LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8295-2015 proposto da:
D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5542/2014 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 16/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.
RITENUTO
che:
Il contribuente D.G. ricorre, sulla base di cinque motivi, contro la sentenza della CTR del Lazio che, rigettando l’appello, ha confermato l’avviso di accertamento emesso a suo carico per l’anno 2005 con il quale gli venivano attribuiti maggiori redditi da partecipazione nella società Co.La.Ca. srl, società a ristretta base.
La CTR, infatti, preso atto della sua qualifica formale di socio nell’anno in questione, disattendeva quanto prospettato dal contribuente, secondo cui la sua partecipane alla società sarebbe stata solo formale, senza alcun ruolo nella stessa e senza il percepimento di alcun utile distribuito, atteso che egli era solo un dipendente al quale erano state attribuite parte delle quote, e la società era di fatto gestita da L.B., come confermato dal fatto che nel procedimento penale relativo a fatti riguardanti la gestione della società, egli non era neppure stato rinviato a giudizio, a differenza degli altri soggetti coinvolti nella compagine o nell’amministrazione della stessa.
Si costituisce l’ufficio con controricorso. Il contribuente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’intera domanda in violazione dell’art. 112 c.p.c..
La CTR non si sarebbe pronunciata su quanto eccepito dal contribuente, in particolare sul fatto che la sua intestazione delle quote societarie era meramente nominale, che egli non aveva alcun ruolo nella gestione della società.
Con il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., per mancanza della motivazione, ovvero motivazione apparente, in relazione al rigetto della domanda del contribuente, il quale chiedeva che fosse accertato che egli non era stato un socio effettivo della Co.La.Ca. srl.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame dei fatti dedotti dalla parte contribuente a dimostrazione della propria estraneità all’effettiva compagine sociale, nonché del fatto di non aver percepito i maggiori redditi accertati.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente attenendo al tema comune della motivazione della sentenza impugnata sul ruolo del ricorrente nella compagine sociale, sono infondati.
Di questi aspetti, infatti, la sentenza si occupa, per una parte esplicitamente, per altro verso implicitamente, emergendo, peraltro, dalla motivazione in maniera molto chiara il principio per cui la stessa ritiene questi aspetti irrilevanti per vincere la presunzione di distribuzione del reddito, considerando del tutto prevalente l’aspetto, del resto non contestato, secondo cui il ricorrente era formalmente socio della società.
In merito specificamente al terzo motivo, i fatti omessi consisterebbero nella serie di elementi che sarebbero sintomatici del fatto che il ricorrente non aveva la gestione della società (pag. 24 ricorso); anche sotto questo profilo, peraltro, emerge che la CTR, sebbene non esamini tali elementi singolarmente, ritiene prevalente su tutto l’aspetto formale, non contestato, secondo cui il ricorrente era il titolare delle quote.
Peraltro, attenendo questi motivi solo all’aspetto motivazionale della decisione, il loro rigetto non preclude l’esame dei motivi attinenti all’erronea interpretazione di legge.
Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui i giudici di seconde cure hanno illegittimamente limitato le possibilità di prova contraria avverso la pretesa impositiva rivolta al socio, affermando che l’unica prova potesse vertere sulla dimostrazione del fatto che i maggiori utili accertati in capo alla società fossero stati reinvestiti o accantonati dalla stessa, escludendo altre possibilità di prova in capo al socio circa il fatto di non aver effettivamente percepito gli utili presuntivamente distribuiti.
Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 38 e 42, e dell’art. 2697 c.c.. I giudici di seconde cure hanno ritenuto che la motivazione di un avviso di accertamento con il quale si attribuiscono al socio gli utili in nero accertati in capo alla società possa limitarsi al mero riscontro della ristrettezza della base azionaria, senza necessità di supportare la pretesa con altri elementi, anche indiziari, che confermino l’effettiva percezione da parte del socio dei maggiori redditi accertati.
Anche questi motivi possono essere trattati congiuntamente, e sono fondati sulla base delle seguenti considerazioni.
Certamente è orientamento costante di questa Corte quello per cui, ai fini della prova della distribuzione di utili extracontabili nella società a ristretta base partecipativa, all’ufficio sia sufficiente la prova di quest’ultimo elemento per ritenere la distribuzione degli utili, senza che ciò integri applicazione di una doppia presunzione (sez. V, n. 15824 del 2016).
La prova contraria del contribuente è tradizionalmente ritenuta quella per cui gli utili non sono stati distribuiti, per esempio perché reinvestiti (sez. V, n. 32959 del 2018; n. 27778 del 2017), prova che il contribuente può fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale permette, se del caso, di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine.
Tuttavia, come il contribuente sottolinea, anche in memoria, si è in effetti sviluppato negli ultimi anni un ulteriore orientamento sulla prova contraria, tale per cui la stessa può anche consistere nella dimostrazione del socio formale di essere stato, in realtà, estraneo alla gestione societaria.
Sez. V, n. 34282 del 2019 e n. 15895 del 2020 sono tra le più recenti espressioni di questo orientamento, ed hanno ammesso come prova liberatoria della presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio anche “la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., n. 1932 del 2016; Cass., n. 17461 del 2017; Cass., n. 26873 del 2016; Cass., 9 luglio 2018, n. 18042; Cass., 27 settembre 2018, n. 23247)”.
Nella specie questa prova si ricaverebbe in particolare, nella prospettazione del contribuente, dal fatto che il ricorrente non è stato coinvolto, né come indagato né come imputato, nell’indagine penale sulla società.
Orbene, al di là del merito del caso specifico che, a questo punto, dovrà essere riesaminato, resta il fatto che il suddetto sviluppo della giurisprudenza di questa Corte sulla prova contraria, tale per cui la stessa può consistere non solo nel fatto che gli utili non sono stati distribuiti, ma anche nel fatto che il singolo socio dimostri che era estraneo alla gestione, non è stato considerato dalla CTR che ha continuato a ritenere rilevante solo il “diverso impiego” degli utili.
In questo senso, la CTR ha errato sull’ambito della prova liberatoria, limitandosi ad affermare che essa può consistere nel fatto che gli utili hanno avuto diversa destinazione, e, di conseguenza, sull’applicazione del principio, il che si traduce nel vizio di errata applicazione di legge.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, con rinvio della causa alla CTR del Lazio, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.
PQM
accoglie il quarto e quinto motivo.
Cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla CTR del Lazio, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio.
Rigetta il primo, secondo e terzo motivo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021
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