Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24079 del 07/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9634-2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO VOLO RANCATI, rappresentato e difeso dall’avvocato LAMBERTO GIUSTI;

– ricorrente –

contro

REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 792/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 02/10/2014 R.G.N. 943/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. M.M. ha proposto ricorso, nei confronti della Regione Abruzzo, avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n. 792 del 2014, pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c., con la quale è stata rigettata l’impugnazione della sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Chieti.

2. Il lavoratore aveva agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito per effetto dell’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro relativo all’incarico di Direttore generale della ASL di *****, comunicata con nota del 30 settembre 2009 dal Presidente della Regione Abruzzo, e motivata con riferimento alla L.R. n. 17 del 2009 che aveva stabilito l’estinzione della medesima Azienda, come previsto dal Piano sanitario regionale 2008/2010, che era stato approvato con la L.R. Abruzzo n. 5 del 2008.

3. La Corte d’Appello ha rilevato che la risoluzione anticipata del rapporto era stata la inevitabile conseguenze dell’attuazione del piano sanitario regionale di cui alla L.R. n. 5 del 2008, che aveva ridotto per fusione il numero delle ASL regionali e quindi i posti di direttore generale.

Su tale presupposto si era innestata la L. R. Abruzzo n. 17 del 2009, che aveva stabilito “A decorrere dal 1 ottobre 2009 i contratti dei Direttori generali, dei Direttori amministrativi e dei Direttori sanitari delle Aziende Sanitarie Locali di *****, sono risolti ope legis con conseguente decadenza automatica dagli incarichi rivestiti”.

Pertanto, la prestazione che l’appellante avrebbe dovuto rendere come direttore generale si era resa impossibile dal momento che aveva cessato di esistere la relativa posizione apicale.

L’Amministrazione, ai sensi degli artt. 1463 e 1256 c.c., non era più tenuta a pagare la controprestazione, con la conseguenza che doveva essere esclusa la fondatezza della domanda risarcitoria.

Ne’ l’impossibilità della prestazione si era verificata per colpa della stessa Regione, dal momento che l’obbligazione contrattuale era stata assunta dall’organo esecutivo della Regione, mentre l’atto normativo, che l’aveva fatta venir meno, era atto del Consiglio regionale. Dunque non vi era inadempienza contrattuale della Regione.

La Corte d’Appello ha ritenuto che la questione di legittimità costituzionale della L.R. n. 17 del 2009, art. 5 prospettata dalla parte, non superava il vaglio di non manifesta infondatezza.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore, prospettando un motivo di ricorso.

5. Resiste la Regione con controricorso.

6. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.

7. Il ricorso è stato trattato con il rito cartolare ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 8-bis , convertito, con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3; violazione dell’art. 117 Cost., degli artt. 2237 e 1223, e sgg., c.c.

Assume il ricorrente che la L.R. Abruzzo n. 17 del 2009, art. 5 qualora non sia possibile dare corso ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso della risarcibilità – indennizzabilità dell’anticipato recesso, interferisce con gli artt. 2237 e 1223 c.c. e ssg., intervenendo in un ambito – reciproci diritti e obblighi delle parti di natura economica – riconducibile alla materia “ordinamento civile”, che l’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, come affermato dal Giudice delle Leggi in diverse pronunce che sono richiamate nel ricorso.

Ed infatti, assume il ricorrente, la norma regionale ha espropriato esso lavoratore del diritto al lavoro per il periodo minimo garantito dal vincolo contrattuale, senza alcuna misura compensativa o indennitaria, in violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. l).

2. Il motivo non è fondato.

3. il D.Lgs. n. 502 del 1999, art. 3-bis, comma 8, nel testo vigente milione iemporis, anteriore alla nota del 30 settembre 2009 con la quale veniva comunicata la risoluzione, prevede che “Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile. La regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e il direttore sanitario (…)”.

Con la L.R. n. 5 del 2008, la Regione Abruzzo approvava il Piano sanitario regionale 2008-2010 “Un sistema di garanzie per la salute – Piano sanitario regionale 2008-2010”, e al punto 3.1. prevedeva il seguente assetto del Sistema Sanitario Regionale:

“1. Azienda Sanitaria Locale ***** (che raggruppa le attuali ASL *****);

2. Azienda Sanitaria Locale ***** (che raggruppa le attuali ASL *****);

3. Azienda Sanitaria Locale ***** (l’attuale ASL *****);

4. Azienda Sanitaria Locale 4 – Teramo (l’attuale ASL 6) 5. Azienda Ospedaliera-Universitaria de L’Aquila;

6. Azienda Ospedaliera-Universitaria di Chieti;

(..) La Giunta regionale, con proprio atto, individua i Direttori generali cui affidare la gestione del passaggio al nuovo assetto aziendale”.

