Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24486 del 10/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1979/2015 proposto da:

PROVINCIA DI CHIETI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato PAOLA PEZZALI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO TOSTI GUERRA;

– ricorrente principale –

contro

D.P.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIER MICHELE QUARTA;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 618/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/06/2014 R.G.N. 746/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza n. 618/2014, decidendo sull’impugnazione proposta D.P.G. nei confronti della Provincia di Chieti e della Regione Abruzzo, in riforma della pronuncia di prime cure dichiarava privo di effetto il termine apposto al primo di quattro contratti di lavoro stipulati dal D.P. con la Provincia di Chieti e condannava quest’ultima al risarcimento del danno in favore del ricorrente nella misura di 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori dalla cessazione del rapporto al saldo.

La Corte territoriale, esaminata la domanda del lavoratore rivolta anche nei confronti della Regione Abruzzo in relazione a tre contratti a termine con quest’ultima intercorsi tra il 2002 e il 2004, rilevava che in tutti i contratti a termine era stata omessa ogni indicazione sulle ragioni delle assunzioni e riteneva perciò non soddisfatto l’onere formale di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2.

Aggiungeva che gli Enti convenuti non avevano comunque assolto all’onere probatorio relativo all’esistenza di tali ragioni.

Evidenziava anche, con riferimento al contratto relativo al periodo dal 18/10/2005 al 3/12/2005, stipulato con la Provincia di Chieti, che tale contratto risultava prorogato sino al 31/12/2007 senza indicazione delle ragioni oggettive per tale proroga.

Statuiva che le assunzioni a termine effettuate dalla Provincia e dalla Regione (sette in cinque anni), sempre con inquadramento del D.P. come istruttore e sempre a titolo di supplenza, erano avvenute in violazione della direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 1999/70/CE.

Respingeva la domanda di conversione dei rapporti.

Riteneva che il D.P. non avesse proposto alcuna domanda risarcitoria nei confronti della Regione Abruzzo.

Condannava, invece, la Provincia di Chieti al risarcimento del danno che quantificava facendo applicazione del meccanismo riparatorio di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, secondo il quale il danno non può che essere inquadrato quale pregiudizio derivante dalla perdita di un posto di lavoro assistito da tutela reale e, così, lo quantifica a termini della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5, (cinque mensilità valore minimo – comma 4 – più quindici mensilità quale misura sostitutiva della reintegra – comma 5 -).

3. Per la cassazione della sentenza la provincia di Chieti ha proposto ricorso con tre motivi.

4. D.P.G. ha resistito con controricorso ed ha formulato, altresì, ricorso incidentale.

5. Il Collegio ha proceduto in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.

6. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo e dichiarato inammissibile il terzo, e per il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale con assorbimento degli altri.

5. Il D.P. ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Provincia ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,434,437 c.p.c., nonché omessa, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamenta che la Corte territoriale abbia riconosciuto il danno risarcibile in assenza di domanda.

Trascrive le conclusioni del ricorso di primo grado del D.P. ed evidenzia che una domanda risarcitoria non era stata proposta neppure in via subordinata.

Rileva altresì che nella sentenza impugnata è stato evidenziato che “pur se è vero che nessuna domanda risarcitoria è stata proposta (come rilevato in prime cure) è altrettanto vero che, pur in assenza di specifiche allegazioni, il danno risarcibile D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36, non può che essere inquadrato quale pregiudizio derivante dalla perdita di un posto di lavoro assistito da tutela reale”.

Assume la violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la contraddittorietà della motivazione là dove ha riconosciuto il risarcimento pur dando atto della mancanza di domanda risarcitoria.

In ogni caso sostiene che non potesse essere riconosciuto un risarcimento in re ipsa, in assenza di allegazioni relative all’esistenza del patito danno.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Si osserva innanzitutto che, in termini generali, l’interpretazione della domanda, che è attività rimessa istituzionalmente al giudice di merito nell’esercizio di un potere insindacabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivato, si compie attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva (v., ex multis, Cass. 28 agosto 2009, n. 18783; Cass. 25 settembre 2014, n. 20294).

Nella specie la ricorrente, non trascrivendo nella sua interezza il ricorso di primo grado (alle pagg. da 4 a 7 del ricorso per cassazione sono riportate solo le conclusioni formulate dal D.P.), non ha offerto tutti gli elementi per valutare, anche a prescindere dal riportato passaggio argomentativo della sentenza impugnata, la fondatezza del rilievo.

