LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1584/2020 R.G. proposto da:
P.A. e R.M.T., rappresentati e difesi, per procura in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe MARINO, presso il cui studio legale, sito in Roma alla via Ruffini, 2/a, sono elettivamente domiciliati;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3530/13/2019 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 13/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/04/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
RILEVATO
che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione, proposta dai contribuenti P. e R. con separati ricorsi poi riuniti dai giudici di primo grado, avverso il silenzio rifiuto dell’amministrazione finanziaria sull’istanza di annullamento in autotutela degli avvisi di accertamento sintetico emesso nei confronti dei predetti contribuenti per gli anni d’imposta 2007 e 2008, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dai contribuenti avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che questi ultimi avevano proposto in data 19/02/2015 una prima istanza di autotutela rigettata dalla Direzione Provinciale I di Roma con provvedimento prot. n. 63841 del 16/04/2015 divenuto definitivo per difetto di impugnazione e che la reiterazione dell’istanza, questa volta avanzata alla Direzione Regionale del Lazio, non inficiava la validità dell’atto di diniego non impugnato e che, comunque, la reiterazione dell’istanza non imponeva all’Ufficio l’obbligo di riesaminare la questione ed emettere un ulteriore provvedimento, essendosi già espresso al riguardo con atto divenuto definitivo.
2. Avverso tale statuizione i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale i ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
Con il motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e del D.M. n. 37 del 1997, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Sostengono i ricorrenti che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, l’impugnazione proposta con gli originari ricorsi riguardava il silenzio rifiuto della Direzione Regionale dell’Agenzia delle entrate e non i precedenti dinieghi espressi emessi dalla Direzione Provinciale; che la definitività di tali ultimi provvedimenti non poteva considerarsi alla stregua di un giudicato formatosi sull’atto o sulla pretesa impositiva, sicché era sempre proponibile una ulteriore istanza di autotutela con conseguente ammissibilità della sua impugnazione.
Il motivo è manifestamente infondato in quanto si pone in contrasto con il principio recentemente affermato da questa Corte (Cass. n. 20200 del 2020), secondo cui secondo cui “In tema di contenzioso tributario, non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di annullamento in autotutela avverso accertamenti tributari definitivi e decidere quale diniego opposto dall’Ufficio impugnare in sede giurisdizionale, potendo ricorrere solamente avverso il diniego, espresso o tacito, a seguito della formazione del silenzio rifiuto, relativo alla prima istanza proposta, e soltanto invocando ragioni di interesse generale all’annullamento dell’accertamento definitivo, che si assume siano state trascurate dall’Amministrazione finanziaria”.
Ragioni, queste ultime, che specie non soltanto non sussistono ma neppure sono state dedotte, ponendosi le argomentazioni svolte dai ricorrenti in ordine all’ingiustizia dell’imposizione subita, in insanabile contrapposizione con i principi giurisprudenziali in materia di impugnazione e sindacato giurisdizionale sulle istanze di diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018, Rv. 647518, secondo cui tale sindacato “può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018, Rv. 650057, in base al quale “Nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente” (in termini, oltre a Cass., Sez. U., n. 2870 del 2009 e n. 3698 del 2009, anche Cass. n. 17374 del 2017 nonché Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 21146 del 24/08/2018, Rv. 650057; Ordinanza n. 4937 del 20/02/2019, Rv. 652951; Ordinanza n. 5332 del 22/02/2019, Rv. 652959; Ordinanza n. 24032 del 26/09/2019, Rv. 655055). E la Corte Costituzionale, nella citata sentenza, oltre ad avallare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente”, ha espressamente affermato che “Anche in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti – e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio”.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrenti, rimasti soccombenti, al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021