LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20340/2015 r.g. proposto da:
B.E., (cod. fisc. *****), elettivamente domiciliato in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo studio dell’avvocato Paolo Panariti, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso, unitamente all’avvocato Andrea Carlo Poma;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l., (cod. fisc. *****), in persona del curatore pro tempore Dott. N.C., elettivamente domiciliato in Roma, viale di Villa Massimo n. 21, presso lo studio dell’avvocato Ulderico Capocasale, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del controricorso, unitamente all’avvocata Ludovica Perissutti;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, depositata in data 12.5.2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 8/3/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
Che:
1. Il Tribunale di Milano, accogliendo la domanda proposta dal Fallimento di ***** s.r.l. nei confronti di B.E., dichiarò inefficace, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, il pagamento del credito vantato dal convenuto verso la società eseguito, nel cd. periodo sospetto, da terzi che avevano poi esercitato la rivalsa nei confronti della stessa.
2. L’appello proposto da B. contro la decisione è stato respinto dalla Corte di Appello di Milano con sentenza del 12.5.2015.
La corte del merito ha accertato in fatto: 1) che ***** aveva ad oggetto la costruzione e la vendita di immobili; 2) che B., che ne era socio, aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale di Pavia un decreto ingiuntivo che le intimava il pagamento della somma di Lire 143.700.000 (a rimborso di quanto da lui anticipato ad un terzo creditore), in forza del quale aveva iscritto ipoteca giudiziale sugli immobili sociali; 3) che, successivamente, era intervenuto fra le parti un accordo scritto in base al quale ***** s.r.l. si era impegnata a delegare i sigg.ri T.P. e V.S., acquirenti di uno di tali immobili, a versare a B. la quota parte del prezzo del bene corrispondente al credito portato dal d.i. (Euro 96.430,46), a fronte del quale il creditore avrebbe prestato il consenso alla cancellazione dell’ipoteca; 4) che B. aveva effettivamente ricevuto il pagamento dai futuri acquirenti ed aveva acconsentito alla cancellazione dell’ipoteca.
La corte territoriale ha quindi rilevato che, benché i sigg.ri T. non avessero sottoscritto l’accordo, il fatto che vi avessero aderito risultava per facta concludentia, atteso che non era emersa nessun’altra ragione giustificativa del pagamento se non quella di evitare l’acquisto dell’immobile gravato dall’ipoteca, e che tanto trovava conferma nella circostanza che l’importo da essi versato a B. era stato imputato da ***** al prezzo di acquisto della casa; ha osservato, inoltre, che, sotto il profilo logico indiziario, emergeva evidente l’interesse all’operazione della società poi fallita, priva delle liquidità necessarie a soddisfare il debito verso l’appellante, e che era altrettanto evidente, sotto il medesimo profilo, che B. avesse accettato il pagamento dai terzi nella consapevolezza che costoro lo avevano eseguito al solo fine di acquistare l’immobile libero dall’iscrizione ipotecaria.
Ciò premesso, il giudice d’appello ha condiviso l’assunto del primo giudice, ribadendo che il pagamento in questione era da qualificare anomalo, in quanto non avvenuto in via diretta, ma quale effetto finale dell’uso di altre forme negoziali, e si era risolto in un depauperamento del patrimonio sociale della fallita; con la conseguenza che, in mancanza di qualsiasi elemento idoneo al superamento della presunzione della scientia decoctionis dell’appellante, andava dichiarato inefficace ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2.
2. La sentenza, è stata impugnata da B.E. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Fallimento ***** s.r.l. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 2, art. 2722 c.c., art. 2725 c.c., comma 2 e art. 1350 c.c., n. 1, nonché dell’art. 2697 c.c., comma 1 e art. 115 c.p.c., comma 1. Contesta che la vicenda potesse essere ricostruita giuridicamente nei termini di una delegazione passiva anomala (pagamento da parte del debitor debitoris), attesa la mancanza di prova, scritta o orale, del presupposto, indefettibile, del consenso dei delegati; sostiene che la prova in questione è stata erroneamente ritenuta raggiunta dalla corte territoriale in base a presunzioni, alle quali, tuttavia, non si può far ricorso quando, come nella specie, sia vietata la prova testimoniale, perché volta a dimostrare l’esistenza di un patto aggiunto, anteriore o coevo, al contenuto del contratto di compravendita dell’immobile, per il quale era pure imposta l’osservanza della forma scritta ad substantiam.
