Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24376 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9308 – 2016 R.G. proposto da:

M.M., – c.f. ***** – elettivamente domiciliata, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Catania, al viale della Libertà n. 221, presso lo studio dell’avvocato Carmelo Calì che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MI.SA., – c.f. ***** -;

– intimata –

avverso la sentenza n. 301/2015 della Corte d’Appello di Catania;

udita la relazione nella camera di consiglio del 17 marzo 2021 del consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso per denuncia di nuova opera depositato il 14.8.2004 M.M., proprietaria e possessore di un terreno in *****, irrigato con l’acqua defluente attraverso una canaletta “a cielo aperto”, adiva il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Giarre.

Premetteva che Mi.Sa., proprietaria del fondo limitrofo attraversato dalla condotta, aveva dato inizio a lavori di sostituzione della canaletta con una tubazione in “pvc”, destinata ad essere totalmente interrata, e a lavori di recinzione del proprio terreno.

Indi esponeva che la sostituzione della canaletta avrebbe pregiudicato il passaggio delle acque, siccome il tubo in “pvc” facilmente avrebbe potuto otturarsi, e che la realizzazione della recinzione avrebbe impedito l’ispezione e la manutenzione della canaletta.

Chiedeva ordinarsi la sospensione dei lavori e adottarsi i più opportuni provvedimenti, ivi compreso l’ordine di ripristino dello status quo ante.

2. Si costituiva Mi.Sa..

Instava per il rigetto della domanda.

3. Espletata la c.t.u., con ordinanza in data 2.2.2005 il tribunale faceva obbligo alla resistente, sotto la direzione del consulente, di apporre una griglia per impedire l’ostruzione del tubo per la porzione già posata in opera; faceva obbligo alla resistente, altresì, di astenersi dalla prosecuzione dei lavori.

4. Intrapreso il giudizio di merito, all’esito, con sentenza n. 22/2009 l’adito tribunale, previa conferma dell’ordinanza del 2.2.2005, condannava la resistente ad eseguire quanto disposto in sede cautelare e ad astenersi dalla prosecuzione dei lavori di recinzione del fondo e di sostituzione della canaletta “a cielo aperto” con il tubo in “pvc”.

5. Proponeva appello Mi.Sa.. Resisteva M.M..

6. Con sentenza n. 301/2015 la Corte d’Appello di Catania accoglieva il gravame, rigettava le domande tutte esperite in prime cure dall’appellata, revocava il provvedimento cautelare in data 2.2.2005 e condannava l’appellata alle spese del doppio grado.

Premetteva la corte che era fuor di contestazione che il terreno dell’appellata fruisse di una servitù di acquedotto esercitata per il tramite di un canale “a cielo aperto”, idoneo a consentire il passaggio delle acque irrigue.

Indi evidenziava, nel quadro della previsione dell’art. 1067 c.c., comma 2, che la sostituzione di porzione della canaletta a “cielo aperto” con due spezzoni – di sei metri – interrati di tubazione in “pvc” non aveva creato, così come si desumeva dalla relazione di c.t.u., alcun pregiudizio nel corso della precedente stagione per l’irrigazione del fondo dominante ed, al contempo, che la sostituzione non sarebbe valsa a diminuire l’utilitas per il medesimo fondo.

Evidenziava poi che l’appellante aveva senz’altro diritto di recintare il proprio terreno, purché senza limitazione alcuna della facoltà dell’appellata, proprietaria del fondo dominante, di accedere al fondo servente al fine di controllare lo stato dei canali e delle tubazioni dell’acqua e far luogo ad eventuali riparazioni; che del resto l’appellante si era dichiarata disponibile a consegnare a controparte le chiavi per l’apertura del cancelletto di accesso alla porzione del fondo servente interessata dalla presenza della canaletta.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.M.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione. Mi.Sa. non ha svolto difese.

8. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1067 e 1068 c.c.

Deduce che la fattispecie per cui è controversia, è da ricondurre alla previsione dell’art. 1068 c.c., contemplante l’ipotesi del trasferimento dell’esercizio della servitù in luogo diverso da quello originariamente stabilito.

Deduce segnatamente che non osta all’applicabilità dell’art. 1068 c.c. la circostanza per cui il trasferimento del locus servitutis sia avvenuto, onde consentire l’accesso al fondo servente con mezzi carrabili, in senso “verticale”, in dipendenza dell’interramento dei due spezzoni della tubatura in “pvc”, anziché in senso “orizzontale”.

