799 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 27700 del 30/10/2018, Rv. 651122 – 01);
varrà peraltro rimarcare come, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze C – 175/17 e 180/17), non sia previsto alcun obbligo per gli stati membri dell’Unione Europea di istituire l’appello, atteso che l’esigenza di assicurare l’effettività del ricorso riguarda espressamente i procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado (Sez. 1, Ordinanza n. 22950 del 21/10/2020, Rv. 659116 – 01);
quanto alle censure avanzate con riferimento alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dall’interessato nel corso del procedimento, osserva il Collegio come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);
detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);
in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sé assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;
rimane in ogni caso fermo come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non sia affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01);
nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice a quo, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;
osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;
l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
le considerazioni sin qui richiamate valgono, pertanto, di per sé a escludere il ricorso dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato in favore del richiedente, nonché della protezione sussidiarla in relazione alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a) e b), tenuto conto del valore dirimente della circostanza, sottolineata dal giudice a quo, della sostanziale inattendibilità del racconto di vita dell’odierno ricorrente, ciò che esclude in radice la stessa configurabilità dei presupposti per il riconoscimento delle protezioni indicate, attesa la decisiva incidenza, a tali fini, della positiva dimostrazione (nella specie mancata) del concreto riscontro delle circostanze concernenti le vicende strettamente individuali del richiedente;
per altro verso infondate devono ritenersi le censure riferite al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. cit., art. 14, lett. c), nonché al mancato riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, avendo il tribunale correttamente provveduto ad attivare i propri doveri di cooperazione istruttoria attraverso l’estensione della propria cognizione alle informazioni sul paese di origine dell’odierno ricorrente, dando ampiamente conto delle fonti dalle quali ha tratto le proprie conclusioni circa l’insussistenza, nel Paese di provenienza del ricorrente, delle condizioni legittimanti la sua richiesta di protezione, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, riferendosi a fonti di informazioni specifiche e adeguatamente aggiornate, dalle quali ha tratto la conclusione dell’impossibilità di riconoscere, nella regione di provenienza del ricorrente, situazioni di violenza generalizzata nel quadro di conflitti armati interni; e non avendo il ricorrente adeguatamente specificato le ragioni di censura avanzate nei confronti del provvedimento impugnato nella parte in cui ha disposto il rigetto della domanda di protezione umanitaria;
sulla base delle premesse indicate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;
non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non essendosi l’amministrazione intimata tempestivamente costituita in questa sede;
dev’essere viceversa attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021