2.2. Premesso, poi, che, nella specie, è impugnato non il criterio di liquidazione del danno utilizzato dalla Corte territoriale, ma solo il capo di condanna al risarcimento malgrado la mancanza di allegazioni relative all’esistenza del danno medesimo, va ricordato che le Sezioni Unite questa Corte, nell’arresto del 15 marzo 2016, n. 5072, con riferimento alla norma contenuta nel T.U. n. 165 del 2001, art. 36, hanno enunciato il principio secondo cui nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una pubblica amministrazione l’efficacia dissuasiva richiesta dalla clausola 5 dell’Accordo quadro recepito nella direttiva 1999/70/CE postula una disciplina agevolatrice e di favore, che consenta al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l’ammontare del danno.

Dando, poi, atto che il pregiudizio è normalmente correlato alla perdita di chances di altre occasioni di lavoro stabile (e non alla mancata conversione del rapporto, esclusa per legge con norma conforme sia ai parametri costituzionali che a quelli comunitari), le Sezioni Unite hanno rinvenuto nella L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo ed un massimo, esonera il lavoratore dall’onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori.

Questa Corte in epoca successiva al suddetto arresto ha precisato (v. Cass. 2 marzo 2017, n. 5319; Cass. 20 luglio 2018, n. 19454) che nel lavoro pubblico contrattualizzato il ricorso alla disciplina di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, al fine di agevolare l’onere probatorio del danno conseguente all’illegittima reiterazione di rapporti a termine, si giustifica con la necessità di garantire efficacia dissuasiva alla clausola 5 dell’Accordo quadro, allegato alla direttiva 1999/70/CE, che concerne la prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine e che, pertanto, la presunzione non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui l’illegittimità concerna l’apposizione del termine ad un unico contratto di lavoro (non prorogato: v. Cass. 28 febbraio 2017, n. 5229; Cass. 13 marzo 2017, n. 6413; Cass. 2 ottobre 2018, n. 23945).

Nel caso in esame quelli stipulati tra le parti sono stati più contratti a termine dichiarati illegittimi.

Si ricadeva, pertanto, nell’ipotesi di agevolazione probatoria e di operatività della presunzione di legge circa l’esistenza del danno.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, della L.R. n. 72 del 1998, in attuazione della L. n. 59 del 1997.

Sostiene che la Corte territoriale abbia omesso completamente di considerare la disciplina della legge regionale che aveva previsto il trasferimento alla Provincia dei corsi di formazione professionale unitamente alle risorse finanziarie e che i contratti di formazione risultavano collegati a tali progetti specifici di attività formative programmate di anno in anno.

Rileva che erroneamente nella sentenza impugnata si sia fatto riferimento al concetto di “supplenza” come se si trattasse di un posto previsto in pianta organica, trattandosi di assunzioni temporanee, effettuate mediante scorrimento di una graduatoria, per corsi programmati e da effettuarsi.

4. Il motivo, oltre a presentare profili di inammissibilità, è altresì infondato.

4.1. Non sono trascritti i contratti per cui è causa e quindi non è possibile alcuna verifica circa il prospettato inserimento della vicenda de qua nel quadro di attuazione della delega regionale in materia di formazione professionale di cui alla L.R. n. 72 del 1998, attuativa della L. n. 59 del 1997.

4.2. In ogni caso la legislazione regionale non potrebbe giammai derogare alla norma imperativa del D.Lgs. n. 368 del 2001, che prevede la nullità della clausola di apposizione del termine se le ragioni della deroga alla durata a tempo indeterminato del contratto di lavoro subordinato non risultino specificate espressamente nel contratto stipulato per iscritto.

Si richiama, sul punto, il principio già affermato da questa Corte (v. Cass. 27 ottobre 2017, n. 25672) secondo il quale i contratti di lavoro a termine stipulati da una P.A. sulla base di norme di legge regionale, non possono essere esclusi, in via di principio, dall’applicazione dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla Direttiva n. 1999/70/CE del Consiglio, nonché del D.Lgs. n. 368 del 2001, che l’ha recepito, atteso, da un lato, l’ambito di applicazione generale di cui al punto 1 della clausola 2 dell’Accordo, e dall’altro, l’ambito della facoltà di esclusione che il punto 2 della medesima clausola attribuisce agli Stati membri e/o alle parti sociali.

