Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24803 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGIONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9186-2019 proposto da:

F.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato PANNELLA PAOLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI POMEZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7939/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO, depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI VITTORIO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 11840/17, sez. 41, rigettava il ricorso proposto da F.M.L. avverso l’ingiunzione di pagamento n. ***** relativa ad ICI 2008.

Avverso detta decisione la contribuente proponeva appello innanzi alla CTR Lazio che, con sentenza 7939/2018, rigettava l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di un motivo.

Il Comune di Pomezia non ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che l’Amministrazione non abbia alcun obbligo di provvedere su una istanza di autoannullamento avanzata in pendenza del termine per l’impugnazione degli avvisi di accertamento sui quali si chiede l’intervento dell’Amministrazione.

Occorre premettere che la contribuente ha ricevuto nel giugno 2012 tre avvisi di accertamento per omessa o infedele dichiarazione dei redditi negli anni 2008-2009 e 2010.

Tali avvisi non sono stati oggetto di impugnazione ma, in prossimità del termine per tale adempimento, la contribuente ha presentato al Comune istanza di autoannullamento dei provvedimenti in questione da parte dell’Amministrazione.

Quest’ultima non ha dato seguito all’istanza.

Divenuti definitivi gli atti di accertamento, il Comune nel 2015 ha emesso ingiunzione di pagamento che è stata oggetto di impugnazione e che ha dato luogo alla presente controversia in cui la ricorrente, per contestare la debenza dei tributi, ha addotto la circostanza della mancata risposta da parte del Comune alle proprie istanze di annullamento degli avvisi in via di autotutela.

Poste queste premesse, si rileva la manifesta infondatezza del motivo.

La Commissione regionale ha del tutto correttamente osservato che l’intervenuta definitività per mancanza di impugnazione dei tre atti di accertamento ha comportato l’insindacabilità nel merito della pretesa tributaria e la non impugnabilità dell’ingiunzione di pagamento se non per vizi propri. Ha poi aggiunto che” il silenzio conservato dall’Amministrazione sulle istanze di annullamento in autotutela di tali atti, non ulteriormente curate, non rappresenta un fatto censurabile in questa sede, nella quale si controverte di altro e diverso atto (la successiva ingiunzione di pagamento).”

Tale motivazione è ineccepibile.

Va anzitutto sottolineato che la ricorrente, oltre a non avere impugnato gli avvisi di accertamento nei termini, non ha in alcun modo impugnato neppure il silenzio dell’Amministrazione sulle istanze di autotutela.

Va a tale proposito rammentato che questa Corte ha già chiarito che è impugnabile di fronte alle Commissioni tributarie il diniego di autotutela in quanto l’attribuzione al giudice tributario di tutte le controversie in materia di tributi comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, incidendo sul rapporto obbligatorio tributario, sono devolute al giudice indipendentemente dall’atto impugnato e dalla natura discrezionale dell’esercizio dell’autotutela tributaria. Nel giudizio instaurato contro il rifiuto di esercizio di autotutela può esercitarsi un sindacato solo sulla legittimità di rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria (Cass. S.U. 9669/09; Cass. n. 3442/15; n. Cass. 25524/14; Cass. 1457/10).

E’ di tutta evidenza quindi che la ricorrente non può addurre a sostegno delle proprie censure in questa sede un presunto illecito rifiuto di autotutela che la stessa non ha autonomamente impugnato nei tempi e nelle sedi opportune, introducendo surrettiziamente nella presente controversia una domanda di accertamento della illegittimità di un atto o comunque di un comportamento dell’amministrazione non impugnato nei tempi e nei modi dovuti.

Si aggiunge comunque per completezza che questa Corte ha già avuto occasione di affermare, in riferimento ad un atto di diniego di rimborso, ma il principio è valido nei confronti di qualunque atto tributario, che il termine per proporre ricorso giurisdizionale, fissato a pena di decadenza dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, non è sospeso dalla presentazione di istanza di autotutela all’Amministrazione finanziaria, attesa l’autonomia del procedimento concluso con l’emissione dell’atto tributario,da quello introdotto dalla richiesta di provvedere in autotutela, e, quindi, l’esclusione di qualsiasi interferenza del secondo sull’acquisto della definitività dell’atto assunto a conclusione del primo.(Cass. 15220/12).

Da ciò discende che comunque la definitività dei tre avvisi di accertamento per cui è causa non può in alcun modo essere posta ulteriormente in discussione.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4.100,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- bis e comma 1-quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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