LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4238/2015 R.G. proposto da Tecnica facility Management s.p.a. già Elco Sinergo Pisam Global Service s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Scacchi, in virtù di procura speciale conferita a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via Crescenzio n. 19;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 4197/9/2014, depositata il 24 giugno 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 maggio 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.
RILEVATO
che:
1. L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della società La Tecnica s.r.l., per l’anno 2007, per quel che ancora qui rileva, per indebita deduzione di quote di ammortamento su costi pluriennali. In particolare, si evidenziava che la società Elco Sinergo Pisam Global Service s.r.l., in data ***** aveva deliberato la copertura delle proprie perdite, quale società controllata, per Euro 5.680.000,00, con imputazione alla società controllante La Tecnica s.r.l. della quota parte pari ad Euro 2.295.000,00, mentre la residua parte era imputata all’atra società HIP s.r.l., anch’essa socia della Elco Sinergo Pisam Global Service. Successivamente all’operazione di fusione effettuata nel 2004 (delibera di fusione del *****), la Elco Sinergo Pisam Global Service Srl cessava per incorporazione nella La Tecnica s.p.a., che assumeva la denominazione di La Tecnica Elco Sinergo Pisam Global Service s.p.a.. A seguito della fusione non è stata effettuata alcuna riclassificazione della voce di bilancio “oneri pluriennali” relativamente all’importo di Euro 2.295.000,00. La copertura delle perdite, successivamente, perdeva la sua qualifica di “immobilizzazione finanziaria”, per assumere la qualità di “immobilizzazione immateriale”. Nel triennio 2003-2005 non era stato effettuato alcun ammortamento delle voci oneri pluriennali, mentre solo per gli esercizi 2006 e 2007 era stata dedotta una quota di ammortamento pari ad Euro 459.000,00. L’Agenzia delle entrate, quindi, contestava l’imputazione del versamento alla voce “immobilizzazioni materiali” B I 7 (“altre immobilizzazioni materiali”), in assenza dell’accertamento dell’utilità futura del costo. Tra l’altro l’ammortamento non era stato “sistematico”, in quanto effettuato solo negli anni 2006 e 2007, ma non negli anni 2003, 2004 e 2005. In realtà, le perdite della controllata erano state coperte con la rinuncia da parte del credito vantato nei suoi confronti.
2. La Commissione tributaria provinciale di Roma (sentenza n. 128/58/13, del 25 marzo 2013) rigettava il ricorso evidenziando, per quel che ancora qui rileva, che non sussisteva il giudicato esterno con riferimento ad altra pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Roma (CTP Roma, 284/30/12 del 18 giugno 2012), in relazione all’anno 2006, trattandosi di annualità differenti.
3. La Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dalla società, rilevando che non sussisteva il giudicato esterno, in quanto la sentenza della CTP di Roma n. 285/30/12, che si era occupata dell’anno di imposta 2006, non aveva in alcun modo preso in considerazione il rilievo dell’Agenzia delle entrate n. 5.b dell’avviso di accertamento per tale annualità, relativo alla indebita deduzione della quota di ammortamento per Euro 459.000,00, relativa all’importo totale di Euro 2.295.000,00, in relazione alla copertura delle perdite della società Elco Sinergo Pisam Global Service s.r.l. Con riferimento all’avviso di accertamento per il 2007, di Euro 459.000,00, si muoveva dal verbale dell’assemblea della società Elco Sinergo Pisam Global Service del *****, con cui si era deliberato di costituire un fondo per la copertura delle perdite di periodo di Euro 2.700.000,00, da imputare quanto ad Euro 2.295.000,00 al socio La Tecnoca s.r.l., e per il residuo all’altro socio HIP s.r.l. Per il giudice d’appello la società contribuente non aveva provato la sussistenza dei requisiti per ascrivere il costo fra le immobilizzazioni immateriali, non dimostrando in particolare che si trattava di un costo produttivo di benefici per l’impresa lungo un arco temporale di più esercizi e che vi fosse chiara evidenza della recuperabilità nel futuro. Inoltre l’ammortamento, in base al principio contabile OIC 24, sulle immobilizzazioni immateriali, doveva essere effettuato secondo le modalità di un procedimento “sistematico”.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
5. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., del principio di non contestazione di cui all’art. 113 c.p.c., e del principio del giudicato esterno di quell’art. 2909 c.c., nonché del D.Lgs. n. 244 del 2003 (recte D.Lgs. n. 344 del 2003), art. 4, lett. p, e art. 109 Tuir, comma 4”. In realtà, la contribuente rilevava che vi era stata una minusvalenza da partecipazione riferita ad una quota che, nel frattempo, non possedeva più, anzi “incorporava”, con possibilità di deduzione della stessa in quote costanti nell’esercizio di imputazione di bilancio nei quattro successivi. Nell’atto di appello la contribuente ha evidenziato che i 2 avvisi di accertamento, per l’anno 2006 e per l’anno 2007 originavano dallo stesso processo verbale di constatazione e traevano fondamento da identici rilievi in ordine alla deduzione di quote di ammortamento su oneri e costi pluriennali, sostenendo l’errata contabilizzazione tra le immobilizzazioni materiali. Il giudice d’appello, nel rigettare il gravame proposto dall’Agenzia in ordine alla deducibilità delle quote di ammortamento relative a costi pluriennali, ha violato l’art. 2697 c.c., “essendo l’Ufficio l’attore in senso sostanziale nel processo tributario”. Tra l’altro, l’Ufficio nulla ha contestato nel secondo giudizio. E’ stato poi violato il principio del giudicato esterno, in quanto vi sarebbe stata acquiescenza dell’Ufficio alla sentenza n. 285/30/12, emessa dalla CTP di Roma, per l’anno 2006. In particolare, dovrebbe farsi riferimento al punto 5.b dell’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006 (*****) ed al punto 1 dell’avviso di accertamento per l’anno 2007 (*****). Inoltre, vi sarebbe stata anche la violazione del D.Lgs. n. 244 del 2003 (recte D.Lgs. n. 344 del 2003), art. 4, lett. p, che aveva prorogato per le svalutazioni delle azioni o quote i criteri di deduzione stabiliti dal D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 1, comma 1, lett. b), convertito in L. 22 novembre 2002, n. 265. Tale ultima disposizione, infatti, prevedeva che, ai soli fini fiscali, le minusvalenze non realizzate relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state iscritte e nei quattro successivi. In base a tale norma, gli effetti sostanziali concernono soltanto la deduzione in ambito fiscale, mentre la minusvalenza è relativa a immobilizzazioni finanziarie. L’Agenzia delle entrate ha ammesso l’esistenza della immobilizzazione finanziaria, tanto è vero che la quota posseduta in Elco Sinergo Pisam Global Service s.r.l. era appostata dalla società La Tecnica s.r.l. (controllante) nella voce BIII “immobilizzazioni finanziarie” nei bilanci 2002 e 2003. La seconda condizione, ai fini della deducibilità, è costituita dalla necessità che la spesa sia inserita ne: conto economico relativo all’esercizio di competenza, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4. L’utilizzo del criterio dell’ammortamento ha permesso di rispettare il passaggio del componente negativo a conto economico, consentendo, di fatto, la deduzione del costo nella dichiarazione dell’anno 2007. Il criterio di ripartizione della perdita è stato quello di suddividerla in quota nell’esercizio di realizzo e nei quattro anni successivi, ai sensi del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 1, comma 1, lett. b), sicché non si comprende l’obiezione della Agenzia per cui non sarebbero stati sufficientemente chiariti i criteri utilizzati per determinare le quote dedotte al conto economico.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Anzitutto, si rileva che per questa Corte l’accertamento e l’interpretazione del giudicato (cosiddetto esterno) formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne è invocata l’efficacia, costituiscono attività istituzionalmente riservate al giudice di merito e possono essere oggetto di ricorso per cassazione solo sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c., e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, nonché per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 c.c., o all’art. 324 c.p.c., e non possono comunque sollecitare – essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimità – indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è demandata in via esclusiva al giudice di merito e resta incensurabile in sede di legittimità (Cass., sez. 3, 12 dicembre 2006, n. 26523; Cass., sez. 1, 14 agosto 2020, n. 17175).
