LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 14233 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto da:
FARO ITALIA S.r.l., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, F.P., rappresentato e difeso, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocato Sergio Nicola Aldo Scicchitano, (C.F.: SCC SGN 55P17 E328G);
– ricorrente –
nei confronti di:
SOC. CATTOLICA DI ASSICURAZIONE Società Cooperativa, (C.F.:
*****), in persona del rappresentante per procura G.A., rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avvocato Pierfilippo Coletti, (C.F.: CLT PFL 44C05 G478L);
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 680/2019, pubblicata in data 26 febbraio 2019 (e che si assume notificata in data 28 febbraio 2019);
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 3 marzo 2021 dal consigliere Dott. Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
La Faro Italia S.r.l. ha agito in giudizio nei confronti della Soc. Cattolica di Assicurazioni Soc. Coop. per ottenere l’indennizzo relativo al furto di un notevole quantitativo di merce dal proprio stabilimento in *****, sulla base di una polizza di assicurazione stipulata con la predetta società.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Verona.
La Corte di Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado, anche se sulla base di una diversa motivazione. Ricorre la Faro Italia S.r.l., sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
Resiste con controricorso la Soc. Cattolica di Assicurazioni Soc. Coop., illustrato con memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
E’ stata disposta la trattazione del ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo del ricorso si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1892 c.c.”.
Secondo la società ricorrente, la corte di appello avrebbe interpretato erroneamente i requisiti della essenzialità o rilevanza della reticenza dell’assicurato, nonché quello della colpa grave a base della stessa, come richiesti dall’art. 1892 c.c., non sussistendo in realtà nella specie né il nesso eziologico tra la reticenza ed il consenso alla conclusione del contratto, né colpa grave nella reticenza stessa.
Il ricorso è infondato.
Mentre in primo grado la domanda è stata rigettata per altre ragioni (che non hanno rilievo nella presente sede), la corte di appello si è limitata a rilevare che l’indennizzo assicurativo non era dovuto, ai sensi dell’art. 1892 c.c. (come eccepito dalla società convenuta, eccezione specificamente riproposta nel giudizio di secondo grado), in quanto l’assicurata era stata reticente nel dichiarare alcuni furti precedentemente subiti presso il proprio stabilimento di Sommacampagna, così omettendo una informazione espressamente richiesta dalla società assicuratrice in sede di stipula dell’assicurazione.
In particolare, nella sentenza impugnata si dà atto, in proposito, di una espressa dichiarazione scritta dell’assicurata, contenuta nella polizza, in cui questa aveva negato di avere subito danni della stessa natura di quelli assicurati, nel quinquennio precedente, sebbene in realtà, non solo avesse subito, non molto prima della stipula della polizza (precisamente nel *****, cioè lo stesso anno della stipula), il furto di alcuni veicoli presso il medesimo stabilimento dove si trovavano le merci assicurate, ma avesse addirittura subito, poco prima della pattuizione di una estensione del valore delle merci assicurate (in data *****), anche un furto di merci, che aveva taciuto in sede di stipula dell’estensione.
Secondo l’indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione dell’incidenza delle dichiarazioni false o reticenti in sede di stipula del contratto di assicurazione costituisce oggetto di un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, censurabile solo in caso di difetto di motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6039 del 04/07/1997, Rv. 505737 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3165 del 04/03/2003, Rv. 560821 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7245 del 29/03/2006, Rv. 588953 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 25582 del 30/11/2011, Rv. 620624 – 01; cfr. altresì Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11115 del 10/06/2020, Rv. 658096 – 01).
Nella specie, la motivazione posta dalla corte di appello a sostegno dell’accertamento di fatto per cui, se la società di assicurazione avesse conosciuto i fatti taciuti dall’assicurata avrebbe quanto meno stipulato la polizza a condizioni diverse, è agevolmente ricavabile dal complesso della decisione, che fa riferimento sia alla falsa dichiarazione scritta contenuta nella polizza con riguardo ai precedenti furti dei veicoli presso lo stabilimento, sia alla rilevanza di tale falsa dichiarazione ai fini della stipulazione, trattandosi di circostanza oggetto di precisa richiesta da parte dell’assicuratore e relativa ad eventi della stessa natura di quelli oggetto di assicurazione (pur riguardando cose mobili diverse), sia all’omessa dichiarazione del furto di merci avvenuto nell'*****, al momento della stipula della modificazione contrattuale relativa all’estensione del valore delle merci assicurate.
Risulta del tutto adeguata anche la motivazione a sostegno dell’ulteriore accertamento di fatto sulla sussistenza della colpa grave della società assicurata nel rendere le indicate dichiarazioni false o reticenti, avendo la corte fatto riferimento alla precisa richiesta dell’assicuratore in ordine ai furti precedentemente subiti dall’assicurata e all’impossibilità che questa non fosse a conoscenza di furti subiti nel medesimo anno di stipula della polizza.
Si tratta, in entrambi i casi, di motivazione non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.
2. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
– condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 10.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 3 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021