Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24858 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7632-2014 proposto da:

N.T., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO PREZIOSI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore por tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 493/2013 della COMM.TRIB.REG.LAZIO, depositata il 17/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/04/2021 dal Consigliere Dott. MELE FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procurtore generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 493/14/13 depositata il 17.9.2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 aprile 2021 dal relatore, consigliere Dott. Mele Francesco.

RILEVATO

che:

Alvi spa in liquidazione proponeva distinti ricorsi avverso avviso di accertamento -fondato su PVC redatto dalla Guardia di Finanza- recante determinazione, per gli anni 2004 e 2005, dell’IVA derivante dalle operazioni di cessione poste in essere dalla ricorrente sulla base di fatture ritenute false sul piano soggettivo, perché poste in essere tra soggetti diversi da quelli risultanti dai documenti giustificativi.

Nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, costituitasi, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva i ricorsi -previa riunione dei medesimi- ritenendo che parte contribuente avesse assolto l’onere di documentare l’esistenza degli operatori intracomunitari (cessione nei confronti di essa contribuente di merce senza applicazione di IVA, scontata dall’operatore comunitario nel paese di destinazione dei beni e denuncia periodica nel c.d. modello “intrastat”) e, in particolare, dell’operatore comunitario M.E. di Muenchen e la cessione delle merci senza addebito dell’IVA in ossequio alla peculiarità della vendita all’ingrosso con modalità “cash and carry” (pronta vendita di merci a qualsiasi operatore del settore in regola con la normativa interna e comunitaria).

– La sentenza della CTP era impugnata dall’Ufficio con appello principale e dalla contribuente con appello incidentale diretto a censurare la sentenza di prime cure per avere rigettato il ricorso introduttivo laddove lamentava il difetto di motivazione dell’atto impositivo.

– La CTR accoglieva il ricorso principale e rigettava quello incidentale.

– Per la cassazione della sopra menzionata sentenza la società, nella persona del curatore fallimentare Dott. N.T., propone ricorso affidato a cinque motivi al quale resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate; il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte recanti il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO

che:

– Il ricorso consta di cinque motivi che recano: 1) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, e L. n. 212 del 2002, art. 7”; 2) “Violazione e falsa applicazione art. 2697 c.c.”; 3) “Omessa motivazione della sentenza in relazione al precetto processuale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2”; 4) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti”; 5) “Omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”. Parte ricorrente -con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1 – riferisce i motivi 1) e 2) al n. 3, il motivo 3) al n. 4 e i motivi 4) e 5) al n. 5.

Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento.

– Il motivo non è fondato, atteso che la CTR ha rigettato l’appello della società contenente la doglianza oggi riproposta con il motivo in commento, avendo ritenuto soddisfatto l’obbligo motivazionale con il rinvio operato dall’avviso di accertamento al verbale redatto dalla G. di F., così decidendo in linea con una consolidata interpretazione della Corte, dal quale il collegio non reputa di discostarsi (cfr. Cass. 27800/2019; 32957/2018).

– Con il secondo motivo, la ricorrente deduce che la CTR avrebbe dovuto verificare “l’assolvimento dell’onere probatorio gravante, prima di tutto, sull’ufficio circa l’allegata inesistenza soggettiva delle operazioni contestate”, mentre, al contrario, ha ritenuto che la società non ha offerto “le prove poste a suo carico circa l’esistenza delle operazioni di cessione contestate nonché circa il suo sato soggettivo di buona fede”.

– Il motivo non è fondato.

– Va premesso che la fattispecie si incentra sulla emissione -da parte della contribuente- di fatture nei confronti di soggetti inesistenti o non operanti, con la menzione di cessioni intracomunitarie a suo favore effettuate, al fine di omettere l’esposizione dell’IVA che sarebbe stata, invece, dovuta qualora le cessioni fossero avvenute all’interno dello Stato. In siffatto contesto non opera la presunzione di buona fede, reclamata dalla ricorrente, per vincere la quale è onere dell’Amministrazione provare che la contribuente era a conoscenza della fittizia provenienza dei costi portati in detrazione. Di converso, laddove la contestazione erariale cada sulla imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengono fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE (come nella specie), grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario (cfr. Cass. 29498/2020).

– Nella specie, la CTR ha posto in risalto l’assenza di prove documentali tali da supportare la veridicità delle operazioni descritte nelle fatture soggettivamente inesistenti.

– Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione da parte della CTR.

– Il motivo non è fondato, atteso che la sentenza impugnata contiene le ragioni tutte in fatto e in diritto che hanno indotto la CTR a riformare la sentenza di primo grado; va sottolineato l’appropriato richiamo alla documentazione in atti, in particolare quella relativa al trasporto dei beni (“asserite operazioni di trasferimento intracomunitario”: passaggio della sentenza che posa sulle indagini esperite dalla G. di F.).

– Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta che la CTR avrebbe omesso di esaminare la dirimente circostanza relativa alle modalità di vendita della merce (cash and carry), circostanza oggetto di discussione tra le parti ed accertata in primo grado; con il quinto motivo la medesima circostanza viene invocata al fine di prospettare la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione previgente alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012.

– I due motivi -evidentemente connessi, e tali dunque da essere trattati congiuntamente- non sono fondati.

– Il D.L. n. 331 del 1993 convertito nella L. n. 427 del 1993 stabilisce che le operazioni intracomunitarie rientrano nel regime IVA intracomunitaria a condizione che cedente e cessionario siano soggetti di imposta in Paesi membri -di residenza o di domicilio- diversi tra di loro e che i beni oggetto della cessione siano trasportati (o spediti) dal territorio nazionale a quello comunitario in cui risulta localizzato il cessionario, ovvero anche in un altro Stato comunitario, purché a destinazione di un cessionario ivi residente o domiciliato.

– Da quanto esposto consegue che, nel caso in cui non sia il cedente o fornitore ad effettuare il trasporto (o spedizione), ma sia lo stesso cessionario o acquirente, perché possa riconoscersi l’esenzione dall’IVA a favore del primo, è necessario -in conformità alla giurisprudenza unionale (Corte Giustizia UE 21.2.2018, C-628/16, Kreuzmayr GmbH/Finanzamt Linz)- che questi abbia operato in buona fede, ponendo in essere la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in relazione al contesto concreto sì da scongiurare di essere coinvolto in una operazione evasiva (cfr. Cass. 22333/2018).

– Nella specie, la contribuente non ha prodotto alcuna documentazione probatoria con riferimento al trasporto della merce né ha recato comunque elementi di prova a sostegno della propria buona fede, mentre, al contrario, negli avvisi di accertamento è espressamente rimarcato il dolo che ha permeato l’intera attività oggetto, poi, di investigazione da parte della polizia giudiziaria.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro dodicimila oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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