1.3. Nella specie, la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio contiene una specifica ed analitica motivazione in ordine al disconoscimento dell’efficacia di giudicato da parte della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 285/30/12, riferita all’anno 2006. In particolare, si evidenzia, nella sentenza d’appello, che la pronuncia del tribunale di Roma, n. 285/30/12, non contiene alcuna valutazione proprio in relazione alla possibile deducibilità delle quote di ammortamento relative alla “spesa pluriennale” effettuata dalla società contribuente in favore della società controllata. Si chiarisce, infatti, che “nella motivazione della sentenza n. 285/30/12 non viene invece preso in considerazione in alcun modo il rilievo n. 5.b dell’avviso di accertamento per il 2006, relativo alla indebita deduzione della quota di ammortamento, per Euro 459.000,00 (importo totale Euro 2.295.000,00), relativa alla copertura delle perdite della società Elco Sinergo P.G.S. s.r.l., questione che rileva nel presente processo”.
Il giudice d’appello aggiunge, a conforto di tale interpretazione sulla insussistenza del giudicato per l’anno 2007, che la questione relativa alta deducibilità delle quote di ammortamento non è stata presa neppure implicitamente in considerazione dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 285/30/12, laddove, nella parte finale conclude nel senso che “anche i rimanenti e minori rilievi mossi dall’Ufficio mediante l’avviso impugnato appaiono illegittimi siccome non conformi alla corrente giurisprudenza e dottrina”. Precisa la Commissione regionale che “e’ evidente infatti che tale rilievo, per Euro 459.000,00, non può essere considerato minore, rispetto a quello che è invece preso in considerazione, per Euro 192.000,00”. Il giudice d’appello, quindi, conclude che la questione “circa la ripresa a tassazione, per l’anno 2006, del costo ritenuto non deducibile, per Euro 459.000, non è stata presa in esame nella motivazione della sentenza della CTP di Roma n. 285/30/12”. Tali considerazioni, analitiche, congrue e precise, non sono state peraltro censurate dalla società ricorrente sotto il profilo del vizio di motivazione, sussistendo, in ogni caso, il divieto della doppia decisione “conforme”, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., che si applica ai procedimenti di appello notificati o depositati a decorrere dall’11 settembre 2012. Nel processo in esame, l’appello della società è stato depositato il 14 ottobre 2013, trovando, quindi, applicazione l’art. 348-ter c.p.c..
1.4. Non sussistono neppure le ulteriori violazioni di legge dedotte dalla società ricorrente. Anzitutto, si rileva che l’onere della prova in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione, come pure alla deducibilità delle spese, in base al principio di competenza, spetta senza dubbio alla società contribuente, sicché non v’e’ stato alcuna violazione della regola di riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c..
1.5.Quanto al merito, è pacifico che la società Elco Sinergo Pisam Global Service s.r.l. era partecipata dalla società La Tecnica s.r.l. e dalla HIP s.r.l.. Con delibera dell’assemblea ordinaria della Elco Sinergo (ESP s.r.l.) si è deliberata la copertura delle perdite sofferte da tale società, attraverso versamenti complessivi per Euro 5.680.000,00, di cui Euro 2.295.000,00 a carico della società controllante la Tecnica s.r.l. Nel dicembre 2004 è avvenuta la fusione per incorporazione della Elco Sinergo Pisam Global Service s.r.l. (ESP s.r.l.) nella società la Tecnica s.p.a. (già la Tecnica s.r.l.), con Delib. di fusione del 20 febbraio 2004. Non è contestato, inoltre, che inizialmente si è proceduto ad incasellare la somma di Euro 2.295.000,00 tra le immobilizzazioni “finanziarie”.
