LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25195/2019 proposto da:
R.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLA ANNA MONNO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 240/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 06/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.
FATTO E DIRITTO
ritenuto che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:
– la Corte d’appello di Torino rigettò, con la decisione di cui in epigrafe, l’impugnazione proposta da R.A. avverso la sentenza del Tribunale, che ne aveva disatteso l’opposizione avverso il diniego della chiesta protezione internazionale da parte della competente Commissione amministrativa;
ritenuto che il richiedente ricorre sulla base di unitaria censura avverso la decisione d’appello e che il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;
ritenuto che il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, evocando l’art. 10 Cost., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, assumendo che:
a) la Corte di Torino aveva esaminato il motivo d’appello sul punto limitandosi ad escludere la sussistenza di una situazione di violenza diffusa e incontrollabile in Pakistan, senza esaminare i profili di raggiunta integrazione e vulnerabilità;
b) aveva reputato abrogato l’art. 5 cit., nonostante che il D.L. n. 113 del 2018, non potesse che disporre per l’avvenire;
c) sussisteva, al contrario di quanto affermato dalla decisione impugnata, una conclamata situazione di violenza diffusa, non adeguatamente fronteggiata dallo Stato;
d) non era stata correttamente apprezzata la circostanza che il richiedente, per fuggire dal proprio Paese, era stato costretto a spogliarsi di tutti i suoi beni, riducendosi in una situazione di gravissima indigenza e, in caso di rimpatrio, oramai radicatosi in Italia, avrebbe visto compromesse le proprie esigenze di basilari vita, con conseguente menomazione dello standard minimo per un’esistenza dignitosa;
e) la decisione, valorizzando le informazioni ricavate dal sito del Ministero degli Esteri (*****), aveva affermato che in Pakistan esisteva una buona qualificazione del personale medico, ignorando l’assenza di strutture ospedaliere e sanitarie in genere, atte a fronteggiare la patologia (epatite di tipo B) della quale il richiedente risulta affetto;
considerato che il motivo è in parte fondato, dovendosi osservare quanto segue:
I) non è controverso che si sia in presenza di un’emigrazione per ragioni economiche (il ricorrente ha dichiarato di essere fuggito dalla povertà e dall’impossibilità di godere di adeguati trattamenti sanitari);
II) la Corte d’appello rigetta il primo motivo d’impugnazione, quanto al diritto alla protezione sussidiaria secondo l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), affermando, sulla scorta delle informazioni tratte dal sito “*****” del Ministero degli Esteri, che nella Regione Punjab “non sussistono scenari connotati da violenza indiscriminata o conflitti interni o internazionali”, pur emergendo, per plurime ragioni, “un clima (…) difficile”;
III) reputa che l’abrogazione dell’istituto della protezione umanitaria, ad opera del D.L. n. 118 del 2018, debba operare anche nei confronti dell’istante e che le neo-introdotte figure tipiche di protezione minore non si attaglino al caso in decisione; tuttavia, rigetta, comunque, nel merito la pretesa, stante che l’appellante aveva dichiarato di essersi spogliato volontariamente dei propri beni e che in Patria era dato riscontrare (sempre sulla base del sito del Ministero degli Esteri) un buon livello professionale dei medici;
IV) la critica mossa all’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale, l’abrogazione dell’istituto operasse anche per i migranti che avevano presentato domanda di protezione in epoca anteriore al decreto legge di cui detto, pur condivisibile (cfr., per tutte, S.U. n. 29459/2019), tuttavia, non è risolutiva, avendo la Corte locale motivato il rigetto anche nel merito;
V) i dedotti vizi di motivazione apparente e violazione o falsa applicazione di legge (artt. 32 e 5 cit.), per non avere la Corte territoriale accertato correttamente il clima di diffuso pericolo in Pakistan, non coglie nel segno, non avendo il ricorrente (che qui si duole solo del mancato riconoscimento della protezione umanitaria), per un verso, personalizzato il pericolo (non avendo introdotto ragioni personali ostative al rientro in Patria) e, per altro verso, non avendo addotto radicamento in Italia (tale, cioè, da avergli fatto raggiungere una condizione di autosufficienza economica e piena integrazione); in conseguenza di ciò, sul punto, non assume rilievo la circostanza che la sentenza d’appello, invece che trarre le informazioni dalle COI aggiornate, abbia fatto riferimento a notizie ricavate dal sito “*****”, che ai fini che di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non è d’utile apprezzabilità (cfr. Cass. n. 8819/2020);
VI) non sussiste l’allegata violazione dell’art. 8 della Convenzione edu, per avere la decisione d’appello negato rilevanza alla circostanza che il ricorrente si fosse spogliato di tutti i suoi beni al fine di espatriare (beni che, secondo il ricorrente costituivano poca cosa, sufficiente appena ad affrontare le spese del viaggio), in quanto, per un verso, non è dubbio che l’attuale situazione di totale impossidenza sia dipesa dalla soggettiva determinazione del richiedente e, per altro verso, che la condizione di povertà in genere, salvo il ricorrere di comprovate ipotesi di vera e propria carestia, non può costituire motivo di qualificata vulnerabilità (conf., Cass. n. 20334/2020); quanto, poi, alla prospettata violazione dell’art. 2 Cost., basti ricordare che la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (ex multis, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; coni. n. 3709/2014);
VII) fondato, invece, deve reputarsi il profilo di doglianza, sempre riferito al mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, che investe le condizioni di salute del ricorrente, invero, in primo luogo, questa Corte ha avuto modo di precisare che ai fini della verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie la condizione di vulnerabilità per motivi di salute, normativamente tipizzata dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h) bis, come modificato dal D.Lgs. n. 145 del 2015, impone all’organo giudicante un’attenta e dettagliata disamina dei rischi eventualmente configurabili a carico del ricorrente in caso di rimpatrio – in attuazione del predetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia di merito che aveva escluso per un richiedente affetto da epatite cronica attiva da HBV la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria in base alla considerazione che, alla data di presentazione del ricorso, il programma terapeutico prescritto al ricorrente fosse terminato e che, comunque, nel paese di provenienza fosse assicurata una copertura vaccinale relativa al virus dell’epatite B, senza avere indagato sull’effettiva capacità del sistema sanitario di erogare cure idonee a fronteggiare la patologia del richiedente – (Sez. 2, n. 15322, 17/7/2020, Rv. 658286; ulteriormente essendosi chiarito che, nel caso in cui il richiedente sia affetto da epatite di tipo B, il giudice non può limitarsi a valutare che la malattia sia in uno stato di latenza e che non siano attualmente necessarie cure farmacologiche, ma deve verificare, in base ai documenti acquisiti ed eventualmente anche con approfondimenti istruttori officiosi, se il servizio sanitario del Paese di provenienza (Sez. 1, n. 13257, 30/6/2020, Rv. 658131);
VIII) deve, inoltre, soggiungersi che le predette specifiche informazioni sanitarie, da acquisirsi, nel rispetto del dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), debbono richiedersi agli enti a ciò preposti, non potendo ritenersi tale il sito ministeriale “*****”, il cui scopo e funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti indicati (Sez. 3, n. 8819, 12/5/2020, cit., Rv. 657916);
considerato che, pertanto, la sentenza deve essere cassata con rinvio, perché il Giudice del merito si adegui ai principi di diritto sopra enunciati sub. VII) e VIII) e regoli anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
cassa la sentenza impugnata nei termini di cui in motivazione e rinvia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Torino, in altra composizione.
Così deciso in Roma, in sede di riconvocazione, il 29 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021