Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24186 del 08/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27784-2016 proposto da:

S.A., rappresentato e difeso da sé medesimo e dall’Avvocato SERGIO SCALFARI, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.C., e C.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1438/2016 del TRIBUNALE DI COSENZA, depositata il 27/6/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 21/4/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello che M.C. e C.F. avevano proposto avverso la pronuncia con la quale il giudice di pace, in parziale accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo che gli stessi avevano esperito, li aveva condannati al pagamento, in favore dell’avv. S.A., della somma di Euro 965,91 quale corrispettivo per prestazioni professionali.

Il tribunale, in particolare, dopo aver premesso che, in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese, i soci, a norma dell’art. 2495 c.c., comma 2, rispondono nei confronti dei creditori sociali non soddisfatti fino a concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e che, di conseguenza, il creditore, il quale intenda agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare il presupposto della responsabilità di quest’ultimo, e cioè che, in base al bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio medesimo e che una quota di tale attivo sia stata riscossa dal socio, ha ritenuto che, nel caso in esame, a fronte della pacifica cancellazione della coop. Austerity 73 a r.l., il professionista appellante non aveva dimostrato che la predetta condizione si era in concreto realizzata, risultando, anzi, incontestato, alla luce della documentazione prodotta dagli appellanti, e cioè il bilancio di liquidazione, che la situazione patrimoniale della società al momento della liquidazione era totalmente negativa.

L’avv. S.A., con ricorso notificato il 24/11/2016, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza del tribunale, dichiaratamente non notificata.

M.C. e C.F. sono rimasti intimati.

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., comma 2, applicabile anche alle cooperative in virtù del rinvio operato dall’art. 2519 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha trascurato di considerare che, a seguito della cancellazione, la legittimazione attiva e passiva della società si trasferisce ai soci, i quali, pertanto, a seguito dell’estinzione, diventano responsabili nei confronti dei creditori sociali per i crediti che, come nel caso di specie, siano rimasti insoddisfatti, nei limiti delle somme da loro riscosse nel bilancio finale di liquidazione.

1.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha attribuito all’appellato l’onere di dimostrare che, con la liquidazione della società, vi sia stata la distribuzione di attivo, senza, tuttavia, considerare che l’attivo della società cancellata è costituito da beni immobili e non da denaro e che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, l’appellato, con la richiesta di decreto ingiuntivo, aveva prodotto in giudizio l’atto con il quale, in data 20/7/1989, erano stati assegnati ai singoli i soci gli appartamenti e i garage costruiti dalla società.

2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

2.2. Premesso che il ricorrente non contesta che la domanda da lui proposta era quella prevista dall’art. 2495 c.c., comma 2, rileva la Corte che, in forza di quest’ultima norma, applicabile anche alle società cooperative, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. Ciò implica che l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisca ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ove i soci stessi siano, come nel caso in esame, limitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass. SU n. 6070 del 2013). E poiché è solo a seguito della indicata vicenda successoria che il socio rimane obbligato nei confronti del creditore sociale, è quest’ultimo a dover provare che l’importo preteso sia di ammontare eguale o superiore a quello riscosso dal predetto in sede di liquidazione, sulla base del relativo bilancio. E’ evidente, infatti, che la percezione della quota dell’attivo sociale assurga a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio, nel senso che grava sul creditore insoddisfatto l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo e circa la riscossione di una quota di esso da parte del socio (Cass. n. 15474 del 2017; Cass. n. 23916 del 2016; Cass. n. 7676 del 2012; Cass. n. 19732 del 2005).

2.3. La sentenza impugnata, lì dove ha ritenuto che l’appellante non avesse dimostrato che la predetta condizione si era in concreto realizzata, risultando, anzi, alla luce del bilancio di liquidazione, che la situazione patrimoniale della società debitrice ivi esposta era totalmente negativa, si e’, quindi, attenuta ai principi esposti e, come tale, si sottrae alle censure svolte sul punto dal ricorrente.

3. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.

4. Nulla per le spese di lite, in difetto di attività difensiva da pare dei resistenti.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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