1.6. Il D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 1, al comma 1, lett. b), prevede che “ai soli fini fiscali, le minusvalenze non realizzate relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state iscritte e nei quattro successivi”. Inoltre, il D.Lgs. n. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 4, comma 1, lett. d) (disposizioni transitorie ed entrata in vigore della riforma dell’imposizione sul reddito delle società), stabilisce che “il presente decreto entra in vigore il 1 gennaio 2004….; Tuttavia: d) corrispondentemente le svalutazioni delle stesse azioni o quote di cui al periodo precedente, riprese a tassazione nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente sono deducibili se realizzate entro il secondo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2003”.
1.7. Risulta pacificamente dagli atti che la società La Tecnica s.r.l. ha effettuato una operazione di riduzione del capitale per perdite, con conseguente aumento dello stesso ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., anche mediante rinuncia ai crediti vantati. Pertanto, trova applicazione, con riferimento alla normativa antecedente all’entrata in vigore del nuovo Tuir, il principio di diritto per cui, in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, la deducibilità in quote costanti delle minusvalenze non realizzate relative a partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie prevista dal D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 1, lett. b) (conv. dalla L. n. 265 del 2002) non opera per i versamenti effettuati a copertura di perdite di una società partecipata per la parte eccedente il patrimonio netto di essa dopo il ripianamento (c.d. “versamenti sottozero”), per i quali trova invece applicazione il disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 61, comma 5 (nel testo, “ratione temporis” applicabile alla fattispecie, anteriore alle modifiche operate dal D.Lgs. n. 344 del 2003), costituendo detti versamenti una spesa d’esercizio e non già una svalutazione (Cass., sez. 5, 30 dicembre 2019, n. 24709).
Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 61, comma 5 (valutazione dei titoli; ora art. 94 Tuir, a decorrere dall’1 gennaio 2004), all’epoca vigente, stabilisce, infatti, che “l’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società emittente o della rinuncia ai crediti nei confronti della società stessa, si aggiunge al costo delle azioni in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria; tuttavia è consentita la deduzione dei versamenti e delle remissioni di debito effettuati a copertura di perdite per la parte che eccede il patrimonio netto della società emittente risultante dopo la copertura”.
Questa Corte ha interpretato tale disposizione nel senso che la società contribuente, che effettua una delibera di aumento di capitale dopo la riduzione dello stesso in favore della società controllata, come nel caso anche di rinuncia ai crediti nei confronti di quest’ultima, si trova di fronte ad una alternativa: i versamenti a fondo perduto o in conto capitale e delle rinunce possono essere aggiunti al costo della partecipazione; oppure, come criterio alternativo, è ammessa la deduzione immediata dei versamenti e delle remissioni di credito, per la parte eccedente il patrimonio netto della società partecipata risultante dopo la copertura della perdita.
I versamenti e le rinunce costituiscono, quindi, una spesa d’esercizio e non una svalutazione, e la deducibilità è subordinata all’effettivo ripiano del “sottozero” da parte dei soci (in tale senso anche Circolare Agenzia delle entrate 5 febbraio 2003, n. 7 E).
L’utilizzo del sistema di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 61, comma 5, all’epoca vigente, atteneva, sul piano sistematico, alla “doppia deduzione” della perdita, in capo alla partecipata che la conseguiva e in capo alla partecipante che la dipanava, volta ad assicurare la “neutralità” nella trasmissione dei successivi eventuali redditi detta dalla partecipata alla partecipante e, evitando la doppia imposizione, salvaguardare l’integrità del capitale di apporto del socio (in tal senso anche Risoluzione del Ministero delle finanze 24 maggio 2000, n. 70/E).
1.8. Il regime opzionale di deducibilità dei versamenti, che era coerente con il previgente ordinamento fiscale, non è stato confermato nel sistema attuale, in vigore a partire dal 1 gennaio 2004, in quanto si è stabilita l’abolizione del credito d’imposta e l’esclusione dei dividendi percepiti dal socio, l’irrilevanza delle minusvalenze da valutazione della partecipazione e di quelle da realizzo nei casi di PEX (partecipation exemption).