Pertanto, il giudice del merito non può trarre argomento dalle esigenze di natura politico-sociale poste a fondamento dei contratti in questione, né dalla peculiare finalità da essi perseguite, ma deve procedere all’esame del contratto e del concreto connotarsi del rapporto rispetto alla disciplina che prevede le fattispecie legali escluse.

Ciò consente di affermare che, in ipotesi quale quella in esame, non si potesse prescindere dal vaglio analitico dei contratti posti a fondamento della domanda del ricorrente in relazione a numero, oggetto, causale e durata, non bastando il riferimento ad una programmazione da parte della Regione delle attività formative da svolgersi contenuto nella legislazione regionale.

5. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamenta che la Corte territoriale abbia condannato solo la Provincia di Chieti e non anche la Regione Abruzzo, pur in presenza del ritenuto illegittimo ricorso a contratti temporanei da parte di entrambi gli Enti, con motivazione contraddittoria.

6. Il motivo è inammissibile in quanto formulato come se fosse ancora in applicabile il vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In ogni caso, come si rileva dallo storico di lite, non c’e’ stato alcun omesso esame né sussiste, nel ragionamento della Corte territoriale, alcuna insanabile contraddizione.

7. Il ricorso incidentale è affidato a cinque motivi con cui si deduce la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, art. 5, commi da 2 a 4 bis, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, art. 420 c.p.c., L. n. 68 del 1998, artt. 3 e 11, nonché l’omesso esame di fatti controversi e decisivi.

Lamenta il ricorrente incidentale che la Corte territoriale, in difetto di adeguate argomentazioni, abbia ritenuto infondata la domanda di conversione in rapporto a tempo indeterminato pur in presenza di assunzioni a termine avvenute mediante selezione pubblica e abbia riconosciuto il danno nella insufficiente misura di venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi.

Rileva il ricorrente incidentale anche un errore nell’individuazione del contratto intercorso con la Provincia come stipulato il 28/6/2005 laddove si tratta di contratto stipulato dal 16/11/2004 al 31/12/2004 ed evidenzia che l’errore sarebbe ininfluente nel caso di rigetto della domanda di conversione, ma non nel caso di accoglimento dell’incidentale sul punto.

8. Il ricorso incidentale, in tutti i motivi in cui è formulato, è infondato.

8.1. Occorre premettere che non è censurata la sentenza nella parte in cui ha escluso il risarcimento del danno nei confronti della Regione.

8.2. Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5072 del 2016, hanno ricordato che la Corte costituzionale (sentenza 27 marzo 2003, n. 89) ha ritenuto che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, per la parte in cui non consente, a differenza di quanto accade nel rapporto di lavoro privato, che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori possa dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, non viola gli artt. 3 e 97 Cost.; e’, infatti, giustificata la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di quelle disposizioni conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, dato che il principio dell’accesso mediante concorso – enunciato dall’art. 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – rende non omogeneo il rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto alle dipendenze di datori privati.

Pertanto, in applicazione dei principi enunciati da Cass., S.U., n. 5072 del 2016, la violazione della disciplina del contratto a termine nel lavoro pubblico contrattualizzato non può dare luogo alla trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come invece prospettato dal ricorrente incidentale.

E’ stato, altresì, precisato (v. Cass. 28 marzo 2019, n. 8671) che in materia di impiego pubblico contrattualizzato, nell’ipotesi di violazione da parte delle pubbliche amministrazioni di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, la “regola iuris” del divieto di conversione del rapporto a tempo indeterminato, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non ammette eccezioni e si applica anche nei casi in cui l’individuazione del lavoratore assunto a termine, o con altre forme di lavoro flessibile, sia avvenuta utilizzando le graduatorie di procedure concorsuali ovvero all’esito delle procedure di reclutamento del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 35, che, ai sensi del medesimo art. 36, debbono essere comunque rispettate.

9. Da tanto consegue che il ricorso incidentale deve essere respinto, assorbite restando le censure riferite ad un preteso errore relativo al contratto stipulato il 28/6/2005 (che si assume invece stipulato dal 16/11/2004 al 31/12/2004).

10. Conclusivamente, vanno rigettati sia il ricorso principale sia quello incidentale.

11. L’esito dei ricorsi consiglia la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente principale e dal ricorrente incidentale.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472