LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1921/2012 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
Aurelia Motori s.r.l., in personal del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Marco Miccinesi e Francesco Pistolesi, con domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Fiorilli in Roma via Cola di Rienzo n. 180, giusta mandato a margine del controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 97/29/2010, depositata il 23 novembre 2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 dicembre 2019 dal Consigliere Dott. Dinapoli Marco.
FATTI DI CAUSA
Aurelia Motori s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, impugnava in primo grado n. 3 avvisi di accertamento per gli anni di imposta dal 2003 al 2005 con cui venivano recuperate a tassazione Irpeg, Irap, Iva, oltre sanzioni, per operazioni soggettivamente inesistenti, omessa contabilizzazione di ricavi e sottofatturazione del prezzo di acquisto di alcune autovetture.
La Commissione tributaria provinciale di Viareggio accoglieva il ricorso del contribuente con sentenza N. 1/02/09 dep. il 19.1.2019, avverso cui l’Ufficio proponeva appello.
La Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva parzialmente l’appello, limitatamente alla sottofatturazione dei ricavi. Inoltre, pur non rigettando espressamente nel dispositivo i rimanenti morivi di appello proposti dall’agenzia delle entrate, nella motivazione sembra ritenere infondato il motivo di appello relativo alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, ritenuta sussistente dal primo giudice, per non essere stati allegati agli avvisi di accertamento nei confronti della contribuente i PVC emessi nei confronti dei soggetti terzi fittiziamente interposti. Ritiene inoltre che la nozione di operazione soggettivamente fittizia debba “necessariamente corrispondere, per esigenze di omogeneità interpretativa, a quella che è tale oggettivamente…sul punto l’Ufficio non ha fornito alcuna prova di quanto asserito sui soggetti ritenuti “cartiere”… “nel caso di specie si verte nell’ipotesi in cui l’operazione commerciale è realmente intercorsa fra i soggetti che risultano l’effettivo committente della merce ed il cessionario della stessa…”
L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con quattro motivi e chiede annullarsi la decisione impugnata con ogni conseguente pronunzia.
La società resiste con controricorso e chiede il rigetto del ricorso avverso con ogni consequenziale pronunzia pure in ordine alle spese di lite. Non presenta ricorso incidentale avverso il capo della sentenza di appello, ad essa sfavorevole, circa la sottofatturazione. Deposita memoria ex art. 380 bis c.p.c. con cui illustra ulteriormente i motivi del controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso denunzia violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. perché, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non è necessaria la materiale allegazione all’avviso di accertamento del processo verbale di constatazione elevato nei confronti di terzi ed utilizzato per l’accertamento, purché il suo contenuto sia precisato a sufficienza nell’atto impositivo onde consentire l’esercizio del diritto di difesa, in conformità alla giurisprudenza della Corte (1906/2008; 6914/2011) ed alle disposizioni di attuazione dello statuto del contribuente. Nel caso in esame tali dati fattuali sono riportati negli avvisi di accertamento (trascritti nel ricorso).
2.- Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. perché le circostanze di fatto da cui emerge che i fornitori della contribuente fossero soggetti meramente interposti indicate negli avvisi di accertamento (ditte intestate a prestanomi, caratterizzate da brevissima durata; che limitavano la propria attività a meri passaggi cartolari; e non hanno presentato dichiarazioni fiscali né versato l’Iva), denotavano chiaramente la fattispecie come interposizione fittizia, erroneamente confusa dalla Commissione tributaria regionale con la diversa ipotesi delle fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, di cui ha rilevato la mancanza delle caratteristiche (inesistenza di uno dei contraenti, omessa corresponsione del prezzo di acquisto).
3.- Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate dovesse dare “la prova” di quanto asserito, mentre invece, una volta dimostrata la natura fittizia del venditore, sono sufficienti degli elementi indiziari circa la partecipazione dell’acquirente alla frode, e su quest’ultimo ricade l’onere della prova contraria.
4.- Il quarto motivo di ricorso denunzia il vizio di omessa motivazione su fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), costituiti da tutte le circostanze di fatto indicate negli avvisi di accertamento (e trascritte nel ricorso) da cui emerge che le fatture emesse da ciascun fornitore della Aurelia Motori s.r.l. si qualificano come soggettivamente inesistenti.
5.- La società Aurelia Motori nel controricorso supporta la sentenza impugnata attingendo al materiale probatorio acquisito al processo e deduce in ogni caso l’infondatezza del recupero fiscale ai fini Irpeg e Irap. Allega poi alla memoria ex art. 380 bis c.p.c. la sentenza di questa Corte n. 7472/2016 resa fra le stesse parti per l’anno di imposta 2003.
6.- Il primo motivo di ricorso è in realtà privo di rilievo, perché la sentenza impugnata non ha sancito la nullità degli accertamenti tributari per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, come evidenzia il fatto che ha deciso la controversia nel merito, e tale decisione è incompatibile con l’accoglimento della eccezione di nullità, che avrebbe avuto carattere preliminare.
6.1- In ogni caso, rileva la Corte che le deduzioni sul punto contenute nella sentenza impugnata, pur avendo il valore di obiter dictum, erroneamente ritengono che la norma prescriva l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, a pena di nullità, dei PVC emessi nei confronti di soggetti terzi, perché quel che conta non è il requisito meramente formale, ma quello sostanziale della conoscenza da parte del contribuente inciso della fonte dell’accertamento nei suoi confronti, in conformità ai principi affermati in materia da questa Corte, per cui “nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass. 23923/2016).
7.- I rimanenti motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto fra loro collegati. Essi sono fondati.
8.- In materia di fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte ha formulato, anche alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia, i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851; vedi anche Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C-277/14, par. 50, Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015).
9.- La sentenza impugnata, invece, non è rispettosa di questi principi, non coglie la differenza sostanziale fra le ipotesi di inesistenza oggettiva della prestazione (in cui la cessione del bene non è reale ma solo cartolare) e quella di interposizione soggettiva fittizia (in cui la cessione del bene avviene realmente, ma con l’aggiunta di un intermediario apparente al solo scopo di conseguire indebiti vantaggi fiscali); conseguentemente accomuna erroneamente le due ipotesi sotto il profilo dei presupposti impositivi richiesti e del riparto dell’onere della prova, omettendo la verifica in fatto non dell’effettività della cessione del bene, ma della eventuale fittizietà dell’interposizione, che deve essere effettuata alla luce degli elementi di prova forniti dalle parti, in ossequio ai principi sopra riportati sulla suddivisione dell’onere della prova fra di esse. Verifica che la sentenza impugnata ha omesso, avendo ritenuto applicabile alla fattispecie una regolamentazione errata ed un regime processuale improprio, e che dovrà perciò essere rinnovata in sede di rinvio, previo annullamento della sentenza impugnata.
10.- A questa decisione non ostano le argomentazioni e richieste formulate dal contribuente in quanto: a) la questione della deducibilità dal reddito dei costi rappresentati dalle fatture, perché in ogni caso sostenuti, non risulta essere stata formulata nella fase di merito, e richiede un accertamento in fatto che dovrà essere svolto dal giudice a quo nel contraddittorio delle parti; b) non rileva l’esistenza di un precedente giudicato fra le stesse parti, poiché non sono diversi i principi di diritto affermati dalla sentenza invocata dal contribuente (Cass. N. 7472/2016), che sono stati applicati con esito diverso a casi differenti in fatto e, soprattutto, a sentenze diversamente motivate.
11.- In conclusione, per i motivi di cui sopra, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, cui si ritiene opportuno rimettere anche la regolamentazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021