Infatti, l’art. 94 Tuir, comma 6, vigente a decorrere dall’1-1-2004, dispone che “l’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dei propri soci o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote di quell’art. 85, comma 1, lett. c), in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria”. Non è più riproposta la previsione normativa contenuta nell’art. 61, che consentiva la deduzione immediata e facoltativa dei versamenti effettuati dai soci a copertura di perdite per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata.
Il regime fiscale delle partecipazioni sociali introdotto dal D.Lgs. n. 344 del 2003, è caratterizzato dalla impossibilità, per il socio, di dedurre, sotto forma di svalutazione della partecipazione, le perdite sopportate della società. La mancata riproposizione del vecchio Tuir, art. 61, comma 5, è l’ovvia conseguenza della eliminazione della disciplina fiscale di svalutazione delle partecipazioni sociali avvenuta con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 344 del 2003.
1.9. Tuttavia, dopo la scelta originaria di appostare la voce relativa ai contributi a fondo perduto o alle rinunce in favore della controllata tra le “immobilizzazioni finanziarie”, nei bilanci 2002 e 2003 (voce BIII Immobilizzazioni Finanziarie) ai sensi del D.L. n. 209 del 2002, la contribuente ha, poi, optato per l’utilizzo del criterio dell’ammortamento, in quanto ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 4, “Le spese gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza”.
Si e’, quindi, utilizzata la tecnica di ammortamento al conto economico delle spese pluriennali, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, con appostazione, quindi, dei versamenti a fondo perduto delle rinunce tra le immobilizzazioni “immateriali” (voce “altre immobilizzazioni immateriali”, Voce BI 7), e non più tra quelle “finanziarie” (BIII ex art. 2424 c.c.).
2. Il giudice d’appello sul punto ha evidenziato che la società contribuente non ha dimostrato “La sussistenza dei requisiti richiesti per l’ascrivibilità di un costo fra le immobilizzazioni immateriali, ovvero che si tratti di costo produttivo di benefici per l’impresa lungo un arco temporale di più esercizi e che vi sia chiara evidenza della recuperabilità nel futuro”. Ha aggiunto anche che, in base al principio contabile n. 24, sulle immobilizzazioni immateriali, si prevede al punto AIII, che l’onere relativo deve risultare ad “utilità pluriennale” e al punto DIII, che l’ammortamento deve essere un processo “sistematico” di ripartizione del costo, per evitare che gli ammortamenti vengono accelerati o rallentati nei vari esercizi a seconda della convenienza. Tale carattere contraddice l’omessa imputazione, nei bilanci relativi agli esercizi 2004 e 2005 della società contribuente, dei costi di ammortamento per gli oneri pluriennali.
Il ragionamento del giudice d’appello è pienamente condivisibile e non è stato in alcun modo contestato con una censura relativa al vizio di motivazione (essendo in presenza tra l’altro di una doppia decisione conforme di merito ex art. 348-ter c.p.c.), ma soltanto per il vizio di violazione di legge.
2.2. L’art. 2424 c.c., dello stato patrimoniale prevede alla lett. BI1, dell’attivo proprio i costi di impianto e di ampliamento, ma ciò solo previo consenso del collegio sindacale, mentre prevede alla lett. BI7, le “altre immobilizzazioni immateriali”. L’art. 2426 c.c., comma 1, n. 5, prevede, poi, che “i costi di impianto e di ampliamento e i costi di sviluppo aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale. I costi di impianto e ampliamento devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni”.
2.3. Vengono poi, in rilievo, i principi contabili nazionali (OIC 24, al 30 maggio 2005), riferiti proprio ai costi di impianto e di ampliamento, consentendo la capitalizzazione degli stessi all’attivo patrimoniale e la deduzione delle quote di ammortamento in più anni.
A pagina 6 dell’OIC 24 si legge che “le immobilizzazioni immateriali sono attività normalmente caratterizzate dalla mancanza di tangibilità. Esse sono costituite da costi che non esauriscono la loro utilità in un solo periodo ma manifestano i benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi. Le immobilizzazioni immateriali comprendono: i costi pluriennali (costi di impianto e di ampliamento; costi di sviluppo) …”.
