LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele G. A. – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32256-2019 proposto da:
S.A., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;
– ricorrenti –
nonché contro COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA SEZ VICENZA;
– intimati –
nonché contro MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 13/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. S.A., cittadino del Mali, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. Il richiedente dedusse a fondamento delle proprie ragioni di essere fuggito dalla propria città a seguito dei maltrattamenti subiti dai membri della propria famiglia dai quali non era mai stato accettato in quanto nato fuori dal matrimonio. Espose di essere stato cacciato di casa e di essersi trasferito in Congo con l’aiuto di un suo professore dove rimase per quattro anni fino a quando, scoppiato un combattimento legato alla ripresa della guerra civile, non decise di abbandonare il paese. Giunse in Italia nel dicembre 2016 dopo aver attraversato il Camerun, il Benin, il Niger e la Libia.
La Commissione territoriale rigettò l’istanza.
Avverso tale provvedimento S.A. ha proposto ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Venezia, che, con decreto n. 7424/2019 del 13 settembre 2019, ha rigettato il reclamo.
Il Tribunale ha ritenuto:
a) infondata la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo le ragioni di abbandono del proprio paese riconducibili a fattispecie persecutorie neppure per motivazioni latamente politiche o comunque previste dalla convenzione di Ginevra;
b) infondata la domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) in mancanza di un fondato pericolo per richiedente, in caso di rimpatrio, di subire una condanna a morte o trattamenti inumani e degradanti. Infondata altresì ai sensi della lett. c) poiché nonostante dalle fonti emerga un aumento della minaccia terroristica nelle regioni del Sud del Mali, è comunque da escludere la presenza di un conflitto armato generalizzato; d) infondata la domanda di protezione umanitaria, non essendo state addotte situazioni di particolare vulnerabilità, anche alla luce della non credibilità del racconto, e non essendo stata prodotta alcuna certificazione attestante lo stato di depressione del richiedente asilo. Quanto all’attività lavorativa svolta in Italia, il Tribunale ha ritenuto la stessa insufficiente a dimostrare una effettiva integrazione del richiedente asilo nel territorio.
4. Avverso il decreto del Tribunale di Venezia, S.A. propone ricorso per cassazione sulla base di un due motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha notificato tempestivo controricorso, ma ha depositato solo atto di costituzione per l’eventuale partecipazione alla pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
5.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2 e 3; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e c); D.L. n. 13 del 2017, art. 35 bis, comma 9. Il Tribunale non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi elaborati in sede giurisprudenziale in tema di integrazione e valutazione del materiale istruttorio. In particolare non avrebbe svolto alcuna indagine approfondita sulla situazione politica e sociale attualmente esistente in Mali e sulle forme di limitazione e compressione delle libertà fondamentali. Avrebbe, invece, fornito una motivazione contraddittoria ed apodittica poiché, pur avendo riportato delle fonti che descrivevano una situazione di pericolosità del paese, ha arbitrariamente ritenuto inesistente una condizione di conflitto armato generalizzato.
5.2. Con il secondo motivo di ricorsamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; art. 2697 c.c.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, let. a), b) e c); del D.Lgs n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Il Tribunale avrebbe del tutto omesso di motivare le ragioni in base alle quali ha ritenuto infondata la domanda di protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), di fatto assorbendo tali fattispecie nel giudizio di valutazione del più ampio status di rifugiato.
Sostiene altresì che Tribunale non avrebbe tenuto conto del grado di integrazione del richiedente asilo risultante invece dall’attività lavorativa svolta in Italia, confermata dalla documentazione relativa ad un contratto di lavoro a tempo determinato, successivamente prorogato.
Lamenta infine il ricorrente che il Tribunale non avrebbe considerato il rischio del ricorrente di subire persecuzione od essere sottoposto a tortura.
6. Innanzitutto il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 365 c.p.c..
Ai sensi dell’art. 365 c.p.c., la procura rilasciata all’avvocato iscritto nell’apposito albo e necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, con specifico riferimento alla fase di legittimità, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata. E’, pertanto, inidonea allo scopo, e, come tale, determina l’inammissibilità del ricorso, la procura apposta in calce all’atto introduttivo del giudizio di merito, ancorché conferita per tutti i gradi e le fasi del giudizio, perché da essa non è dato evincere il suo conferimento in epoca successiva alla sentenza impugnata e il suo riferimento al giudizio di legittimità (Cfr. Cass. S.U. n. 488/2000).
Ma i motivi sarebbero in ogni caso inammissibili.
Quanto al primo motivo, che evoca nella intestazione solo la protezione sussidiaria, in una prima parte si duole della ritenuta mancanza di credibilità del ricorrente e in una seconda parte censura la decisione quanto al presupposto della sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. c).
Senonché, fermo che il motivo né nella prima né nella seconda parte individua la motivazione criticanda, quanto alla censura della prima parte si duole di una questione, quella della credibilità, che, pur essendo rilevante per la sussidiaria di cui alle lettere a e b, il tribunale non ha posto a base della decisione, avendo invece escluso che nel racconto effettuato emergessero fatti giustificativi delle forme di protezione di cui a dette lettere. Ne segue che la censura e’, appunto, inammissibile.
Per quanto riguarda invece la seconda censura posta dal primo motich’essa inammissibile. Infatti relativamente alla sussistenza del presupposto indicato dalla D.Lgs. n. 251 del 2008, lett. c), il Tribunale sviluppa una diffusa analisi sulle condizioni socio-economiche esistenti nello stato del Mali che muovendo dall’anno 2012 giunge fino ai tempi correnti, indicando una pluralità di fatti ed eventi dai quali risulta una situazione di evidente instabilità del paese tanto che lo stesso ha fatto ricorso alla Francia e poi a missioni internazionali nel tentativo di ristabilire una situazione di equilibrio interno. In particolare, a pag. 10, richiamando fonti accreditate la sentenza riferisce che “la violenza sviluppatasi nelle regioni del Nord ha determinato un vasto numero di sfollati con conseguenti ripercussioni sulla sicurezza nelle regioni del Sud’, ma successivamente ha concluso che tale situazione non consente di ritenere che nel Sud del paese vi sia una condizione di conflitto armato generalizzato.
Il secondo motivo, che concerne sia la sussidiaria in tutte le sue forme, in disparte che non evoca nuovamente la motivazione che vorrebbe criticare, il che basta a giustificarne l’inammissibilità, in ogni caso non si fa carico né di indicare fatti omessi, né di argomentare in iure. In definitiva si risolve per tutte le forme di protezione in mere asserzioni.
6. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. L’indefensio degli intimati non richiede la condanna alle spese.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021
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