Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24147 del 08/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24458/2012 R.G. proposto da:

Zenith s.r.l. con sede in Milano, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Rino Enne e Giuseppe Maria Tiraboschi, domiciliata presso lo studio del secondo in Roma via Monte delle gioie n. 22, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 102/35/2011, depositata il 21 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.

FATTI DI CAUSA

Zenith s.r.l. esercente impresa edile, impugnava in primo grado l’avviso di accertamento n. ***** con cui l’Agenzia delle entrate di Pavia recuperava a tassazione (fres, Iva, Irap) per l’anno di imposta 2005 costi non deducibili per Euro 4.064, 06 (per provvigioni ad agenzie) e ricavi non contabilizzati per Euro 263.587,13 derivanti dalla vendita nell’anno 2005 di 37 appartamenti con relativi box e di una struttura destinata a supermercato. Ritenuta l’inattendibilità della contabilità aziendale, i maggiori ricavi venivano ricostruiti induttivamernte applicando i valori OMI per l’anno considerato.

La Commissione tributaria provinciale di Pavia accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente riducendo i maggiori ricavi contestati (sentenza n. 125/01/09 depositata il 7 luglio 2009). Proponevano appello sia la contribuente che l’Agenzia delle entrate.

La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello del contribuente ed accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia, compensando le spese. Nella motivazione valorizzava gli elementi presuntivi indicati dall’Agenzia a sostegno dell’accertamento (concessione agli acquirenti di mutui superiori al valore di vendita fatturato, incongruenza dei prezzi di vendita dichiarati, squilibrio fra i costi dichiarati ed i costi di finanziamento, antieconomicità della politica dei prezzi asseritamente praticata). Censurava poi la decisione dei primi giudici di riduzione dei maggiori ricavi accertati perché immotivatamente conforme solo alla disponibilità manifestata dalla società in sede di accertamento con adesione (valutazione forfettaria del valore degli immobili e valutazione a corpo dei box).

Ricorre per cassazione la contribuente per quattro motivi e chiede cassarsi, eventualmente anche con rinvio, la sentenza impugnata adottando i provvedimenti conseguenti; con vittoria di spese e onorari per tutti i gradi di giudizio.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e chiede dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso avverso, con ogni consequenziale statuizione, anche in ordine alle spese di lite.

RAGIONI DELLA DIECISIONE 1.- Il primo motivo di ricorso denunzia il vizio di “Nullità della sentenza per violazione di legge e/o falsa o contraddittoria applicazione di norme con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, p. 3, e all’art. 5 c.p.c., al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ed all’art. 112 c.p.c.”. L’accertamento è stato effettuato con metodo analitico-induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), mentre invece la Commissione tributaria regionale lo ha ritenuto valido in base al criterio meramente induttivo di cui al predetto D.P.R., art. 39, comma 2, con ciò incorrendo nel vizio di violazione di legge e di ultrapetizione.

2.- Il secondo motivo di ricorso denunzia “Nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, punto 4, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, punti 3 e 4, del’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., punti 3, 4 e 5, in ordine alla mancata pronunzia su un punto essenziale e decisivo della controversia”. Nella rideterminazione dei ricavi l’Ufficio ha applicato il criterio dello scostamento dal valore normale previsto dal D.L. n. 226 del 2006, contestato dalla ricorrente con richiamo alla L. finanziaria 2008 (n. 244/2007), art. 1, comma 265, che ha stabilito trattarsi di mere presunzioni semplici insufficienti da sole a fondare la rettifica in mancanza di ulteriori elementi. Su questa eccezione il giudice di merito non si è pronunziato.

3.- Il terzo motivo di ricorso denunzia “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, punti 3 e 4, del’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., punti 3 e 5, in ordine alla mancata pronunzia su un punto essenziale e decisivo della controversia” La ricorrente aveva lamentato la mancanza di prova della sottofatturazione, con riferimento alla erogazione dei mutui bancari ed alla antieconomicità delle operazioni. La sentenza ha omesso di motivare sul punto.

4.- Il quarto motivo di ricorso denunzia “Nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e dell’art. 360 c.p.c., punti 3 e 5” La sentenza impugnata non sarebbe rispettosa dei principi sulla ripartizione dell’onere della prova, che impongono all’Amministrazione finanziaria di fornire la prova della pretesà tributaria.

5.- Il ricorso è inammissibile per diverse ragioni.

5.1- In primo luogo la formulazione di tutti i motivi di ricorso è stata effettuata con metodo espositivo cumulativo, denunziando cioè nel medesimo contesto più vizi di legittimità; di conseguenza non è possibile valutare a quale dei vizi cumulativamente denunziati si riferiscano le censure formulate dal ricorrente, in violazione del principio secondo cui il giudizio di cassazione è “a critica vincolata” dai motivi di ricorso, che lo delimitano, individuando, con la loro formulazione tecnica, in quale delle ipotesi essi rientrino fra quelle tassativamente indicate dalla legge. La giurisprudenza di questa Corte sul punto afferma perciò che “e’ inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito.” (ex multis Cass. n. 11603/2018). Ne’ rientra nei poteri della Corte la possibilità di interpretare, specificandone a suo giudizio il contenuto, i motivi di ricorso proposti in maniera promiscua dalle parti.

5.2- Il ricorso, inoltre, è inammissibile anche perché, sotto l’apparenza delle censure mosse, contrasta in realtà la valutazione di merito della sentenza impugnata, e mira ad una rivisitazione del materiale probatorio acquisito nel corso del processo, con particolare riferimento alla natura dell’accertamento effettuato ed alla valenza dimostrativa delle presunzioni utilizzate. Opzione però inammissibile nella presente sede di legittimità.

5.3- I motivi proposti, infine, nella parte in cui denunziano violazione di legge, in realtà contestano il merito della decisione da parte del giudice di appello, in quanto prospettano non una errata interpretazione della legge, ma una erronea ricognizione della fattispecie concreta rispetto alle risultanze di causa; questione che non attiene all’interpretazione della legge ma alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v., per tutte, Cass. Sez. 1, ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

6.- In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, con aggravio per la soccombente delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600 (cinquemilaseicento) oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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