Deduce ulteriormente che l’applicazione dell’art. 1068 c.c. viepiù si giustifica, siccome si è al cospetto di interventi eseguiti dalla proprietaria del fondo servente su beni – la canaletta di adduzione delle acque irrigue – di proprietà di ella ricorrente, beni che la proprietaria del fondo servente non avrebbe potuto di sua iniziativa manomettere, ma di cui avrebbe dovuto chiedere lo spostamento a sue spese.

9. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1079 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.

Premette che ha esperito, nella fase di merito, un’azione di natura possessoria finalizzata al ripristino dello stato dei luoghi, tant’e’ che ha allegato lo stato di possesso della servitù.

Indi deduce che la Corte di Catania ha errato in ordine ai presupposti dell’esperita azione, pronunciandosi extra ovvero ultra petita.

Deduce segnatamente che la corte di merito, a fronte della sostituzione di un tratto della canaletta “a cielo aperto” con una tubazione in “pvc” e della intrapresa recinzione del fondo con inglobamento della canaletta, avrebbe dovuto limitarsi a riscontrare la sussistenza dei presupposti per la concessione della tutela possessoria e non già statuire sulle modalità di esercizio della servitù.

10. Il primo motivo di ricorso va respinto.

11. Non si nega che la preclusione ex art. 1068 c.c., comma 1, per il proprietario del fondo servente, al trasferimento dell’esercizio della servitù in un luogo diverso da quello nel quale è stata stabilita originariamente, possa operare pur per il trasferimento “in verticale” ovvero per l’interramento del canale di deflusso delle acque irrigue, in ipotesi di servitù di acquedotto.

Questa Corte invero ammette che la disposizione dell’art. 1068 c.c., comma 2 che consente al proprietario del fondo servente di offrire al proprietario dell’altro fondo un luogo ugualmente comodo per l’esercizio della servitù nel caso in cui l’originario esercizio sia divenuto eccessivamente gravoso per il fondo servente o impedisca di fare lavori, riparazioni o miglioramenti, si applica, per analogia, data “l’eadem ratio”, anche nel caso di spostamento “verticale” della servitù e, più in generale, nel caso di variazioni del modo di esercizio della servitù (cfr. Cass. 3.3.1994, n. 2104).

E tuttavia l’interramento della canaletta è stato nella fattispecie di così modesta portata, siccome ha riguardato un tratto di pochi metri dell’originario canale “a cielo aperto”, che ineccepibilmente la corte di merito ha ricondotto la fattispecie de qua alla previsione dell’art. 1067 c.c., comma 2 (“il proprietario del fondo servente non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo”).

Ciò tanto più che questa Corte da tempo spiega, per giunta, che l’inosservanza, da parte del proprietario del fondo servente, del divieto di compiere opere, che rendano più incomodo l’esercizio della servitù (art. 1067 c.c., comma 2), è ravvisabile con riferimento ad aggravi apprezzabili e permanenti e, perciò, va esclusa quando si tratti di opere che comportino una scomodità del predetto esercizio solo eventuale o saltuaria, ovvero si risolvano in un mero aggravio di spesa sopportabile dallo stesso autore (cfr. Cass. 5.3.1986, n. 1401).

12. Su tale scorta il riscontro della violazione del divieto prefigurato dall’art. 1067 c.c., comma 2 a carico del proprietario del fondo servente – il riscontro cioè della tendenziale “diminuzione” dell’esercizio della servitù ovvero della tendenziale sua maggiore “scomodità” – postula e si risolve in un giudizio “di fatto”, censurabile dinanzi al Giudice di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 id est sub specie di “omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”.

13. In questi termini il dictum della Corte di Catania va esente da qualsivoglia forma di “anomalia motivazionale” rilevante alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Più esattamente la corte territoriale ha in modo compiuto ed intellegibile esplicitato il proprio iter argomentativo, ancorandolo agli esiti della c.t.u., ovvero, tra gli altri, al rilievo del consulente tecnico secondo cui il passaggio dell’acqua attraverso una conduttura in “pvc” risultava, per giunta, più agevole rispetto al passaggio attraverso un canale “a cielo aperto” (cfr. sentenza d’appello, pag. 6).