2. Con il secondo mezzo, che denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 2, art. 2722 c.c., art. 2725 c.c., comma 2 e art. 1350 c.c., n. 1, nonché dell’art. 2697 c.c., comma 1 e art. 115 c.p.c., comma 1, B. ribadisce che l’esistenza del supposto patto fra delegante, delegati e delegatario non poteva ritenersi provata in via presuntiva.
3. I motivi – che, ponendo le medesime questioni, possono essere trattati congiuntamente – sono inammissibili.
3.1. Va in primo luogo rilevato che essi non investono l’accertamento della corte del merito concernente l’esistenza di un patto sottoscritto da B. ed *****, in base al quale la società si era impegnata a delegare i futuri acquirenti dell’immobile a versare al primo la quota parte del prezzo del bene corrispondente al credito portato dal d.i., in cambio della cancellazione dell’ipoteca.
3.2. Con le censure in esame il ricorrente si limita invece a sostenere che il consenso dei T. ad eseguire il pagamento su delega di ***** non avrebbe potuto essere provato in via presuntiva: tuttavia, al di là del rilievo che la corte d’appello ha ritenuto la prova in questione raggiunta in fatto (e non per presunzioni), B. non chiarisce perché detto consenso avrebbe dovuto considerarsi patto aggiunto o contrario al contratto di compravendita (al cui effettivo contenuto, peraltro, i motivi non fanno neppure un accenno) o comunque, ad esso collegato tanto da dover richiedere la forma scritta, anziché – come affermato dal giudice del merito – mera accettazione, per facta concludentia, dell’accordo in ordine alle modalità di estinzione del credito già intervenuto fra lui e la debitrice, riconducibile, dal lato di quest’ultima, alla fattispecie disciplinata dall’art. 1381 c.c..
3.2 Sotto altro profilo, le doglianze, incentrate unicamente sull’asserita mancanza di prova del consenso dei delegati, non contrastano l’ulteriore ratio decidendi sulla quale si fonda la sentenza impugnata: la corte territoriale, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei negozi intercorsi fra creditore, debitrice e terzi, ha infatti sottolineato che ciò che rileva ai fini della revocatoria di cui alla L. Fall., art. 67,1 comma, n. 2, è che, come avvenuto nel caso di specie, l’effetto solutorio del debito del fallito si sia realizzato non mediante un pagamento diretto, ma attraverso un’operazione complessa, utilizzata dalle parti, in via mediata e indiretta, per eludere la par condicio.
4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2 e degli artt. 1268 e 1269 c.c.. Osserva di aver ricevuto il pagamento prima della stipula del contratto di compravendita dell’immobile, quando ancora i T. non erano divenuti debitori della sua debitrice. Sostiene pertanto che il pagamento, in alcun modo riferibile ad *****, lungi dal poter essere ritenuto atto solutorio anomalo da questa proveniente, costituiva il corrispettivo della cessione, da lui stipulata con i futuri acquirenti del bene, del credito vantato verso la società: il pregiudizio subito dalla massa dei creditori avrebbe dovuto quindi essere ricollegato, in via esclusiva, al successivo negozio con il quale i cessionari, conclusa la vendita, avevano opposto in compensazione il credito ceduto a quello, per il pagamento del prezzo, sorto in capo alla venditrice nei loro confronti.
4. Anche questo motivo è inammissibile, sia perché introduce in questo giudizio di legittimità un tema di indagine (la cessione del credito da B. ai T.) del tutto nuovo, che non risulta aver formato oggetto della cognizione devoluta al giudice d’appello, sia perché, ancorché declinato sotto il profilo della violazione di legge, è in realtà interamente versato in fatto ed è volto a sollecitare questa Corte ad un’interpretazione della complessa vicenda negoziale e/o ad una valutazione delle risultanze istruttorie difforme da quella operata dal giudice del merito e non sindac*****le nella presente sede se non attraverso la specifica indicazione dei canoni legali di ermeneutica, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., che si assumono violati e del come e del perché il giudice se ne sia discostato, ovvero nei ristretti termini delineati dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al Fallimento controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 8 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2021
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Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
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