I costi di impianto e di ampliamento sono “i costi che si sostengono in modo non ricorrente in alcuni caratteristici momenti del ciclo di vita della società, quali la fase pre-operativa o quella di accrescimento della capacità operativa” (cfr. pagina 13 del principio contabile OIC 24 relativo all’anno 2005).
A pagina 14 dell’OIC 24 si evidenzia che “i costi di impianto e di ampliamento…il loro mantenimento all’attivo patrimoniale soggiace alle medesime condizioni che regolano in generale le poste dell’attivo e cioè: – il permanere della loro utilità futura; – l’ammontare capitalizzato non può eccedere il valore stimato dell’utilità futura attesa…”. Si prevede anche che “la capitalizzazione dei costi inerenti un aumento di capitale sociale” deve trovare giustificazione “nell’atteso miglioramento della situazione finanziaria dell’impresa”.
Il presupposto fondamentale della iscrizione dei costi pluriennali nell’attivo patrimoniale si rinviene, quindi, nella possibilità di dimostrare la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra i costi in questione ed il beneficio (futura utilità) che dagli stessi l’impresa si attende.
2.4. I costi capitalizzati di impianto ed ampliamento sono normalmente ammortizzati in quote costanti, sulla base di un piano di ammortamento che viene rivisto annualmente per accertare la congruità. Possono essere adottati metodi che consentano una maggiore prudenza, ma purché “sistematici”. L’ammortamento dei costi di impianto ed ampliamento deve esaurirsi in un periodo non superiore a 5 anni, in base al generale principio di prudenza, per la peculiare tipologia di costi la cui valutazione si presenta particolarmente incerta.
2.5. Trova applicazione, dunque, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 3, il quale dispone, nella disciplina all’epoca vigente, che “Le altre spese relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 e 2, sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio. Le medesime spese, non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali, sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi”. Fra le “altre spese” pluriennali rientrano i costi di impianto di ampliamento che, quindi, sono deducibili nel periodo massimo di ammortamento di cinque anni ai sensi dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 5, previo consenso del collegio sindacale. La definizione dei costi di impianto di cui all’art. 2424, lett. BI 1, va interpretata restrittivamente, in quanto consente di non inserire per intero il costo nel conto economico proprio dell’anno in cui il costo viene sostenuto, con un ammortamento delle relative quote in una pluralità di anni.
2.6. Per questa Corte, peraltro, in tema di deduzioni ai fini IRPEG ed IRAP, i costi di natura straordinaria per la loro utilità pluriennale, ai sensi dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 5), possono – previo consenso del collegio sindacale ove esistente – essere iscritti nell’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di “discrezionalità tecnica”, di capitalizzarli in vista di un successivo ammortamento pluriennale invece di far gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti; tale valutazione, ai fini della graduazione del beneficio, deve tenere conto che l’iscrizione di queste spese all’attivo dello stato patrimoniale è consentita, oltre che dall’utilità pluriennale, di cui siano causa immediata e diretta, anche dalla circostanza che esse non abbiano avuto, come contropartita, l’incremento di valore di specifici beni o diritti anch’essi iscritti all’attivo (Cass., 14 marzo 2018, n. 6288; Cass., 6 novembre 2013, n. 24939, che richiama anche Cass., 11 gennaio 2006, n. 377, relativa ad un aumento di capitale; Cass., sez. 5, 18 dicembre 2019, n. 33648; Cass., n. 8344 del 2006, per la necessità di indicazione, ai fini della ripartizione pluriennale dei costi, degli specifici criteri commisurati alla durata dell’utilità del bene; nello stesso senso Cass., 19 giugno 2009, n. 14326).
E’ stata esclusa la possibilità di contabilizzare tra le immobilizzazioni immateriali una penale percepita dalla società contribuente per la risoluzione consensuale di un contratto pluriennale, ritenendo inammissibile deduzioni registrate negli anni successivi quali quote di ammortamento, in mancanza di qualsiasi correlazione con ricavi ottenuti negli esercizi successivi (Cass., sez. 5, 21 maggio 2008, n. 12880).
