Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24144 del 08/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27294/2014 R.G. proposto da:

Tecno Imbottiti s.r.l. in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Raffaele Padrone, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria n. 2, giusta procura speciale in calce al ricorso:

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 751/11/2014, depositata il 31 marzo 2014.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Marco Dinapoli nella camera di consiglio del 26 novembre 2019.

FATTI DI CAUSA

Tecno Imbottiti s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento notificatogli dall’Agenzia delle entrate per indebita contabilizzazione per l’anno di imposta 2005 di fatture soggettivamente inesistenti emesse nei confronti di due ditte ritenute fittiziamente interposte (c.d. “cartiere”) e che comunque non avevano versato l’Iva (s.a.s. Pastacaldi & C. e ditta L.G.).

La Commissione tributaria provinciale di Bari ha accolto parzialmente il ricorso, riconoscendo la deducibilità dei costi documentati dalle fatture sospette, ma confermando l’indetraibilità dell’Iva (sent. N. 139/21/12).

La società e l’Ufficio hanno proposto appello. Entrambi sono stati rigettati della Commissione tributaria regionale della Puglia con la sentenza indicata in epigrafe. (sentenza N. 25/6/12 dep. il 5.4.2012). La sentenza di appello rileva, anche sulla base della giurisprudenza unionale e nazionale, che l’onere della prova va così ripartito: l’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche sulla base di elementi indiziari, l’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate e la partecipazione del cessionario alla frode, mentre spetta a quest’ultimo l’onere di dimostrare di avere effettuato tutti gli accertamenti necessari per assicurarsi della esatta identificazione del cedente, e di poter fare perciò affidamento sulla liceità delle operazioni intrattenute con l’operatore economico rivelatosi esistente solo sulla carta.

Ricorre per cassazione soltanto la società contribuente con due motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata e condannarsi la resistente amministrazione al pagamento delle spese e competenze di giudizio.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede rigettarsi il ricorso avverso perché inammissibile e infondato, con vittoria di spese, onorari e competenze. In assenza di ricorso da parte dell’Amministrazione Finanziaria è passata in giudicato, perciò, la decisione in ordine alla deducibilità dei costi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Per quanto riguarda la detrazione dell’Iva sugli acquisti dalla s.a.s. Pastacaldi la società denunzia “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19,21,23 e 24, nonché per omessa, illogica o contraddittoria motivazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, n. 4”, in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare il comportamento tenuto dalla contribuente circa la sua partecipazione quanto meno colposa alla frode, tanto più che il legale rappresentante della Tecno Imbottiti è stato assolto in sede penale dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

2.- con il secondo motivo la ricorrente denunzia i medesimi vizi, oltre la violazione dell’art. 17 Dir. Ce n. 77/378 con riferimento alle fatture emesse nei confronti della ditta L.G., perché la sentenza impugnata avrebbe ritenuto l’indetraibilità dell’Iva per il solo fatto che l’imposta non è stata versata dal L., a titolo quindi di responsabilità oggettiva per fatto altrui.

3.- L’Agenzia delle entrate eccepisce l’inammissibilità del ricorso avverso.

4.1- Il ricorso è inammissibile. Le censure proposte dal ricorrente, infatti, sono riconducibili a diversi possibili vizi, con mancanza assoluta di specificità delle argomentazioni riferibili a ciascuno di essi, in violazione del principio secondo cui il giudizio di cassazione è “a critica vincolata” dai motivi di ricorso, che lo delimitano, individuando, con la loro formulazione tecnica, in quale delle ipotesi essi rientrino fra quelle tassativamente indicate dalla legge; per questo “e’ inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito.” (ex multis Cass. n. 11603/2018).

4.2- Il ricorso, inoltre, è inammissibile anche perché, sotto l’apparenza delle censure mosse, contrasta in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, e mira ad una rivisitazione del materiale probatorio acquisito nel corso del processo, inammissibile in sede di legittimità.

4.3- Il ricorso comunque è infondato perché la sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla società con denunzia promiscua di vari possibili vizi di legittimità, appare comunque conforme ai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, cui occorre dare continuità, in base ai quali: “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta” “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. 9851/2018).

5.- In conclusione il ricorso, per i motivi indicati, deve essere rigettato; segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di cassazione, come appresso liquidate. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per l’eventuale raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.300,00 (duemilatrecento) complessivi; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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