Con la L.R. Abruzzo n. 17 del 2009, tale ultimo periodo del punto 3.1. della L.R. n. 5 del 2008 veniva sostituito con il seguente: “La Giunta regionale con proprio atto nomina, entro il trenta settembre 2009, due Commissari straordinari e quattro sub commissari, scelti questi ultimi tra Dirigenti della Regione o di una ASL regionale che pongono in essere gli atti necessari per l’attivazione dell’Azienda Sanitaria Locale ***** e dell’Azienda Sanitaria Locale *****, anche al fine di predispone gli strumenti di programmazione nei termini e con le modalità previste dalla L.R. n. 146 del 1996. A decorrere dal 1 ottobre 2009 i contratti dei Direttori generali, dei Direttori amministrativi e dei Direttori sanitari delle Aziende Sanitarie Locali di *****, sono risolti ope legis con conseguente decadenza automatica dagli incarichi rivestiti”.

4. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il contratto dirigenziale, avente durata non inferiore a tre e non superiore a cinque armi, è regolato dal diritto privato e soggiace, in mancanza di una specifica disciplina regionale sulle cause di risoluzione del rapporto, alle norme, imperative e non derogabili dalla volontà negoziale delle parti, del titolo terzo del libro quinto del codice civile, sicché, in mancanza di giusta causa ex art. 2119 c.c., il rapporto di lavoro non può risolversi anticipatamente rispetto al periodo minimo triennale (cfr., Cass., n. 14349 del 2015, n. 6958 del 2012, relative a fattispecie riguardanti l’incarico di direttore sanitario, ma i cui richiamati principi possono trovare applicazione anche nella fattispecie).

La Corte costituzionale ha più volte sancito che la disciplina della dirigenza degli enti del servizio sanitario nazionale deve essere ascritta alla materia della “tutela della salute”, che l’art. 117 Cost., comma 3, rimette alla potestà legislativa concorrente (cfr., Corte costituzionale, sentenze n. 87 del 2019, 159 del 2018, n. 191 del 2017).

5. Tanto premesso, si osserva che il rapporto di lavoro del M. è soggetto alla disciplina generale di diritto privato, e ad esso si applica quindi la previsione dell’art. 1463 c.c. (cfr., Cass., n. 2365 del 2004).

Il conferimento dell’incarico dirigenziale dà luogo ad un rapporto sinallagmatico in cui la prestazione di ciascuna delle parti trova la sua causa nella prestazione dell’altra, ed operano quindi i principi generali per cui la sopravvenuta impossibilità assoluta della prestazione importa, con il venir meno della causa del contratto, la risoluzione dello stesso di conseguenza la risoluzione del rapporto.

Nella specie, la fattispecie estintiva si è realizzata con la riorganizzazione del servizio sanitario che ha comportato, in base alle disposizioni delle richiamate leggi della Regione Abruzzo, il raggruppamento nella neocostituita Azienda Sanitaria Locale ***** delle funzioni già svolte dalle preesistenti Aziende sanitarie.

Si tratta di una ipotesi di impossibilità assoluta della prestazione, derivante dall’attuazione della norma legislativa, in relazione alla quale non può essere prospettata responsabilità dell’ente contraente che fondi un’obbligazione risarcitoria dell’Amministrazione ai sensi delle disposizioni del codice civile.

Il raggruppamento delle ASL, in funzione della razionalizzazione dell’organizzazione sanitaria regionale, presuppone necessariamente il venir meno dei soggetti pregressi per dar vita a nuovi soggetti giuridici in grado di meglio soddisfare gli obiettivi di efficienza ed efficacia del servizio sanitario, in relazione alle caratteristiche geomorfologiche del territorio e della popolazione servita.

Quindi, la questione di legittimità costituzionale delle richiamate leggi della Regione Abruzzo che regolano la fattispecie, prospettata dal ricorrente in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, lett. l), non supera il vaglio di non manifesta infondatezza.