Si è anche affermato, con riferimento ad una delibera di aumento del capitale” che, in tema di determinazione del reddito di impresa, l’art. 2426 c.c. (nel testo applicabile nella specie “ratione temporis”), prevedendo che le spese di impianto e di ampliamento possono estinguersi mediante ammortamento annuale “entro un periodo non superiore a cinque anni”, individua il quinquennio come periodo massimo di ammortamento, senza però prevedere alcun periodo minimo, restando perciò salva la facoltà della società di estinguere le spese stesse in un periodo più breve ovvero anche in un solo anno. Ne consegue che il costo ad utilizzazione pluriennale riferibile ad una delibera di aumento del capitale, anche a voler ammettere un’applicazione analogica del citato art. 2426 c.c., non è deducibile solo in cinque anni e per quote costanti del venti per cento per ciascun periodo d’imposta (Cass., sez. 5, 11 gennaio 2006, n. 377).
La società deve, poi, provvedere alla ripartizione pluriennale dei costi, indicando specifici criteri commisurati alla durata dell’utilità del bene (Cass., sez. 5, 10 aprile 2006, n. 8344; Cass., sez. 5, 19 giugno 2009, n. 14326 con riferimento a spese per manutenzioni riparazione).
Nella specie, come correttamente affermato dai giudice d’appello, la società contribuente non ha dimostrato in alcun modo il carattere della utilità pluriennale, in quanto i costi sono stati sostenuti per la riduzione, a seguito di perdite ingenti, del capitale sociale della società controllata ed il successivo aumento dello stesso.
Inoltre, il procedimento di ammortamento non è stato caratterizzato, come evidenziato dal giudice d’appello, dalla “sistematicità”, in quanto le quote di ammortamento non sono state dedotte nei bilanci degli anni 2003, 2004 e 2005, ma soltanto negli anni 2006 e 2007, tra l’altro con il passaggio successivo della voce contributi a fondo perduto o rinunce, dalle immobilizzazioni finanziarie di cui al D.L. n. 209 del 2002 (voce BIII), alle immobilizzazioni immateriali di cui all’art. 2424 c.c. (voce BI7).
3. Con il secondo motivo di impugnazione la società deduce la “omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul motivo di appello afferente l’illegittimità dell’accertamento parziale per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, ed il correlato illegittimo ricorso a metodologie di accertamento del tutto contraddittorie ed incompatibili tra di loro, ovvero l’accertamento parziale e l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, citato genericamente, senza indicazione di una delle modalità di accertamento previsti da tale norma”. Invero, per la società ricorrente l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, sarebbe illegittimo in quanto consentito solo nelle ipotesi in cui gli elementi istruttori siano certi ed univoci. Anche nell’atto di appello la società ha ribadito che il richiamo effettuato dall’Ufficio al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, appariva contraddittorio. Infatti, da un lato l’Agenzia effettua l’accertamento parziale, che dovrebbe condurre a stabilire con certezza il reddito evaso, mentre dall’altro utilizza come base dell’accertamento, in via del tutto generica, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1. Il giudice d’appello ha completamente omesso di pronunciarsi su tale motivo.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Invero, poiché il giudice d’appello è entrato nel merito della controversia, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento per l’erronea contabilizzazione da parte della contribuente dei contributi a fondo perduto e delle rinunce in favore della società controllata, tra le immobilizzazioni immateriali, senza indicazione dell’utilità delle spese per più esercizi, oltre che per irregolare procedura di ammortamento, che non è stato sistematico, ma solo saltuario, con riferimento agli esercizi 2006 e 2007, è chiaro che è stata superata, perché rigettata implicitamente, la questione preliminare in ordine ai vizi formali dell’avviso di accertamento.
Infatti, per questa Corte non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perché indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico giuridico, decisa e rigettata dal giudice (Cass., sez. L, 4 agosto 2014, n. 17580). 4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della società ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021
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