LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6597/2020 R.G. proposto da:
T.E.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato Francesco Nucara, come da procura alle liti in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo di Impresa S.P.A., già Sviluppo Italia, in persona del legale rapp.
pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Alessandro Lanzi, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, Via dei Due Macelli, n. 66, come da procura alle liti a margine del controricorso;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 4806/2019 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata l’11/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 luglio 2021 dal Consigliere Laura Tricomi.
RITENUTO
CHE:
Con atto di citazione notificato l’11/4/2013, T.E.D. propose opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento emessa da Sviluppo Italia in data 15/2/2013, con la quale gli era stato ingiunto il pagamento di Euro 40.831,94= a titolo di recupero del credito per agevolazioni di autoimpiego ex D.Lgs. n. 185 del 2000, chiedendone l’annullamento o la riforma. L’INVITALIA – Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa SPA si costituì, contestando l’avverso dedotto.
L’opposizione venne respinta in primo grado e la Corte di appello confermò la decisione.
T.E.D. ricorre con quattro motivi, corroborati da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma, in epigrafe indicata; l’Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa SPA, quale nuova denominazione di Sviluppo Italia SPA, (di seguito, l’Agenzia) ha replicato con controricorso.
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia “violazione di legge omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – mancata valutazione della sussistenza dei presupposti ai fini della regolarità dell’ordinanza ingiunzione – assenza della ricezione o comunque della conoscibilità della revoca del finanziamento di cui all’allegato atto, prodotto da parte opposta”.
Il ricorrente, sulla premessa che i giudici di merito hanno ritenuto atto prodromico necessario per la validità e la regolarità dell’ordinanza ingiunzione “l’atto di revoca di cui all’art. 12 del regolamento negoziale”, sostiene che lo stesso non era stato da lui ricevuto e neppure gli era stato spedito e lamenta l’errato accertamento del fatto da parte dei giudici del merito.
Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi. La Corte di appello ha, infatti, dichiarato inammissibile la doglianza relativa alla mancata ricezione del provvedimento di revoca perché proposta tardivamente in secondo grado e tale statuizione non risulta né esaminata, né attinta dal motivo come formulato.
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e, ancora, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7.
Il ricorrente sostiene che era onere della controparte rendere intellegibile la nota spese ed indicare i criteri di calcolo delle somme ingiunte perché l’ingiunzione di pagamento doveva essere adeguatamente motivata e richiama giurisprudenza tributaria in tema di ingiunzione fiscale.
Anche questo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi.
La Corte distrettuale ha, infatti, dichiarato inammissibile la doglianza relativa al quantum perché lo schema di calcolo predisposto da Invitalia non era stato specificamente contestato in primo grado, come evidenziato dal Tribunale, e ne ha dedotto che il motivo di gravame in merito alla mancanza di prova dell’intera debitoria era stato proposto tardivamente in secondo grado: tale statuizione non risulta né esaminata, né attinta dal motivo come formulato.
3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2033 c.c., in tema di indebito arricchimento.
Il ricorrente critica la decisione impugnata, laddove questa ha ritenuto che gli importi, richiesti dalla società con l’ordinanza ingiunzione, potevano formare oggetto di recupero in quanto richiamati nella nota spese allegata, perché – a suo dire – la società avrebbe dovuto dimostrare la rispondenza ad un’effettiva dazione delle stesse somme o comunque la corrispondenza con l’utilità percepita da lui stesso.
Sostiene l’applicabilità dell’art. 2033 c.c. in relazione alle attribuzioni patrimoniali prive di causa, con conseguente onere probatorio a carico della società che agiva in ripetizione. Si duole del recupero degli importi relativi ad attività di tutoraggio – che sostiene mai espletata da Invitalia – e del recupero di importi erogati a fondo perduto.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità in merito alla tempestiva introduzione della questione relativa alla riconducibilità della fattispecie in esame nell’ambito applicativo dell’art. 2033 c.c., posto che ciò non è evincibile né dal ricorso, né della sentenza impugnata.
Il motivo risulta, altresì, inammissibile laddove sostiene che contraddittoriamente la Corte distrettuale avrebbe affermato la ripetibilità di somme erogate a fondo perduto, di cui il ricorrente assume l’irripetibilità, e per il tutoraggio, perché mai svolto.
Invero, “Il vizio di motivazione contraddittoria sussiste solo in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, sicché detto vizio non è ipotizzabile nel caso in cui la contraddizione denunziata riguardi le contrastanti valutazioni compiute dal giudice di primo grado e da quello di appello, dovendo altrimenti ritenersi contraddittorie tutte le sentenze di secondo grado che abbiano motivato in modo difforme dal giudice di prime cure, né in caso di contrasto – pur denunciabile sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di altre prove e documenti” (Cass. n. 17196 del 17/08/2020; Cass. n. 12096 del 17/05/2018).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha accertato che il contratto di finanziamento agevolato prevedeva alcune voci estranee al finanziamento come “a fondo perduto” per spese e servizi (tra cui il tutoraggio) e che l’impegno di T. doveva intendersi esteso a tutto quanto indicato perché dallo stesso accettato al momento della stipula del contratto (fol.3 della sent. imp.): tale statuizione – che appare lineare e congruamente motivata – rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e non risulta censurata pertinentemente, atteso che il ricorrente si limita a ribadire la personale prospettazione in punto di obblighi contrattuali, senza nemmeno illustrare e trascrivere il contenuto del contratto e senza indicare quale sarebbe il passaggio motivazionale da cui dovrebbe emergere la contraddittorietà.
4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362 c.c. e l’errata interpretazione del contratto in merito al carattere essenziale della prestazione di “tutoraggio” e al danno che la mancata fruizione dello stesso avrebbe determinato all’attività intrapresa dal ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
Osserva il Collegio che la Corte di appello ha ritenuto che lo svolgimento del “tutoraggio”, alla stregua del contratto di finanziamento, corrispondeva ad una spesa a fondo perduto e non costituiva un obbligo contrattuale posto a carico di Sviluppo Italia, ma un obbligo posto a carico di T., quale beneficiario del finanziamento, che ne doveva consentire lo svolgimento; ha, quindi, concluso, prendendo atto che l’attività imprenditoriale in relazione alla quale era stato erogato il contributo era cessata prima della scadenza, che il mancato svolgimento dell’attività di formazione in questione era da imputare, per tale motivo, allo stesso T..
In realtà la Corte territoriale propone con chiarezza la propria, pur succinta, valutazione sul punto.
Di contro il ricorrente non ha avuto cura di indicare e trascrivere il contenuto del contratto, indicando specificamente i punti ove trovino fondamento le sue prospettazioni, necessari per consentire la corretta valutazione della contestazione. Non ha nemmeno provveduto a specificare quali regole dell’interpretazione legale sarebbero state disattese dalla Corte di merito, sebbene questa Corte abbia già specificato che “In tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass. n. 27136 del 15/11/2017; Cass. n. 873 del 16/01/2019; Cass. n. 17168 del 9/10/2012) e la censura si rivela così inammissibile.
5. in conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis, (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019; Cass. S.U. n. 4315 del 20/02/2020).
PQM
– Dichiara inammissibile il ricorso;
– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2021