6. Va, altresì, rilevato che le norme regionali sopra richiamate non delineano un meccanismo di spoil system che leda l’art. 97 Cost., atteso che in tale ambito rientrano le ipotesi, non ravvisabili nella specie, in cui una legge, statale o regionale, sancisce la decadenza automatica dei vertici di strutture organizzative al verificarsi di un cambiamento politico del governo dello Stato o della Regione (si v., Corte Cost., sentenza n. 304 del 2010).

In tali casi, come affermato dalla Corte costituzionale, i meccanismi di decadenza automatica dei predetti rapporti in corso si pongono in contrasto con il richiamato parametro costituzionale dell’art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti.

7. Va infine considerato che il ricorrente (pag. 9 del ricorso) si duole genericamente della mancanza di misure compensative, ravvisando anche in ciò la lesione dell’art. 117 Cost., comma 1, lett. l).

Tale censura è inammissibile.

7.1. Nell’esaminare il suddetto profilo di censura, va premesso che secondo la giurisprudenza di questa Corte fanno capo al dirigente due distinte situazioni giuridiche soggettive.

Rispetto alla cessazione anticipata dell’incarico, da un lato, il dirigente è titolare di un diritto soggettivo, che è quello nella specie azionato dal M., che, qualora si sia in presenza dell’illegittimità del recesso, può dar luogo alla reintegrazione (se possibile) nella funzione dirigenziale, ed al risarcimento del danno; dall’altro, a fronte del mancato conferimento di un nuovo incarico – misura compensativa – l’interessato può far valere un interesse legittimo di diritto privato, che, se ingiustamente mortificato, non legittima il dirigente a richiedere l’attribuzione dell’incarico non conferito, ma può essere posto a fondamento della domanda di ristoro dei pregiudizi ingiustamente subiti (v. Cass., n. 5546 del 2020, che richiama Cass., n. 29169 del 2018; n. 28879 del 2017; n. 2972 del 207; n. 13867 del 2014).

7.2. Costituisce ipotesi esemplificativa di misura compensativa, distinta dalla fattispecie risarcitoria, quella tipizzata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1-ter del come introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, secondo cui “L’amministrazione che, in dipendenza dei processi di riorganizzazione ovvero alla scadenza, in assenza di una valutazione negativa, non intende confermare l’incarico conferito al dirigente, è tenuta a darne idonea e motivata comunicazione al dirigente stesso con un preavviso congruo, prospettando i posti disponibili per un nuovo incarico”.

Tale disposizione, successiva alla fattispecie in esame, è stata poi abrogata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 9, comma 32, conv., con mod., dalla L. n. 122 del 2010, che a sua volta ha stabilito “(..) le pubbliche amministrazioni (..) che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, anche in dipendenza dei processi di riorganizzazione, non intendono, anche in assenza di una valutazione negativa, confermare l’incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore”.

7.3. Tanto premesso, si rileva che la Corte d’Appello, con accertamento di merito, ha qualificato la domanda del ricorrente quale domanda di risarcimento del danno subito per effetto della illegittima anticipata risoluzione del contratto (si veda incipit della sentenza di appello).

Tale statuizione non ha costituito oggetto di censura, e peraltro anche a voler ritenere implicitamente proposta una doglianza in tal senso relativa alla qualificazione della domanda, la stessa non supera il vaglio di ammissibilità atteso che manca nel ricorso la trascrizione, per la parte rilevante, del ricorso introduttivo, della decisione di primo grado e dell’eventuale motivo di appello.

7.4. La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, ove vengano in rilievo atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o anche di un error in procedendo, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità, senza che possa attribuirsi rilievo al fatto che nell’indice si indicano come allegati i fascicoli di parte di primo e secondo grado (Cass., S.U., n. 22726 del 2011, Cass., S.U., n. 8077 del 2012).

I requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché solo l’esposizione chiara e completa dei fatti di causa e la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori e degli atti processuali rilevanti consentono al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure.

7.5. Pertanto, la questione di legittimità costituzionale prospettata con riguardo alla disciplina regionale, per quanto la stessa non prevederebbe misure compensative, è priva di rilevanza atteso che tale questione esula dal thema decidendum, come definito dalla domanda introduttiva del giudizio qualificata dalla Corte d’Appello come avente ad oggetto il risarcimento del danno da recesso anticipato illegittimo.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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