La corte distrettuale ha puntualizzato inoltre che l’eventualità che lo scorrimento dell’acqua attraverso la tubazione in “pvc” risultasse ostruito, ben si sarebbe potuta prevenire merce’ l’installazione di una griglia all’imboccatura e che, a giudizio dell’ausiliario d’ufficio, la tubazione interrata avrebbe potuto reggere il peso connesso al transito in superficie di mezzi meccanici.

14. Il dictum della corte siciliana è in ogni caso ineccepibile.

Questa Corte spiega che il semplice fatto di una innovazione apportata al fondo servente non può essere considerato di per sé costitutivo di una limitazione della servitù se non costituisca anche un danno effettivo per il fondo dominante, in quanto l’esercizio della servitù è informato al criterio del minimo mezzo, nel senso che il titolare di essa ha il diritto di realizzare il beneficio derivantegli dal titolo o dal possesso senza appesantire l’onere del fondo servente oltre quanto sia necessario ai fini di quel beneficio (cfr. Cass. 25.6.1985, n. 3843).

15. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

16. Si ammetta pure che M.M. abbia esperito nella fase a cognizione piena un’azione possessoria finalizzata alla reintegrazione ovvero alla manutenzione del possesso della servitù di acquedotto. Tanto, ben vero, nel quadro dell’insegnamento secondo cui, tenuto conto che le azioni di nunciazione (artt. 1171 e 1172 c.c.) sono preordinate a difesa sia della proprietà o di altro diritto reale sia del semplice possesso, l’ordinario giudizio di merito successivo alla fase preliminare e cautelare ha natura petitoria o possessoria a seconda che la domanda, alla stregua delle ragioni addotte a fondamento di essa e delle specifiche conclusioni, risulti, secondo la motivata valutazione del giudice, volta a perseguire la tutela della proprietà o del possesso (cfr. Cass. 26.1.2006, n. 1519).

17. Certo e’, però, che, contrariamente all’assunto della ricorrente, allorché ha disconosciuto la violazione dei limiti di cui all’art. 1067 c.c., comma 2 ovvero ha ritenuto che “le condotte poste in essere dal proprietario del fondo servente non incidono negativamente sull’estensione dell’utilitas oggettivamente assicurata dal contenuto essenziale della servitù” (così sentenza d’appello, pag. 6), la corte d’appello ha, in tal guisa ed in pari tempo, disconosciuto la sussistenza di fatti di spoglio o di turbativa.

D’altronde, questa Corte spiega da tempo, seppur con riferimento alla servitù di passaggio, che la configurabilità dello spoglio o della turbativa del possesso di tale servitù e la conseguente esperibilità delle azioni di reintegrazione o manutenzione postulano il riscontro di innovazioni sul fondo servente che si traducano in una privazione o menomazione delle utilità del fondo dominante rispetto, ai sensi dell’art. 1066 c.c., a quelle in precedenza godute; cosicché, la mera mutazione dello stato di fatto non può di per sé integrare spoglio o turbativa, occorrendo a tal fine l’ulteriore accertamento del prodursi dei sopra indicati effetti (cfr. Cass. 25.6.1985, n. 3842; cfr. altresì Cass. (ord.) 12.4.2011, n. 8275, secondo cui, in tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso).

18. Nei termini esposti non si giustifica l’assunto della ricorrente secondo cui la corte distrettuale non ha pronunciato sui presupposti per la concessione della tutela possessoria ed ha erroneamente pronunciato sulle modalità di esercizio della servitù (cfr. ricorso, pag. 21).

Nei termini esposti per nulla si configurano il preteso vizio di ultra/extrapetizione, la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c.

19. Con il secondo mezzo di impugnazione la ricorrente ha ulteriormente addotto (cfr. ricorso pag. 21), in ordine all’operata recinzione del fondo servente, che in nessun modo la controparte ha manifestato il proposito di consentirle l’esercizio delle facoltà che le competono quale proprietaria del fondo dominante mediante la consegna delle chiavi del cancello di accesso alla porzione del fondo servente, ove è ubicata la canaletta.

E tuttavia in tal guisa la ricorrente si duole per l’erronea valutazione degli esiti istruttori.

Cosicché sovviene l’insegnamento secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

20. Mi.Sa. non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità va pertanto assunta.

21. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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